Il tribunale del Regno Unito si occuperà della battaglia di Heidi Crowter contro la legge che autorizza l’aborto dei disabili come lei fino alla nascita
Heidi Crowter ci è riuscita: dopo mesi di campagne e battaglie legali, l’Alta Corte di Inghilterra e Galles si occuperà della storica sfida lanciata dalla ragazza contro la strage dei disabili autorizzata dalla legge britannica attraverso l’aborto fino alla nascita.
Tempi vi aveva già raccontato la storia di Crowter, quella di una giovane attivista 25enne affetta dalla sindrome di Down: è grazie a lei se l’Assemblea dell’Irlanda del Nord ha approvato a giugno una mozione per respingere la legalizzazione dell’aborto subdolamente imposta al paese dal governo britannico durante la paralisi istituzionale. Crowter era riuscita allora a compattare il fronte per la vita e la Chiesa, spingendo i parlamentari, ai quali aveva indirizzato una toccante lettera, a prendere una posizione netta di fronte a Westminster.
«PER LA LEGGE NON DOVREI ESISTERE»
La sfida passa ora all’Alta Corte inglese, dove la richiesta di riesame giudiziario dell’attuale legge che consente ai genitori di interrompere la gravidanza in qualsiasi momento qualora il feto presenti una trisomia è stata accolta. «La legge attuale è ingiusta. Mi fa sentire come se non dovessi esistere, come se avessi dovuto morire. La politica fondamentalmente dice che è normale che un bambino con sindrome di Down venga ucciso appena prima di nascere. E questa è per me una questione di enorme importanza, perché io ho la sindrome di Down, so cosa significa averla, anche mio marito ce l’ha». Toccherà al governo dover dimostrare che uccidere i bambini con la sindrome di Down non li discrimina.
Nel Regno Unito l’aborto è legale fino alla 24esima settimana, tranne quando il proseguimento della gravidanza è pericoloso per la salute fisica o mentale della madre, o nei casi in cui il bambino «soffre di anomalie fisiche o mentali, o è gravemente handicappato». Secondo Máire Lea-Wilson, mamma di un bambino di 16 mesi affetto da sindrome di Down, che ha presentato richiesta di riesame all’Alta Corte insieme a Crowter, la discriminazione è evidente e la legge è obsoleta, «viviamo in una società che proclama di dare importanza alle persone con disabilità e ha fatto una bandiera dell’equità e dell’uguaglianza». Eppure, quando in grande ritardo, alla 34esima settimana di gestazione, è stata diagnosticata la trisomia 21 del suo Aiden, le è stata offerta per tre volte la possibilità di abortirlo.
AIDEN, CHE DOVEVA ESSERE UN INFERNO
Aiden sarebbe nato solo due settimane dopo e «durante questo periodo di grande vulnerabilità, mi è stato ripetuto solo che mio figlio non sarebbe stato in grado di vivere in modo indipendente, forse non sarebbe stato in grado di camminare o parlare, avrebbe subito interventi chirurgici per correggere i suoi problemi intestinali ed eventuali difetti cardiaci congeniti, che aveva un’alta probabilità di morire in utero e che avrebbe reso le nostre vite un calvario». Lea-Wilson non sapeva molto della sindrome di Down ma queste ripetute richieste di sottoporsi ad aborto le avevano fatto pensare a una malattia infernale. E invece, «invece Aiden è una delizia», la donna è grata della sua esistenza e felice di averlo messo al mondo. Quello che la spaventa non è la sindrome di Down ma la legge britannica scritta per sopprimere scientificamente i bambini come il suo. Secondo l’avvocato delle due donne il processo potrebbe cominciare all’inizio dell’anno prossimo.
Caterina Giojelli
21 ottobre 2020