Ben prima di essere costretta alla chiusura di gran parte delle attività produttive, delle scuole e dei servizi educativi e sociali, al confinamento di famiglie e individui, l’Italia era un Paese in stallo. È quanto emerge dal Rapporto annuale dell’Istat. Le disuguaglianze territoriali, che si erano ampliate con la crisi del 2008, non accennavano a richiudersi, al contrario, scoraggiando le generazioni più giovani che vivono nelle zone più svantaggiate.
Non è vero che l’ascensore sociale si era fermato, ma che andava più spesso verso il basso che verso l’alto. Per tutte le generazioni nate fino alla fine degli anni ’60 la mobilità sociale era infatti cresciuta in senso ascendente e diminuita in senso discendente. Ma per i nati dal 1972 in poi è avvenuto il contrario: la mobilità verso il basso, che ora riguarda più di un quarto degli individui, ha superato quella verso l’alto.
Insomma, ormai da diversi anni le chance per i figli di migliorare la propria posizione sociale rispetto a quella dei genitori sono diminuite, mentre sono aumentate quelle di peggiorarla, comprimendo aspettative, progetti di vita, valorizzazione del capitale umano. Sembra che la diminuzione dell’incidenza demografica dei giovani sul totale della popolazione negli ultimi decenni si sia accompagnata non a una più accentuata loro valorizzazione, a investimenti nella loro formazione e opportunità. Al contrario, si è scaricato su di loro pressoché tutto il peso, e i rischi, della flessibilizzazione del mercato del lavoro e della precarietà. I minorenni, seguiti dai giovani fino ai 35 anni, ormai da tempo costituiscono la fascia di popolazione a più alta incidenza di povertà, quindi a rischio di non avere le opportunità per sviluppare appieno le proprie capacità. Inoltre, nonostante un progressivo aumento dei livelli di istruzione, anche tra le fasce di età più giovani, l’Italia continua a presentare livelli di scolarizzazione tra i più bassi in Europa.
Ciò si accompagna a un’alta incidenza della dispersione scolastica, della povertà educativa e della percentuale di giovani che né studiano né lavorano, in cosiddetti Neet – tutti fenomeni che aumenteranno a causa delle conseguenze della chiusura delle scuole e delle difficoltà sperimentate a fruire della didattica a distanza da chi era già in posizione di svantaggio.
Questo scarso investimento nelle giovani generazioni, che è più accentuato nel caso delle giovani donne, si riflette anche su “una specializzazione produttiva comparativamente poco orientata ai settori intensi in conoscenza, che è uno dei fattori all’origine del basso potenziale di crescita della nostra economia”, come rileva il Rapporto, quindi anche sulla domanda di lavoro.
Lo scarso investimento sulle e per le nuove generazioni, insieme alla persistenza di disuguaglianze tra uomini e donne in famiglia come in società e alla difficoltà di conciliare famiglia e lavoro, spiega il bassissimo tasso di fecondità nel nostro Paese, che contribuisce, anche per il futuro, alla bassa natalità complessiva dovuta all’invecchiamento demografico. Così che la presenza di bambini e giovani sarà sempre più ridotta.
L’arrivo della crisi epidemica, su una società così bloccata nelle proprie disuguaglianze e incapace di rinnovarsi neppure demograficamente, è stato uno choc, ma anche una cartina di tornasole. Non solo perché inattesa nelle sue proporzioni e conseguenze, ma perché ha fatto esplodere tutti i problemi irrisolti, creandone qualcuno di nuovo. I dati delle forze di lavoro del secondo trimestre sono istruttivi, così come il cambiamento della composizione sociale di chi chiede assistenza ai Comuni o alle istituzioni caritatevoli e della società civile.
Non desta sorpresa, in questo quadro, che l’Istat, come già alcuni demografi avevano fatto, stimi un ulteriore calo delle nascite nel 2020 e poi ancora nel 2021, se le cose non miglioreranno per chi ha l’età di avere e crescere figli. Senza investimenti sulle giovani generazioni che sono già tra noi, incluse quelle cui si continua pervicacemente a negare la cittadinanza, difficilmente la società italiana potrà riprendersi, perché avrà ignorato proprio coloro che possono dare corpo al futuro.
Chiara Saraceno
in “La Stampa” del 4 luglio 2020
https://www.lastampa.it/topnews/lettere-e-idee/2020/07/04/news/un-paese-orfano-di-giovani-1.39040948