Caro direttore,
da più di vent’anni affianco donne in conflitto per una maternità inattesa. Posso dire che è in nome di una falsa libertà che la donna è lasciata sola nel momento più delicato in cui avrebbe bisogno di trovare uno spazio dove essere ascoltata e aiutata a prendere consapevolezza del figlio che sta crescendo dentro di lei e a liberarsi da condizionamenti sociali, culturali o da pressioni che subisce da chi ha vicino. Tante volte ho sperimentato che – con l’ascolto profondo e una reale condivisione delle problematiche – preoccupazioni e paure si ridimensionano e la donna trova fiducia in se stessa e forza per far nascere il suo bambino e non farsi del male. L’aborto infatti, oltre a spegnere la vita del piccolo, è un evento traumatico anche per la mamma che porta questa sofferenza nel silenzio e nella solitudine perché non è un dolore socialmente riconosciuto e accolto. Ho condiviso il pianto straziante di molte donne che portano nel cuore tanta nostalgia per quel figlio che, anche se ha abitato il loro grembo per poche settimane, ha lasciato un’impronta dentro di loro. Solo quando il dolore è accolto ed elaborato può restituire serenità e fiducia.
L’ultima che ci ha contattato pochi giorni fa è Patrizia, una mamma che ha vissuto sulla propria pelle questa esperienza di lutto ma anche di rinascita, per raccontarci la sua storia, chiedendoci di farla conoscere e dando disponibilità a incontrare chi vive situazioni analoghe. La sua storia è stata un vero pugno nello stomaco, anche per noi che ne abbiamo già sentite tante. Mi sembra che molti oggi parlino di donne e aborto senza conoscere davvero l’impatto profondo che questa esperienza ha su di loro. Patrizia ha sperimentato la differenza tra racconto comune e realtà dei fatti, una realtà nel suo caso ancora più dolorosa perché aggravata da un’ulteriore ferita.
Anche per la Ru486, di cui oggi si intende favorire sempre più l’utilizzo, la narrazione è lontana dall’esperienza vissuta: questa pillola causa un aborto più lungo, più doloroso, più impattante dal punto di vista psicologico… ma le donne con cui parliamo non sono consapevoli di quello che potrebbe succedere anche a loro, nessuno gliene parla. Perché aggiungere dolore a dolore?
Lasciamo parlare Patrizia: «Sono la mamma del piccolo Giovanni: 11 settimane e 4 giorni dopo il concepimento e poi basta. Solo 3 giorni mi separavano dal non poter più decidere che Giovanni sarebbe stato un problema. Sì, perché la legge, giusta per noi donne – così pensavo –, quella che ci permette di essere libere dai ‘problemi’, dice che 11 settimane e 4 giorni non sono vita. Che strano, però… Io una volta, una sola volta ho parlato con Giovanni, che non era vita ma mi aveva fatto venire uno strano svenimento e la nausea, tipico malessere della vita che una donna porta in grembo. Che succede, Giovanni? Perché ti ribelli? Perché mi fai venire un mancamento? Perché la nausea? Scusami piccolino, dissi in bagno a Giovanni, non posso, non posso… Così – era il 2002, giugno – ti ho fatto andare via: saresti nato a dicembre, come Giacomo, tuo fratello maggiore. Troppi impegni, il lavoro, i soldi, la casa, la baby sitter… non potevo, no. Due figli costano sacrificio, ne stavamo facendo di enormi io e il babbo, tu non eri nei nostri piani, adesso… dopo semmai, adesso no. Avevo tanta fretta di eliminare questo ‘problema’, e non avrei permesso nessuna interferenza. Pensandoci… nessuno ha interferito. Bene. Sono una donna libera di decidere chi e quando far nascere. Se decido che adesso Giovanni non deve nascere, lo farò. Nascerà un’altra volta… magari quando il lavoro si sistema, la casa diventa grande e il fratellone sarà più autonomo. Giovanni, adesso saresti un ragazzo di 19 anni. Mi abbracceresti, lo so… Mi consoleresti e piangeremmo e rideremmo delle difficoltà come facevamo con tuo fratello, Giacomo il maggiore, che un cancro ha portato via. Rideremmo dei problemi che allora sembravano insormontabili… Qualcuno ti avrebbe accudito da piccolo, Giovanni. Ci saremmo stretti nella cameretta, qualcuno ci avrebbe aiutato a pagare le bollette. Tutto passa, i problemi si risolvono, Giovanni. La mamma, te lo prometto, aiuterà come potrà altre mamme, che per paura non conosceranno mai il volto del loro bambino, come io non conosco il tuo. Chi potrà mai ricucire questo strappo al cuore? Perché non guarirà mai, non si dimenticherà una vita che stava crescendo dentro te. Troppo tardi ho capito che dare la vita è la cosa più grande al mondo, che sconfigge ogni difficoltà. E questo Dio lo sa… Sì, Dio lo sa».
Oggi in Italia ci sono più di 4 milioni di donne che hanno abortito. Chi pensa a loro? Chi ascolta la loro voce?
Franca Franzetti
Ass.Comunità Papa Giovanni XXIII Servizio Famiglia e Vita
Operatrice Numero verde per le maternità difficili
19 settembre 2020
https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/non-chi-dice-aborto-aborto-ascoltiamo-la-vita-delle-donne