L’Italia stia attenta. Quando i contagi sembrano bassi bisogna aggredire ancora di più con test, tracciamenti e regole sugli assembramenti.
Ma che ha combinato la Francia per ritrovarsi così? Speravamo in una risposta semplice e per noi assolutoria da parte di Vittoria Colizza, 41 anni, romana, direttrice a Parigi del laboratorio Epicx, Epidemics in complex environments, che fa modelli di diffusione delle epidemie all’Inserm, l’Istituto francese di ricerca medica. Invece ci riporta alla realtà: «È successo ciò che può accadere ovunque. Il controllo di un’epidemia è un equilibrio instabile. Basta perdere il passo con test e tracciamenti, allentare un po’ più del dovuto misure di prevenzione o regole sugli assembramenti. I casi iniziano a sfuggire lentamente, poi in modo più rapido. A quel punto l’epidemia può prendere il sopravvento. Riportarla alle condizioni di partenza diventa assai difficile».
Non esiste dunque il segreto dell’insuccesso francese?
«Come negli altri paesi europei, molti fattori interagiscono. In Francia la riapertura delle attività economiche, anche se progressiva, è stata pressoché totale. Il telelavoro è ridotto al minimo. Dopo la fine del lockdown, l’11 maggio, si è sentita la cosiddetta stanchezza da Covid. L’attenzione generale è calata. In vacanza le precauzioni cui eravamo abituati sono state dimenticate. Da luglio la circolazione ha iniziato ad aumentare fra i giovani. Col ritorno in famiglia, a scuola e al lavoro, il virus si è diffuso alle altre fasce d’età».
Uno scenario simile a quello italiano. Dobbiamo preoccuparci?
«È lo scenario di tutta l’Europa, con un mix di fattori diverso ma non troppo. Il segreto è non offrire al virus alcun vantaggio. Quando i contagi sembrano bassi, è il momento di aggredire ancora di più, con test, tracciamento e regole sugli assembramenti. La Francia fa più tamponi dell’Italia, 1,2 milioni a settimana. Eppure non bastano, perché l’epidemia è in parte sfuggita di mano e i ricoveri nell’area attorno a Parigi raddoppiano ogni due settimane. Per riprendere il controllo occorre intervenire rapidamente. Anche nel migliore dei casi, ci vorranno settimane per un cambiamento di tendenza».
Cosa prevedete per l’inverno?
«Vivremo al chiuso e perderemo l’abitudine di aprire le finestre. Questo favorirà la diffusione. Ma non c’è un futuro già scritto, uno scenario ineluttabile. Dipende da noi».
Avete già le prime osservazioni sulla riapertura delle scuole?
«In Francia le scuole hanno riaperto a maggio su base volontaria, con il 20% di presenze e una ventina di focolai. Il nuovo anno è iniziato il 1° settembre. Alcune centinaia di classi vengono isolate ogni settimana, i casi asintomatici mettono in difficoltà il tracciamento. Ma la volontà è di tenere aperte le scuole. Abbiamo l’impressione che i bambini piccoli siano poco contagiosi, quelli di medie e superiori di più».
I test dell’Italia per chi proviene dalla Francia saranno utili?
«Sì, ma su questo fronte l’Europa avrebbe dovuto agire in modo molto più coordinato».
La letalità del virus si è abbassata?
«Sì, è una buona notizia. Il virus non è diventato buono: il profilo dei pazienti ricoverati è lo stesso di marzo. Ma si riduce la percentuale di chi passa dal reparto normale alla terapia intensiva, si accorciano i tempi di permanenza in terapia intensiva e cala la mortalità. I pazienti sono curati meglio e abbiamo farmaci che aiutano il trattamento.
Elena Dusi
La Repubblica
23 Settembre 2020