Se a Torino un gruppo di facinorosi ha disturbato la manifestazione silenziosa di #Restiamoliberi, organizzata per sensibilizzare l’opinione pubblica contro l’approvazione del disegno di legge Zan-Scalfarotto sull’«omofobia», dimostrando così nei fatti come ad esser protetti dalle aggressioni, verbali e non, siano gli Lgbt e non tutti gli altri, anche Bergamo è in ostaggio di un «totalitarismo progressista», che pure in questo caso minaccia «la libertà di espressione e manifestazione»: la denuncia, molto chiara e circostanziata, è giunta da Filippo Bianchi, consigliere comunale della Lega, dopo l’incredibile boicottaggio attuato lo scorso 30 giugno da una decina di femministe filo-abortiste, facenti riferimento, in base al materiale informativo distribuito, alle sigle Non una di meno e Oikos. Costoro, si legge sulla nota diffusa dal consigliere Bianchi, dopo aver fatto «pressione sulle forze dell’ordine locali e sulla Questura», hanno montato un’autentica «rappresaglia» mai autorizzata contro l’associazione pro-life Ora et Labora in difesa della vita, che da quattro anni organizza un presidio fisso informativo, il martedì dalle ore 7.45 alle ore 10.15 nei pressi dell’ospedale Papa Giovanni XXIII.
Il modo di agire delle contestatrici «non è quello del confronto nel merito e sui contenuti – spiega Bianchi, da noi interpellato in merito – ma quello dell’aggressione verbale, della menzogna, dell’intimidazione e dello scontro». Hanno cercato insomma di scacciare gli attivisti pro-life «e tentato di impedire la distribuzione di volantini, inveendo allo scopo di provocare reazioni, nonostante la presenza delle forze dell’ordine, che purtroppo non hanno intimato loro di andarsene, ma hanno permesso che continuassero a boicottare e di stazionare a pochi metri per tutta la durata della lecita ed autorizzata attività» dei volontari di Ora et Labora in difesa della vita.
Ciò che più sconcerta non sono però tanto le azioni da «rappresaglia», poste in essere dalle sigle pro-choice quanto la risposta data da chi, per ufficio, è chiamato a tutelare l’ordine: «Purtroppo – spiega Bianchi nella nota – anche la Questura, per il quieto vivere, pare aver ceduto alle richieste di chi urla più forte ed alle violenze delle femministe abortiste, che hanno vergognosamente interferito ed interrotto i presidi fissi autorizzati, ottenendo delle forme di restrizione e censura ai danni della libertà di espressione e manifestazione e del diritto alla vita ed alla salute della donna».
Quali forme di restrizione? In sostanza, il Questore, Maurizio Auriemma, con una comunicazione, notificata lo scorso 7 luglio, ha disposto che il presidio possa avvenire solo «in forma statica», non più nel solito luogo, prospiciente all’accesso principale del Giovanni XIII, bensì dalla parte opposta dell’immensa struttura ovvero nell’area verde antistante la chiesa di via Brambilla, oltre tutto – si legge nel provvedimento – col «divieto di recare con sé ed esporre manifesti o striscioni che rechino immagini forti o contenuti lesivi della libertà altrui e che possano turbare, offendere o infastidire la sensibilità di minori». Cosa debba intendersi con «immagini forti» è lasciato alla libera interpretazione di tutti ed, in ultima istanza, del giudice. Quanto ai «contenuti lesivi della libertà altrui», qui nessuno tutela la libertà più grande, quella di vivere, detenuta dal bimbo nel grembo delle madri, che vanno ad abortire.
15 Luglio 2020
Mauro Faverzani