Ad analizzare per Interris.it l’impatto dell’emergenza Covid sulle famiglie è il direttore del Centro internazionale studi famiglia (Cisf). “La crisi colpisce in maniera diversa e l’incertezza sulla riapertura delle scuole produce danni”.
“L’emergenza Covid non colpisce tutte le famiglie allo stesso modo. L’incertezza sulla riapertura della scuola a settembre penalizza i dieci milioni di nuclei familiari con figli in età scolare“, afferma a Interris.it il professor Francesco Belletti che insegna Politica sociale e Sociologia della famiglia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e dirige il Cisf (Centro internazionale studi famiglia).
Ha lavorato per oltre 15 anni come consulente e ricercatore libero professionista per enti pubblici e privati no profit su tematiche sociali. Docente di varie materie nel corso di laurea in Servizio sociale della Università Cattolica di Milano, dal 1990 collabora al Cisf (Centro internazionale studi famiglia) di Milano, dapprima come vice-direttore e dal 2000 come direttore (carica che ricopre attualmente). Dal 2009 al 2015 è stato presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari.
Lei professore vive a Milano con sua moglie e tre figli. Quale Italia scorge, dopo la fase più acuta pandemia, dal punto di vista delle famiglie?
“Nell’emergenza sanitaria c’è stato un pezzo d’Italia che non ha avuto particolari problemi economici. Mi riferisco in particolare al lavoro pubblico e ai quei settori che durante il lockdown hanno mantenuto il loro reddito. Il tema principale, invece, è l’impoverimento delle partite Iva, dei giovani precari e del pezzo d’Italia massacrato dalla pandemia”.
Con quali effetti?
“Da settembre la crisi economica si ripercuoterà in maniera ancora più pesante su molti settori che non sanno come ripartire. Questa estate il turismo italiano ha dato buona prova di sé, ma con presenze ridotte. Ci sono pezzi d’Italia che da febbraio soffre una drammatica situazione di incertezza che appare destinata a durare diversi anni. C’è, poi, una questione generazionale. Gli anziani hanno continuato a percepire una pensione durante il lockdown, i giovani precari, gli atipici e i lavoratori in nero sono rimasti senza niente”.
Chi altro è rimasto travolto dall’emergenza Covid?
“Soprattutto gli imprenditori e i piccoli artigiani. Il governo deve valutare differenze di progetto e differenziare le misure. Non si può proseguire con gli interventi a pioggia altrimenti non si raggiungono in maniera efficace coloro che hanno veramente bisogno”.
Quanto incide sulle famiglie l’incertezza relativa alla riapertura delle scuole a settembre?
“E’ un’insicurezza drammatica e inaccettabile che destabilizza le famiglie. A un mese dalla ripresa delle lezione il sistema scuole non è ancora stato in grado di fornire a 10 milioni di nuclei familiari le certezze su quanto tempo i figli trascorreranno in classe. E’ in base a questo che i genitori possono organizzare il loro tempo e articolare i loro impegni lavorativi”.
Quali fasce sociali si sono maggiormente impoverite?
“Tra i nuovi poveri ci sono molti lavoratori abusivi e in nero. Si tratta di centinaia di migliaia di situazioni di lavoro “cattivo”, cioè non regolamentato. Sono stati i primi a subire le conseguenze del lockdown e i provvedimenti di sostegno del governo non li ha intercettati. Perché perché ufficialmente loro non esistono, sono dei “sans papiers” e come tali non hanno accesso ad alcuna forma di aiuto pubblico”
E’ cresciuta la rete di solidarietà?
“E’ molto aumentata la richiesta di beni di prima necessità, cibo, viveri e pasti a domicilio, empori solidali, mense, vestiario, ma anche la domanda di aiuti economici per il pagamento delle bollette, degli affitti e delle spese per la gestione della casa. Nei centri Caritas è cresciuto anche il bisogno di ascolto, sostegno psicologico, di compagnia e di orientamento per le pratiche burocratiche legate alle misure di sostegno e di lavoro. Occorre parlare di reddito universale e di copertura a prescindere dal lavoro svolto. Le misure varate dall’esecutivo hanno riguardato solo la cassa integrazione e le partite Iva. Invece chi è fuori dal recinto del lavoro regolamentato, non ha avuto niente pur essendo la fascia sociale più colpita dagli effetti della pandemia”.
Nuove esigenze?
“Sì. Di fronte al mutare dei bisogni e delle richieste, sono cambiati anche servizi e interventi. Tra le novità. nei servizi di ascolto e accompagnamento vi sono stati in due mesi 22.700 contatti telefonici registrati o anche in presenza negli ospedali e nelle Rsa. Sono stati avviati supporti psicologici e iniziative di aiuto alle famiglie per smart working e didattica a distanza; gli interventi a sostegno delle piccole imprese, la fornitura di dispositivi di protezione individuale e di igienizzanti a 300 mila persone. Tra i servizi Caritas già presenti e potenziati, la fornitura di pasti da asporto e consegne a domicilio a 56.500 persone, le attività di sostegno per nomadi, giostrai e circensi costretti alla stanzialità, l’accompagnamento all’esperienza del lutto. Le Caritas hanno acquistato farmaci e prodotti sanitari; sono state rimodulate, trasformandole da centri diurni e centri di accoglienza, più di 64 strutture per oltre 1.200 posti in 42 diocesi per l’accoglienza aggiuntiva di persone senza dimora, oltre all’ospitalità residenziale ordinaria. C’è un’Italia che sopravviveva di lavoro in nero e sommerso: centinaia di migliaia di lavoratori dietro ai quali ci sono altrettante famiglie attaccate con le unghie e con i denti a piccole opportunità”.
Cosa rappresentano?
“Sono i primi che nei mesi di più acuta pandemia hanno riempito le mense della Caritas e i centri di ascolto delle realtà di solidarietà mai così mobilitate come durante il lockdown. Sono persone che finora erano sempre riuscite ad affrontare da soli le difficoltà e che, prima della chiusura per pandemia, riuscivano in qualche modo a restare in linea di galleggiamento senza dover ricorre al sostegno di strutture assistenziali. Nel 60% delle Caritas sono aumentati i volontari under 34, impegnati nelle attività e nei servizi, che hanno consentito di far fronte al calo degli over 65 rimasti inattivi per motivi precauzionali. Dobbiamo concentrare l’attenzione su un’area di notevole fragilità, molto estesa ma poco conosciuta: sono persone e famiglie che vivono di lavoro nero, senza protezioni, in una condizione di totale precarietà lavorativa e di strutturale insicurezza esistenziale. Sono gli invisibili che fanno fatica a rappresentarsi e a trovare un portavoce delle loro istanze”.
Giacomo Galeazzi
17 agosto 2020