Da quasi un anno combattiamo contro un virus, il Sars-Cov2, del quale non sappiamo ancora un granché. Né quando sia nato, né come sia nato: la mitologia dell’origine al mercato di animali vivi di Wuhan è ormai ampiamente superata . È d’accordo anche Giorgio Palù, professore emerito dell’Università di Padova e past-president della Società italiana ed europea di Virologia. «Trattandosi del primo Coronavirus pandemico è difficile fare delle previsioni e per lo meno fantasioso prospettare ondate in successione. È doveroso ammettere di non sapere. Nel prospettare la durata nel tempo di Covid-19 mi baso sull’esperienza di quanto avvenuto in passato con virus pandemici appartenenti ad altre famiglie, in particolare ai virus influenzali che sono accomunabili ai coronavirus per modalità di diffusione e per letalità».
«Lo confermo. Certo che almeno un virologo avrebbe dovuto esserci fin dall’inizio, pur riconoscendo che va dato spazio anche a esperti di varie discipline della biomedicina rilevanti per una malattia di natura pandemica. Va segnalato che voi giornalisti avete definito virologi tutti gli esperti intervistati, anche professionisti che nulla hanno a che vedere con la virologia. Questa non è stata una corretta informazione per la popolazione che incolpa proprio questi virologi di idee contraddittorie e di battibecchi sui media che confondono e disorientano. La virologia è una scienza esatta, che studia la genetica e la riproduzione dei virus, l’interazione tra virus, ospite e sistema immunitario, i meccanismi di malattia, i bersagli di nuovi farmaci, il disegno di vaccini innovativi oltre che occuparsi di diagnosi e monitoraggio terapeutico. L’importanza della virologia è dimostrata dai numerosi premi Nobel per la fisiologia o la medicina assegnati ai virologi per scoperte fondamentali; vorrei ricordare tra questi anche gli Italiani Salvador Luria e Renato Dulbecco e i tre vincitori del Nobel di quest’anno».
Lei non esclude che il Sars-Cov2 sia un virus artificiale?
«Non si può dire che lo sia e non si può escludere che non lo sia. Se i cinesi collaborassero potremmo saperne di più, ma dai virologi di Wuhan non sono arrivate informazioni sui Coronavirus del pipistrello che in quel laboratorio erano da tempo studiati e tenuti in coltura. Certo è che questo virus, che discende da un virus del pipistrello per il 96% del suo genoma, ha acquisito delle sequenze affatto peculiari che lo hanno reso adatto ad infettare l’uomo che è ora diventato il suo ospite naturale. Tale acquisizione sembra essersi verificata in un unico evento, e le sequenze neo-acquisite non hanno subito modificazioni nonostante Sars-Cov2 abbia infettato milioni di persone al mondo. Il virus è oggi così umanizzato da non essere più in grado di infettare le cellule di pipistrello».
Uno studio del Mario Negri di metà ottobre ha rivelato come a Bergamo il 38,5% della popolazione abbia sviluppato gli anticorpi al virus, ovvero il doppio di quella di New York, e oltre il triplo di Madrid, seconda per letalità al mondo dopo Bergamo. Com’è possibile?
«È dipeso dall’elevata circolazione del virus nella bergamasca. Sars-Cov2 ha infettato e immunizzato un numero elevato di soggetti che hanno sviluppato anticorpi neutralizzanti, tanto che oggi quelle zone sono le meno colpite dal Covid-19. Il virus è circolato diffusamente in Lombardia, la prima regione interessata dall’epidemia, per varie ragioni: elevata densità abitativa, intasamento dei pronto soccorso, eccesso di ricoveri ospedalieri in mancanza di un filtro territoriale, conseguente diffusione nosocomiale del contagio anche per assenza di adeguati dispositivi di protezione e successiva esplosione in comunità. Più aumentava l’incidenza cumulativa dei nuovi casi più aumentavano i casi gravi e quelli letali, soprattutto perché in Lombardia era stata ampiamente superata la disponibilità di posti letto nelle rianimazioni».
Ma le mancate autopsie e gli intasamenti delle terapie intensive non bastano a spiegare cosa sia accaduto a Bergamo: migliaia di persone sono morte a casa, in tre giorni…
«Credo che quanto accaduto sia in larga misura conseguenza di come è stata gestita la pandemia, più come problema assistenziale in una competizione pubblico-privato che come emergenza di sanità pubblica. Il nostro sistema sanitario era impreparato, si trattava comunque di patologia causata da un nuovo virus, il primo Coronavirus pandemico, della cui insorgenza i cinesi avevano dato informazione molto tardiva. Sembra infatti dall’analisi del genoma, che come un orologio traccia il percorso evolutivo del virus, Sars-Cov2 circolasse da uomo a uomo sin da settembre 2019, ma l’Occidente lo ha saputo solo a gennaio 2020».
Qualcuno parla già di terza ondata, Lei sostiene che invece solitamente pandemie di questo tipo come in passato durino due anni al massimo…
«L’Italia non è mai uscita dalla prima ondata, come invece ha fatto la Cina, con una curva del contagio completamente azzerata ed un andamento perfettamente speculare della fase ascendente e discendente a tracciare una perfetta gaussiana. Anche se a un tasso ridotto, il virus in Italia ha continuato a circolare anche d’estate. E la popolazione del Sud, che era stata risparmiata dalla pandemia che invece aveva colpito di più il Nord, non ha ancora gli anticorpi per resistere al virus. Avremo quindi diffusioni non uniformi e asincrone del contagio non solo in Italia ma nel resto del globo».
E quanto durerà ancora?
«Trattandosi del primo Coronavirus pandemico è difficile fare delle previsioni e per lo meno fantasioso prospettare ondate in successione. È doveroso ammettere di non sapere. Nel prospettare la durata nel tempo di Covid-19 mi baso sull’esperienza di quanto avvenuto in passato con virus pandemici appartenenti ad altre famiglie, in particolare ai virus influenzali che sono accomunabili ai coronavirus per modalità di diffusione e per letalità».
Felice Manti, Edoardo Montolli
Il Giornale
9 Novembre 2020