Riceviamo, e con piacere pubblichiamo, da un medico con notevole esperienza professionale e istituzionale.
Siamo ancora in tempo per non ripercorre la strada della soluzione in apparenza facile di un nuovo lockdown? Una strada che questa volta sarebbe devastante per molte categorie, e favorirebbe quell’aumento delle disuguaglianze verso il quale ha messo in guardia il Capo dello Stato, qualche giorno fa in un messaggio all’assemblea della Cna e al congresso dell’Uncem.
In un momento di così straordinaria difficoltà, quali possibili innovazioni e percorsi virtuosi vanno intrapresi per arginare quel fiume in piena di persone che, grazie anche a una comunicazione mediatica di frequente “terrorizzante”, si riversa nei pronto soccorso o intasa le richieste di esecuzione di un tampone? Provo ad avanzare qualche proposta concreta, partendo dalla mia personale esperienza di medico, se pure in questo momento non esposto in prima linea.
È necessaria anzitutto una corretta comunicazione: informazioni serie tranquillizzano, e se si è più sereni si opera meglio. Va spiegato a tutti quali siano i sintomi reali di un sospetto Covid, che diano l’indicazione a recarsi ad un pronto soccorso. Va illustrato quando è effettivamente necessario eseguire un tampone, in particolare se asintomatici, con un contatto a rischio. Anche alla luce delle più recenti indicazioni del Ministero della Salute, le persone devono avere più chiaro di quanto non sia stato finora come la precoce esecuzione del tampone non solo potrebbe essere fuorviante nel risultato, ma persino dannosa: essa infatti genera un’eccessiva “sicurezza”, proprio perché il tampone è l’“istantanea” di una condizione che potrebbe svilupparsi diversamente.
Non è ancora tardi per spiegare quali siano le persone più vulnerabili a questo virus: non necessariamente le persone anziane di default, bensì quelle fragili per alcuni tipi di patologie, che spesso, ma non solo, colpiscono chi ha superato una certa età. A tale proposito, questo sarebbe potuto essere – ma forse lo è ancora – il momento giusto per un discorso di promozione alla salute per anni rimasto solo a parole: il momento giusto per promuovere quegli stili di vita che consentano di arginare, se non di abbattere, i fattori di rischio che spesso sono alla base di quelle patologie tanto prese di mira dal virus.
Chi può farsi carico di tutto questo? Qualcuno di cui fidarsi e che meglio conosca la storia sanitaria di ciascuno di noi: questo “qualcuno” è il medico di famiglia. Se ne sta parlando: fermo restando che, come per ogni categoria, esistono persone virtuose e meno virtuose, professionali e meno professionali, sensibili e non, disponibili e non, può un massimalista in un’emergenza come questa riuscire a fronteggiare un simile carico? Non è il momento di aprire le mutue a tutti coloro che, anche per età e freschezza di studi, potrebbero per disponibilità e maggior entusiasmo, con una concorrenza “sana”, favorire una ridistribuzione dei pazienti sul territorio? E se questa soluzione dovesse risultare troppo “complessa” nella realizzazione, i neolaureati o neospecializzati potrebbero affiancare i titolari per fornire un ausilio concreto, fondamentale nel primo livello sanitario sul territorio.
Se parliamo di “stato d’emergenza”, lo sia per tutti. In questo caso significherebbe cedere una parte del proprio “territorio lavorativo” a vantaggio non solo di linfa nuova data da giovani medici desiderosi di rendersi utili, ma anche e soprattutto a vantaggio di colleghi che stanno andando in affanno negli ospedali e di cittadini che hanno il diritto di sentirsi rassicurati e non abbandonati.
Nihil est quod non expugnet, pertinax opera et intenta ac diligens cura .
Ott 31, 2020
Covid-19: proposte operative per allargare e aiutare il fronte sanitario