RU486: quando l’ideologia “gioca” sulla pelle della donna

La RU486 è stata “domiciliata” dal Ministro della Salute Roberto Speranza con delle nuove Linee Guida che trasferiscono questa tipologia di aborto in regime di day hospital, rispondendo nel modo peggiore al pressing che da alcuni mesi lo sottoponevano tra gli altri  Roberto Saviano, Laura Boldrini e un centinaio di Ong.

Cos’è la RU486

Il 24 novembre 2009, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), autorizzò la commercializzazione della RU486 definita dal famoso genetista francese J. Lejeuneun un “pesticida umano”. Il nullaosta fu concesso alla conclusione delle sperimentazioni cliniche avviate nel 2005 presso alcune aziende ospedaliere arruolando 2.293 donne. Molte però furono vittime di effetti collaterali abbondanti e prolungati: emorragie, dolori e crampi addominali, endometriosi…; altre dovettero ricorrere all’intervento chirurgico essendo l’aborto farmacologico incompleto.

La RU486 fu progettata negli anni ‘80 del XX secolo dal medico francese E. Beaulieu. Provoca l’aborto non chirurgicamente ma farmacologicamente assumendo “due pillole” entro la settima settimana di gravidanza (ora divenuta nona). La “prima pillola”, uccide il feto, mediante “600 milligrammi di mifepristone”, uno steroide sintetico che agisce bloccando l’azione del progesterone, l’ormone basilare della gravidanza. La “seconda pillola” composta da “400 milligrammi di misoprostol”, predispone il collo uterino all’espulsione feto. Tale processo, rischioso per la donna, provoca tra l’altro, una “tempesta ormonale” con può provocare anche disordini endocrini.

Per questo, la Determinazione AIFA (n. 1460 del 24 novembre 2009) che autorizzò il commercio delle pillole, su un punto fu molto chiara: “deve essere garantito il ricovero […] dal momento dell’assunzione del farmaco fino alla verifica dell’espulsione del prodotto del concepimento. Tutto il percorso abortivo deve avvenire sotto la sorveglianza di un medico del servizio ostetrico-ginecologico”.  Pure il Ministero della Salute nelle Linee Guida del 2010 obbligò il ricovero, rispondendo all’ interrogativo che molti si posero: “Perché un ricovero?”. “Per un’attenta sorveglianza sanitaria, in modo da ricevere un’assistenza immediata se si verifica un’emorragia importante”.

Le evidenze scientifiche

Il ministro Speranza giustifica le nuove Linee Guida sulla base di “evidenze scientifiche”.

L’ affermazione è falsa e menzognera non essendoci da quel lontano 2010 delle novità scientifiche che giustifichino la domiciliazione dell’atto: i princìpi attivi dei farmaci sono sempre gli stessi e la risposta delle donne resta variabile e personale.

Chiariamo subito che assumere queste pillole non è esattamente come prendere un’ aspirina anche se molti hanno presentano la “kill pill” come un aborto “semplice” rispetto al tradizionale non richiedendo l’intervento chirurgico, invece il procedimento non è innocuo ma zeppo di rischi e di controindicazioni. Infatti, la RU486, ha causato a centinaia di donne serie problematiche e provocato vari decessi. Un centinaio sono quelli denunciati dalla comunità scientifica, ma noi ne sospettano molti di più poiché le statistiche sono bloccate al 2014, quando anche in Italia ci fu la prima vittima presso l’ospedale Martini di Torino. Una donna di 37 anni, dopo la somministrazione del misoprostol fu vittima di un’acuta insufficienza cardiaca con esito fatale, nonostante i tentativi dei medici di rianimarla.

Effetti collaterali e decessi furono segnalati con evidente imbarazzo pure dall’ industria produttrice del farmaco, la francese Exelgyn e documentati da riviste scientifiche internazionali. Ad esempio uno studio del 2009, pubblicato sulla rivista Obstetrics & Gynecology, analizzò i fattori di rischio su 22mila donne che avevano assunto la RU486 e 20mila sottoposte ad aborto chirurgico. Risultato: la RU 486 aveva un rischio di complicanze quattro volte maggiori rispetto all’aborto chirurgico; 20% contro il 5,6%. Una ricerca del 2010 divulgata da The Annals of Pharmacotherapy analizzò 607 donne che avevano assunto la RU486. Risultato: 237 emorragie, 66 infezioni spesso accompagnate da choc settici, 130 donne subirono interventi d’urgenza per gravidanze extrauterine; unicamente 180 non ebbero “incidenti di percorso”. A seguito di questi risultati, negli Stati Uniti, la “Food and Drug Administration” (Agenzia del farmaco), impose l’applicazione di una “banda nera” sulle confezioni del medicinale. E nelle vecchie Linee Guida si affermava: “l’efficacia del procedimento è del 93-95%, e che quindi, nel 5% circa dei casi, è necessario sottoporsi comunque a un intervento chirurgico per completare l’aborto o fermare un’emorragia importante in atto”. Inoltre, è di questi giorni la notizia che Kevin Duffy, ex direttore di una clinica della Marie Stopes International, ha presentato al tribunale d’appello le prove della morte di due donne e del ricovero di molte altre, dovuti alla somministrazione domiciliare della RU486.

