Un vaccino ottenuto in soli 10 mesi è un grande risultato: mai accaduto prima d’ora. Questo straordinario successo è dovuto alla disponibilità di nuove tecnologie, alla riduzione della burocrazia amministrativa e alle risorse finanziarie erogate. È bene ricordarlo per il futuro. L’analisi di Giuseppe Novelli, genetista e professore di genetica medica presso l’Università Tor Vergata di Roma e l’Università del Nevada degli Stati Uniti
La comunità scientifica e l’industria della biotecnologia hanno lavorato incessantemente per sviluppare vaccini in modo da prevenire le infezioni da Sars-CoV-2. Al momento si stanno testando 64 vaccini in studi clinici su esseri umani e 18 hanno raggiunto le fasi finali dei test. Altri 85 vaccini sono in fase preclinica e quindi in sperimentazione su modelli animali. È un grande risultato, ottenuto in circa 10 mesi: mai accaduto prima d’ora. Questo straordinario successo è dovuto alla disponibilità di nuove tecnologie, alla riduzione della burocrazia amministrativa e alle risorse finanziarie erogate. È bene ricordarlo per il futuro.
Un buon vaccino deve rispondere a 5 domande principali:
1. Indurre una risposta immunitaria protettiva e di lunga durata;
2. Essere somministrato alla più ampia platea di soggetti, indipendentemente da co-morbilità, età, stato immunitario, stato di gravidanza/allattamento;
3. Assenza di eventi avversi come la produzione di anticorpi non neutralizzanti che inducono l’Ade (Antibody-Dependent Enhancement), ovvero una sorta di “intensificazione [dell’infezione] anticorpo-mediata”;
4. Essere termostabile, per consentire il trasporto e lo stoccaggio nei Paesi in via di sviluppo con strutture di refrigerazione scadenti o assenti;
5. Essere altamente immunogenico nella popolazione generale, inclusa una popolazione con preesistenti anticorpi anti-vettore.
Due vaccini sono stati autorizzati dall’Fda e dall’Ema nei giorni scorsi e già in fase di somministrazione in diversi Paesi occidentali. Altri vaccini sono stati autorizzati in Russia e Cina. Al 26 dicembre 2020, risultano vaccinati nel mondo circa 5 milioni di persone. È davvero un grande risultato della scienza e della ricerca!
I VACCINI BASATI SULL’RNA
Sono vaccini della Pfizer/BionTech (Usa/Germany) e di Moderna (Usa), composti da una molecola di mRNA codificante la proteina spike del virus, incapsulata in una nanoparticella lipidica. L’idea di utilizzare gli acidi nucleici come farmaci è nata nel 1990, quando per la prima volta è stato possibile dimostrare sui topi che l’inoculo di molecole di RNA che portano una informazione viene tradotta in proteine. Tuttavia, l’instabilità di queste molecole ha limitato per molto tempo le ricerche in tal senso. Negli ultimi dieci anni sono stati fatti grandi progressi tecnologici che hanno permesso all’RNA di diventare vaccino. Un vaccino ad RNA possiede diverse caratteristiche biologiche che lo rendono uno strumento efficiente: è sicuro in quanto non infettivo, non è capace di integrarsi con il Dna dell’ospite, viene degradato dai processi fisiologici cellulari, e può essere modificato per stabilizzarlo di più e per aumentare la sua immunogenicità. Inoltre, è una molecola flessibile che può quindi essere rettificata – se si rendesse necessario farlo – ed essere somministrata più volte senza causare effetti negativi. I vaccini a mRNA possono essere prodotti rapidamente e a costi inferiori. Il vaccino a mRNA contro il Covid-19 è composto da 4.284 nucleotidi (lettere di codice genetico) in grado di fornire circa 1 kB di informazione (l’RNA completo del virus fornisce circa 7,5 kB di informazione). Ogni dose di vaccino da 30 microgrammi ne contiene: 6×1016: cioè 25 petabyte (a confronto, uno spermatozoo umano contiene 37,5 megabyte di informazione).
