Circa 150 le firme del manifesto contro la «cancel culture»: Martin Amis, Margaret Atwood, Salman Rushdie, Anne Applebaum, John Banville, Noam Chomsky e decine di altri scrittori
È una rivolta contro le intimidazioni, contro l’ondata censoria che rischia di sommergere non solo in America università e giornali, contro il ricatto morale di chi consiglia il silenzio e l’omertà sulle nuove e violente forme di intolleranza per non dare armi e pretesti a Trump. Decine di scrittrici e scrittori, intellettuali, artisti dicono in un appello che la doverosa battaglia contro il razzismo e contro la politica del presidente degli Stati Uniti accomodante con i gruppi che del suprematismo bianco fanno una bandiera non può nascondere i pericoli di un nuovo fanatismo oramai sempre più spavaldo e prepotente, di una nuova ideologia manichea e brutalmente estremista che nel nome del Bene distrugge ogni opinione differente, ogni obiezione critica, ogni dissenso.
Da Martin Amis a Margaret Atwood, da Salman Rushdie a Anne Applebaum, da John Banville a Noam Chomsky, da Khamel Daoud a Jeffrey Eugenides, e poi Ian Buruma e Olivia Nuzzi, Michael Ignatieff e Paul Berman, Michael Walzer e JK Rowling, solo per citare alcuni dei più famosi, circa 150 intellettuali escono allo scoperto per difendere i principi della libertà d’espressione minacciata non da una censura poliziesca tipica delle dittature, ma da una forma pervasiva e violenta di intolleranza che non si limita a mettere il bavaglio ai contemporanei, ma vuole fare tabula rasa del passato, di tutti gli autori che dall’antichità non si sono piegati ai dettami della nuova Inquisizione che vede in ogni opinione difforme un delitto, in ogni rappresentazione artistica e culturale anche del passato un attentato malvagio alle vittime dell’oppressione.
Il pensiero corre alla statua di Cristoforo Colombo abbattuta, a quelle di Abraham Lincoln, il presidente che ha abolito la vergogna della schiavitù, o di Winston Churchill, l’eroe della battaglia contro Hitler, cioè del vertice del razzismo, deturpate o vandalizzate, oppureal linciaggio cui è stata sottoposta JK Rowling, l’autrice di Harry Potter, indicata al ludibrio come persecutrice dei transgender per aver difeso il principio dell’identità biologica delle donne e soprattutto, questo è il punto, per essere intervenuta in difesa di una donna che aveva perso il posto di lavoro, licenziata in un attimo, per aver sostenuto analoghe opinioni. Una circostanza, appunto, in cui un’opinione diversa, discutibile come tutte le opinioni, viene equiparata a una manifestazione di malvagità, ispirata dalle peggiori intenzioni e dunque meritevole di essere punita.
La libertà d’opinione è messa a dura prova se le persone vengono liquidate, come Ian Buruma alla New York Review of Books, per aver pubblicato posizioni dissonanti, come se il conflitto delle idee, la discussione aperta, anche aspra, ma libera e tonificante, la battaglia culturale condotta lealmente, argomento contro argomento, tesi contro tesi, non fosse l’ossigeno delle società democratiche fondate sul pluralismo e non sul manicheismo di una lotta tra un Bene e un Male da censurare. Una deriva pericolosa che in alcune università americane è sfociata nella messa al bando di opere di Shakespeare, come il «Tito Andronico», accusate nientemeno di essere neanche tanto inconsapevolmente un’apologia dello stupro, o di Euripide e di Sofocle, fino all’espulsione tra i piani di studio del «Grande Gatsby», delle opere di Hemingway e naturalmente, come poteva mancare?, di «Lolita» di Nabokov.
Ma anche, per esempio, al divieto a Londra di esporre opere di Egon Schiele, già perseguitato un secolo fa a Vienna per «oscenità» e i cui nudi oggi rappresenterebbero secondo la nuova Inquisizione una diminuzione sessista dell’immagine della donna. Ora, con questo appello, per la prima volta gl intellettuali cercano di mettere un argine a questa deriva di intolleranza, con un gesto coraggioso di cui i firmatari sono pienamente coscienti, e infatti già si avvertono i primi segni di timide marce indietro per prevenire eventuali attacchi. È la prima volta, ma importante. Gli intolleranti potrebbero cominciare a non avere vita facile.
Pierluigi Battista
Corriere della Sera
9 Luglio 2020