Avendo operando nel settore delle sperimentazioni cliniche per due decenni ho potuto constatare che qualunque farmaco con eventi avversi di questa gravità, sarebbe stato immediatamente ritirato dal commercio. Da ciò deduco che il superficiale sdoganamento della RU486 e il suo permanere sul mercato nonostante le nocività,  evidenzia chiaramente la “natura ideologica” dell’operazione.

 La solitudine della donna

Con le nuove Linee Guida, una donna assumerà il “mifepristone” e il “misoprostol” in day hospital, terminando poi l’aborto a casa, in ufficio, in viaggio…, dove capita, nell’assoluta solitudine e, lo ribadiamo nuovamente, rischiando gravi conseguenze fisiche e pericoli anche mortali. Ha affermato una donna: “contrazioni per dieci ore, sudorazione, grida: è stato psicologicamente spaventoso e fisicamente orribile”, perché “nessuno mi aveva preparato a cosa stesse accadendo. Un dolore di 9 o 10 in una scala da 0 a 10”. E un’altra aggiunge: “è stata l’esperienza peggiore, la cosa più dolorosa fisicamente e psicologicamente che abbia mai passato”. Pure Natascia è dello stesso parere: “Nel pomeriggio andai in bagno e lì avvenne l’ ‘espulsione’, come la chiamano i dottori. Un sorta di sacchetto rosso di sangue al cui interno c’era l’embrione. Lo vidi perfettamente. Lo presi, presi l’embrione, quello che sarebbe diventato mio figlio, e lo buttai con le mia mani nel wc. Poi continuai ad avere emorragie per altri 20 giorni. Non lo auguro neanche a un animale!”.

Ebbene, la donna è sacrificata, tradita, abbandonata e contemporaneamente ingannata!

La RU486 provoca un omicidio

La conseguenza del trattamento RU486 è l’uccisione di un essere umano  nella prima fase della vita, quindi un “omicidio” o meglio un “figlicidio materno”, poiché la madre, la prima responsabile dell’incolumità del figlio, è la colpevole come affermato da papa Francesco: “Ma come può essere terapeutico, civile, o semplicemente umano un atto che sopprime la vita innocente e inerme nel suo sbocciare? Io vi domando: è giusto ‘fare fuori’ una vita umana per risolvere un problema? Non si può, non è giusto ‘fare fuori’ un essere umano, benché piccolo, per risolvere un problema. E’ come affittare un sicario per risolvere un problema” (28 ottobre 2018).

Dunque, l’aborto chirurgico o farmacologico, è l’esercizio del “potere” di vita e di morte su un futuro uomo! Inoltre, l’interruzione volontaria della gravidanza, autorizzata e tutelata da un’opinabile normativa, evidenzia che “la forza” prevale sui “diritti” di chi non ha voce essendo piccolo, debole, fragile e indifeso.

L’estensione dei tempi

La procedura già incerta della RU486 diviene maggiormente precaria e diminuisce di efficacia con il trascorre del tempo. Per questo le Linee Guida del 2010 avevano determinato il periodo entro la 7° settimana. Le “Nuove” prolungheranno la possibilità fino alla 9° settimana con l’eventualità superiore che non concludendo  l’aborto farmacologicamente molte donne dovranno poi ricorrere a quello chirurgico.  Leggiamo in un report del 2014 dell’ American College Obstetricians Gynecologist (ACOG): “Il rischio di perdite di sangue importanti e di trasfusioni è minore nelle donne che si sottopongono ad aborto medico in gravidanze fino a 49 giorni rispetto a quelle che si sottopongono ad aborto medico oltre 49 giorni di gestione”. .

 Due pesi, due misure

Il ministro Speranza ha affermato più volte che nella gestione della pandemia il principio etico che lo ha guidato è stato quello della “precauzione”. E allora chiediamogli: “Come mai signor ministro lo stesso criterio non è stato seguito anche nei confronti delle donne che si avvalgono della RU486 ben sapendo che l’espulsione del feto abortito a casa potrebbe avere devastanti conseguenze?”.

La risposta è una sola. “Di fronte a queste ‘poverette’ lei non ha assunto come criterio la precauzione ma ha abbracciato una pessima bandiera ideologica. Si ricordi però che il  tentativo di mostrare l’aborto come un fatto privato, usuale, ordinario accanto alla decantata bonarietà dell’operazione abortiva, si trasforma in un’amara sensazione d’isolamento e d’abbandono. E, pur volendo ‘cancellare ogni traccia’, rimane indelebile l’uccisione di un uomo”.

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