ITALIA OGGI – Il Wsj denuncia il «giacobinismo» Usa, ma non spiega chi sono i suoi veri capi. Lo fanno però alcuni siti web: Obama e Soros

Il Wall Street Journal (Wsj), come ha opportunamente segnalato Paolo Panerai su Orsi & Tori di sabato scorso, denuncia il dilagare del «giacobinismo» negli Stati Uniti, ne sottolinea il pericolo per la tenuta della cultura liberale, e lo dimostra raccontando decine di casi in cui nomi noti del mondo giornalistico, accademico e artistico, per nulla estremisti, sono stati epurati e licenziati sui due piedi soltanto per avere espresso la loro opinione, che per una sola parola o un solo aggettivo non collimava con quelle estremiste del movimento Black Lives Matter (Blm). In tutti i casi si trattava di opinioni moderate, per nulla di stampo razzista, ma soltanto dubbiose sul fatto di manifestare in piazza e nelle strade con la violenza e i saccheggi. Metodo che, con i cortei Blm, ha dilagato in molte città americane.

C’è però un punto strano, a mio parere, nella denuncia del Wsj, una lacuna: non c’è la benché minima indicazione dei capi del «giacobinismo» Usa, dei responsabili culturali e politici di questa ondata. A rigore di logica, visto che lo stesso Wsj scrive che «è tempo che qualcuno reagisca, altrimenti la presidenza Trump, al confronto, sembrerà un tea party», i responsabili andrebbero cercati nel campo avverso a The Donald. Ricerca che diversi siti web, per nulla complottisti, hanno già fatto, indicando in modo concorde i nomi dei due maggiori responsabili: Barack Obama e George Soros.

Provo a fare una sintesi di queste accuse. Cominciamo da Soros, miliardario e filantropo, da anni impegnato nel finanziare il partito democratico Usa e un’infinità di movimenti politici e Ong, negli Stati Uniti e in Europa, che a suo avviso abbiano come obiettivo una società sempre più aperta, priva di confini. Non a caso la sua fondazione, deputata ai finanziamenti e ricca di oltre 40 miliardi di dollari, si chiama Open Society Foundation.

Tra i suoi finanziamenti più riusciti, si annovera quello che nel 2014 portò alla rivolta di piazza Maidan a Kiev, in Ucraina, e la destituzione del presidente filo-russo Viktor Ianukovich, sostituito da un governo filo-Usa. Lo stesso Soros non ha esitato ad attribuirsi il merito di avere finanziato quella rivolta nel corso di un’intervista tv a Fareed Zakaria, tuttora disponibile sul sito della Cnn: «Ho creato una fondazione in Ucraina prima che il paese diventasse indipendente dalla Russia. Questa fondazione ha continuato ad operare, e ha avuto un ruolo negli eventi recenti».

A giudicare da parecchi casi, quello delle rivolte di piazza per conseguire un determinato obiettivo politico, sembra ormai un collaudato «metodo Soros». Negli Stati Uniti lo sanno talmente bene che una star del rap, Lord Jamar, afroamericano, intervistato da Turning Point Usa, quando gli è stato chiesto se anche lui è un supporter del Black lives matter, ha risposto: «No, assolutamente. Perché questo non è il nostro movimento. È un movimento che ci è stato dato da Soros e dai suoi ragazzi. Soros ha speso milioni di dollari per finanziare il Blm e sta usando i soldi per controllare gli afroamericani».

In proposito, l’attivista afroamericana Candace Owens, tra le più attive nel «Blacks for Trump», ha accusato Soros di avere versato 33 milioni di dollari al Blm. Alcuni siti parlano di una paghetta di 200 dollari ai ragazzi del Blm per ogni manifestazione. Accuse finora non provate, anche se la Open Society ha effettuato una serie di donazioni a enti che collaborano con il movimento Blm a livello mondiale, tra cui la britannica Release Leads, che nel 2018 ha ricevuto 280 mila dollari.

Alle accuse, la Open Society ha risposto che George Soros non si occupa personalmente di ogni donazione. Il che, avendo il magnate 89 anni, è molto probabile. Ma è certamente vero che alla presidenza della Open Foundation siede Patrick Gaspard, afroamericano, ex capo di gabinetto di Barack Obama alla Casa Bianca, nonché autorevole esponente del partito democratico Usa. Partito che durante la presidenza Obama si è avvicinato al Blm, movimento di protesta che esiste dal 2014, ben prima dell’uccisione di George Floyd: nacque infatti a seguito dell’uccisione di un afroamericano di 17 anni, Trayvon Martin, nel corso di una colluttazione con un vigilante volontario.

Grazie al sostegno di Obama e di Soros, il movimento Blm si è posto come obiettivi la difesa dei diritti degli afroamericani e la lotta ad alcuni strumenti del «potere dei bianchi», quali la brutalità della polizia, il razzismo istituzionale e le diseguaglianze economiche fra le etnie. Per paradosso, la lotta alle brutalità poliziesche è stata lanciata ignorando che è stata proprio l’amministrazione Obama a importare negli Stati Uniti il metodo del blocco di polizia con il ginocchio sul collo, in uso da tempo in Israele e insegnato ai poliziotti delle maggiori città Usa da corpi scelti inviati Tel Aviv.

Nel corso degli anni, per opera soprattutto di Obama, il connubio tra il partito democratico Usa e il movimento Blm ha prodotto una progressiva radicalizzazione culturale sui temi razziali, che è andata avanti di pari passo con il Metoo femminista e con la tutela dei diritti sessuali Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transgender). Una radicalizzazione ideologica che, dai temi sociali, si è spostata sul terreno politico con l’avvento della presidenza Trump, vista dai Blm come una riaffermazione razziale del «suprematismo bianco», perciò da combattere senza risparmio nelle piazze, ma soprattutto sui media di ogni tipo.

Una battaglia che ha portato al «giacobinismo» illiberale denunciato dal Wsj, con Obama nel ruolo di grande burattinaio, pronto a tutto pur di abbattere l’odiato Trump e portare alla Casa Bianca, come propria testa di legno, un candidato privo di appeal come Joe Biden, che di fatto gli consentirà un terzo mandato.

Tino Oldani

3 luglio 2020

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