Le nuove linee guida incidono sulla sostanza della 194: un intervento che richiederebbe non una circolare, com’è accaduto, ma un confronto parlamentare. È la tesi – che collima con quella firmata ieri su Avvenire da Eugenia Roccella e Assuntina Morresi – espressa da Alberto Gambino, giurista e presidente di Scienza & Vita.
Ci può spiegare cosa intende?
Le linee guida ministeriali non hanno forza di legge, né sono vincolanti per le Regioni che in tema di tutela della salute hanno competenza legislativa. La legge 194 indica una procedura che inizia con una fase informativa per rimuovere le cause che possono condurre a una richiesta abortiva,e prosegue eventualmente con la rilevazione di seri pericoli per la salute della donna che giustificano l’interruzione di gravidanza in ospedale. Fuori da questo protocollo sanitario l’aborto è e resta un reato punibile. Un nuovo
protocollo sanitario che preveda l’aborto chimico, con tempi, procedure e valutazioni ridotti, per essere ritenuto conforme al dettagliato e per molti versi insoddisfacente bilanciamento di
interessi della 194 dev’essere valutato in un dibattito legislativo e non sbrigativamente risolto da un atto ministeriale che non ha alcuna forza giuridica per derogare a quello che altrimenti resta un reato.
La 194 parla di aborti negli ospedali e non contempla altri luoghi. Si potrebbe dire che dal 1978 le cose sono cambiate e che c’è un farmaco che allora non si immaginava. Cosa risponde a questa obiezione?
Che anche per questo la legge 194 deve essere rivista e non lasciare che siano prassi o linee ministeriali a segnare nuovi protocolli sia per le cautele rispetto alla vita nascente, che la legge prevede nella prima parte, sia rispetto alla salute della donna che riceve tutela nella seconda.Il tema merita una presa di coscienza di Parlamento e società civile: è intellettualmente poco onesto risolverlo a cavallo di Ferragosto con un provvedimento annunciato sui social e un intento più propagandistico che rispettoso della delicatezza del tema.
Chi ha promosso le nuove regole dice che sono una garanzia per la salute delle donne…
In Italia non esiste – legislativamente parlando – una libera e assoluta scelta di abortire: la legge 194 indica solo alcune condizioni. Inoltre se passa l’idea che la pillola abortiva diventa una sorta di rimedio contraccettivo, mentre si sopprime una vita umana, si ribalta la pur discutibile legge 194 che vieta di usare l’interruzione della gravidanza per il controllo
delle nascite.
Un passaggio parlamentare a cosa servirebbe?
Intanto, a rispettare quella che i giuristi chiamano gerarchia delle fonti: solo la legge può disciplinare diritti e doveri dei cittadini, e non certo l’autorità governativa. Inoltre, potrebbe essere l’occasione per un dibattito maturo e unitivo sugli strumenti più efficaci per rimuovere le cause sociali che possono portare a drammatiche richieste abortive.
Per paradosso, chi difende la vita si sta trovando a richiamare al rispetto della 194…
La difesa non è della legge ma delle fragilità umane, sempre e ovunque. Nell’aborto c’è una prima vittima che è il bambino non nato, e una seconda che è la donna col suo trauma. Se il trauma, con l’aborto chimico, si acuisce in termini fisici e psicologici è doveroso farsene carico mettendo a nudo la propaganda di chi lo indica quale percorso di progresso, omettendo le reali ragioni del risparmio economico sui costi della degenza.
La legge andrebbe modificata?
C’è una soluzione concreta: l’adozione alla nascita da offrire subito a chi non desidera diventare madre. Non si conculca la determinazione della donna, come dicono i detrattori, perché si offre solo una possibilità in più. Sfido chiunque a sostenere che è meno traumatico sopprimere la vita che si ha in grembo anziché farla nascere e lasciare che siano altri ad occuparsene.
Si sente parlare di un ‘diritto di abortire’. Esiste davvero?
Se si sta alla lettera della legge 194, non c’è un diritto di scelta assoluto della donna:la possibilità di abortire è condizionata alla sussistenza dei pericoli seri nella prosecuzione della gravidanza. Tuttavia il fatto che la valutazione di tali pericoli sia attribuita solo alla donna porta inesorabilmente a interpretarlo come un vero e proprio diritto.
di F. Ognibene
Avvenire, 19 agosto 2020