Nei giorni scorsi hanno fatto scalpore le parole di un parroco di Macerata, don Andrea Leonesi, che ha chiesto durante un’omelia se fosse più grave l’aborto o la pedofilia.
La domanda ha suscitato tanto scalpore che è finita in televisione, in un servizio de Le Iene, dove Nina Palmieri ha più volte ribadito che è un insulto paragonare un crimine esecrabile come la pedofilia a un diritto delle donne protetto da una legge dello Stato (n.194 del 1978).
Insomma, l’aborto si riconferma il solito tabù: un mostro sacro intoccabile, del quale non si può neanche più parlare.
E invece ci sono quattro cose da dire.
Primo.
L’aborto è l’uccisione volontaria e premeditata di un bambino innocente: il dato reale e oggettivo è questo. Nel grembo materno, dal momento del concepimento c’è un individuo della specie homo sapiens dotato del suo unico e irripetibile patrimonio genetico, dotato della sua autonomia rispetto all’organismo materno, che ha già in sé, in quella prima unica cellula (lo zigote), tutto quanto gli occorre per diventare uomo o donna, senza alcuna soluzione di continuità, dal giorno uno fino al giorno della sua morte, magari 99 anni dopo: questo è un dato di fatto scientificamente acclarato e inoppugnabile. Che l’aborto uccida un bambino, quindi, è fuori discussione.
Si può tentare di giustificare la cosa perché si ritiene che il piccoletto non sia una persona, così come, fino al 1865, si ritenevano i neri non-persone, negli Usa; o come si ritenevano non-persone gli Ebrei ai tempi del Nazismo; oppure si ritiene che la madre abbia il diritto di disporre della vita dei figli, come nell’antica Roma quando c’era lo ius vitae ac necis del pater familias; oppure si ritiene che il principio di uguaglianza valga senza distinzioni di sesso, razza, lingua ecc., ma non valga in ragione dell’età. Insomma, di scuse per legalizzare l’aborto ce ne sono diverse, ma la sostanza dell’atto non cambia.
Secondo.
Porsi il problema se l’uccisione sia peggiore di un abuso sessuale è un assurdo (e l’intento del sacerdote era certamente provocatorio). Gli abomini in quanto tali non sono graduabili. Anzi. A detta di don Fortunato Di Noto, che con l’associazione Meter, combatte la pedopornografia da più di trent’anni e si prodiga per il recupero dei bambini abusati, “La pedofilia è un omicidio psichico”. Anche la pedofilia uccide, pur senza fermare fisicamente il cuore della vittima. “Il bambino è tradito, manipolato, può andare incontro a uno stato dissociativo, a una grave depressione, a sensi di colpa intensi che minano il senso della propria identità. Nei soggetti prepuberi, ciò che si va a colpire è l’evento trasformativo fisico e psichico dell’adolescenza. Gli effetti di questo omicidio psichico sono permanenti e perduranti nelle relazioni affettive e sociali.”
Quindi, se ancora la pedofilia ci fa orrore (eppure qualcuno da tempo ha cominciato a ragionarci su, dicendo che esistono “pedofili buoni”, e l’Associazione degli Psicologi Americani, APA, l’ha derubricata da disturbo a orientamento sessuale, come tanti…), altrettanto orrore dovrebbe fare l’aborto: in tutti e due i casi c’è un “grande” che abusa di un “piccolo”.
Il problema vero non è se la pedofilia sia più o meno grave dell’aborto. Il problema vero è che l’aborto è un abominio come la pedofilia. Ma la propaganda ha camuffato l’abuso in diritto.
Come terza cosa, quindi, alla gentile Nina Palmieri bisognerebbe spiegare che una legge dello Stato che viola la legge naturale è una legge ingiusta, quindi non è legge (lo diceva anche Marco Tullio Cicerone). Il diritto è un interesse protetto dalla legge. L’aborto, ammesso e non concesso che sia un interesse, è protetto da una non-legge, perciò non è affatto un diritto.
Quarto.
La propaganda abortista ha ingannato noi donne spacciando per nostra conquista quello che invece è un escamotage della società maschilista per deresponsabilizzare se stessa e il padre: sono incinta e mi trovo in condizioni socio-economiche tali per cui un figlio sarebbe un enorme peso? Invece di aiutarmi a risolvere i miei problemi, la legge consente al padre del bambino di eclissarsi e mi offre la possibilità di abortire – che si rivela una scelta obbligata, quindi una non-scelta. Eliminato il bambino, mi ritrovo con gli stessi problemi socio-economici che avevo prima e in più sarò madre di un bambino morto: e il trauma profondo che ho inflitto a me stessa (ho violentato il mio ancestrale istinto materno) presto o tardi mi provocherà seri problemi psicofisici. Quindi, l’aborto non solo uccide un bambino, ma distrugge anche la donna (è stato definito un “suicidio differito” della madre).
Alla brava conduttrice de Le Iene vorrei offrire lo spunto per un altro servizio (magari con telecamera nascosta): la legge 194 è la legge più maschilista degli ultimi 50 anni.
Fonte: Panorama.it
17/11/2020
Francesca Romana Poleggi