L’intervento dell’on. Monica Cirinnà all’indomani dell’iniziativa di alcuni comuni italiani di stanziare un piccolo fondo per aiutare le mamme ad accogliere la vita non è solo ingiurioso nei confronti delle donne ma esprime “quell’arroganza culturale che sempre più promuove l’aborto come un diritto ineludibile”.
L’on. Monica Cirinnà frequenta i salotti della politica e della televisione ma evidentemente non conosce la realtà di quella fascia della popolazione che vive del poco e manca di molte cose. Per questo non riesce a capire come sia possibile che un modesto sostegno economico possa favorire la scelta della maternità e si scaglia a spada tratta contro quei Comuni che hanno deciso di offrire un sussidio di 160 euro mensili alle donne in gravidanza che sperimentano difficoltà di natura economica.
Da sempre impegnata a difendere i diritti di cani e gatti – a favore dei quali ha scritto più di un libro – trascura i diritti delle donne e dei bambini e dimentica che lo Stato “garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”. Sono parole che troviamo all’inizio della famigerata Legge 194, quella che ha istituito l’aborto legale non come un diritto assoluto ma come un’extrema ratio che dovrebbe essere evitata. Tant’è vero che la stessa Legge invita le istituzioni pubbliche a trovare tutte le possibili soluzioni utili “a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza”; e per favorire un’azione concertata e più efficace, chiede di avvalersi “della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita” (art. 2).
Questa è la Legge dello Stato. Stando alla lettera, nessuna donna deve essere costretta ad abortire dalle necessità materiali o dalle condizioni sociali. Il Comune di Iseo, e le altre amministrazioni municipali che si muovono nella stessa direzione, non fanno altro che dare pratica applicazione alle indicazioni normative.
E questa è invece il pensiero dell’on. Cirinnà: contro la logica del buon senso e contro la stessa Legge, la senatrice parla di “un ennesimo attacco alla libertà di scelta delle donne” ed afferma che “la scelta di diventare madre o no non si compra, ma deve restare affidata alla responsabilità e alla libertà della donna di autodeterminarsi senza costrizioni”. Il contributo previsto per lei è solo fumo ideologico.
Parole gravi e ingiuriose nei confronti delle donne: nessuna di loro accetta di portare avanti la gravidanza unicamente perché ha ricevuto un contributo economico ma sapere di poter contare sulla presenza dello Stato e della società civile rappresenta certamente un incentivo, un modo per sentirsi meno sola dinanzi alle oggettive difficoltà della maternità. Per una donna è importante sapere che quel figlio che porta in grembo non è solo un problema suo ma è riconosciuto come una risorsa di tutti. È questo il primo e più grande sostegno. In fondo, è questa la ratio che presiede ogni forma di intervento sociale a favore delle categorie più disagiate.
Non sono parole retoriche. In questi anni, insieme a tanti volontari riuniti nell’associazione Progetto Famiglia Vita, abbiamo avuto la possibilità di fare tanti colloqui con mamme che avevano difficoltà ad accogliere la vita. Talvolta anche gravi. E abbiamo sempre sperimentato che nessuna di loro getta la vita senza sentirsi ferita e senza percepire che, insieme al bambino, sta amputando una parte di sé. Tante volte lo fanno perché non hanno alternativa. Almeno così sembra. Tante volte basta una parola, basta dire: “non sei sola, siamo con te”. E tutto cambia, una luce s’accende e la vita trionfa. E quel bambino nasce. Quanti bambini sono nati grazie ad una parola, bambini che oggi hanno una storia da vivere e da raccontare, bambini che possono contribuire a rendere più dignitosa la vita di tutti.
L’on. Cirinnà invoca la libertà delle donne. Un principio sacrosanto da applicare con lealtà. Dimentica però un dettaglio, non marginale: la libertà individuale non può esercitata in modo arbitrario quando è in gioco la vita di un altro essere umano. Sfido chiunque a negare che il nascituro sia altro dalla madre che lo porta in grembo e che sia un essere umano. Lo dimostra il fatto che ha un suo codice genetico. Affermare il contrario – e cioè che sia solo una parte del corpo della donna – è cosa assurda per ragione scientifica.
È interessante sapere che l’on. Cirinnà, a cui tanto sta a cuore la libertà delle donne, è favorevole alla maternità surrogata, cioè a quelle donne che portano in grembo un bambino a nome di altri e, subito dopo il parto, lo consegnano ai legittimi committenti. Ovviamente, sappiamo tutti che, dove questa pratica viene riconosciuta, la disponibilità della donna non è affatto disinteressata ma richiede un costo. Insomma, questa sì è una maternità a pagamento. Una pratica che calpesta la dignità della donna e del bambino.
L’intervento della senatrice non è un masso errante ma s’inscrive in un’offensiva ideologica contro ogni pur timida difesa della vita nascente. Lo scenario culturale e legislativo diventa sempre più oscuro. In America, alcuni Stati hanno approvato una legge che permette di abortire anche al nono mese di gravidanza. In Francia sta per essere approvata una legge che allarga le maglie dell’aborto e riduce o addirittura calpesta il diritto all’obbedienza di coscienza. In Italia l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) abolisce l’obbligo di ricetta medica per “la pillola dei cinque giorni dopo”, cioè quella che serve per impedire una gravidanza. Insomma, è una vera e propria guerra santa.
Dinanzi all’arroganza di un potere culturale che sempre più difende e promuove l’aborto come un diritto ineludibile, mi vengono in mente le parole, semplici e chiare, che don Oreste Benzi pronunciò anni fa nel corso di un’audizione alla Camera dei Deputati (2006): “La donna ha dei diritti verso la società. Ma nei confronti dei figli ha solo dei doveri, in primo luogo il dovere di farlo nascere”. Parole semplici e severe che nascevano dall’esperienza. Don Oreste non frequentava i salotti buoni della borghesia, lui stava con gli emarginati di ogni specie e cercava di liberare le donne dalla schiavitù sessuale della prostituzione. Quelle abbandonate da tutti. Don Benzi aveva il diritto di parlare delle donne e alle donne.
La voce pro-life fatica a farsi strada nel contesto di una cultura in cui l’aborto è diventato una bandiera. Non possiamo né dobbiamo lasciarci intimidire. La storia insegna che ci sono battaglie che possono essere vinte solo con la perseveranza e la testimonianza. Fino al martirio.
di Silvio Longobardi – puntofamiglia.net 18 ottobre 2020
PREGHIERA
Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata…
Ci alzeremo ogni volta che la sacralita’ della vita viene attaccata prima della nascita.
Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l’autorita’ di distruggere la vita non nata…
Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un’emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio…
Ci alzeremo quando l’istituzione del matrimonio viene abbandonata all’egoismo umano… e affermeremo l’indissolubilità del vincolo coniugale…
Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche… e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell’individuo ma anche per quello della società…
Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l’energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia…
Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.
Giovanni Paolo II