I vaccini a RNA sono stati sperimentati adeguatamente in tutte le fasi previste, con una efficacia superiore al 94% in fase III su oltre 43.000 partecipanti di diversi gruppi etnici di appartenenza e di età compresa tra 56-85 anni. Pfizer ha evidenziato che il loro vaccino a mRNA è stato ben tollerato con effetti avversi lievi o moderati (affaticamento e mal di testa) di breve durata. Il vaccino ha indotto la formazione di anticorpi neutralizzanti come atteso, sebbene con una minore efficienza negli anziani.
Analogamente anche il vaccino di Moderna (mRNA-1273), ha ottenuto gli stessi risultati (questo dato è una importante conferma della tecnologia utilizzata) dopo una fase III su 30.000 partecipanti (> 18 anni) negli Stati Uniti. Moderna ha evidenziato che l’mRNA-1273 ha una efficacia del 94.5%, e come l’altro, è stato ben tollerato con analoghi lievi o moderati effetti avversi (affaticamento, mialgia, artralgia, mal di testa, dolore e gonfiore durante l’iniezione) di breve durata. Sebbene anche per questo vaccino non conosciamo bene la durata della protezione contro l’infezione da Sars-CoV-2, i ricercatori ritengono che il vaccino mRNA-1273, possiede tutte le potenzialità per indurre un’immunità umorale duratura.
La ridotta efficacia di questi vaccini nelle persone anziane potrebbe indurre a pensare che dare la priorità ai vaccini a questa categoria di persone sia una cattiva idea. Invece, io credo che le persone anziane debbano essere considerate un gruppo prioritario per diversi motivi. In primo luogo, le persone anziane stanno sopportando il peso maggiore di una grave malattia da Covid-19. In Italia, e in altri Paesi come l’Australia, quasi la metà dei casi gravi che richiedono cure intensive e oltre il 90% dei decessi sono stati persone di età superiore ai 65 anni. In questa fascia di rischio, anche un vaccino meno efficace porterebbe a benefici enormi. Ad esempio, il vaccino antinfluenzale fornisce una protezione del 60-70% nella comunità generale, scendendo al 30-40% nelle persone di età superiore ai 65 anni, ma anche a questo tasso protegge un numero considerevole di persone anziane. Un modesto miglioramento dei casi o una malattia grave nelle persone anziane potrebbe avere un grande impatto sul carico complessivo di malattia e morte. In tal senso è importante osservare che il vaccino di Moderna non si limita a bloccare il virus nella maggior parte dei casi, ma protegge anche le persone che si ammalano dai peggiori esiti della malattia.
ALTRI VACCINI
Gli altri vaccini in fase III sono stati sviluppati utilizzando diverse tecnologie che comprendono l’impiego del virus Sars-CoV-2 attenuato, inattivato, o con informazione genetica di Dna virale inserito in altri vettori virali incapaci di replicare e quindi di infettare, ma abili a produrre la proteina spike in tutta la sua lunghezza o parti di essa. Questi vaccini comprendono: CoronaVac, il l’Ad5 nCoV (approvato per l’uso in forze armate cinesi), lo Sputnik V (approvato in Russia) e altri ancora in fase III di sperimentazione.
Questi vaccini e altri ancora candidati, sono una testimonianza del fatto che la comunità scientifica e le industrie biotecnologiche hanno lavorato incessantemente dall’inizio di questa pandemia. Sebbene sono stati fatti molti progressi nello sviluppo e nella sperimentazione di questi vaccini, abbiamo ancora molti dati da acquisire, come la durata della protezione immunitaria e la loro efficacia in gruppi di persone diverse come gli anziani, i bambini, i soggetti con stato immunitario deficitario, le donne in gravidanza. Quello che è certo che questi vaccini possono essere utilizzati per combattere la pandemia da Sars-CoV-2. Questo richiede una campagna di vaccinazione di massa, in tutto il mondo, perché questo virus richiede > 90% di immunità in una popolazione per conferire immunità di gregge. In tal caso, la pandemia potrebbe ridursi drasticamente. Se le infezioni da coronavirus diventassero più rare, la vita potrebbe gradualmente tornare alla normalità.
Il problema principale però, è quello della produzione. Pfizer prevede di produrre fino a 50 milioni di dosi in tutto il mondo nel 2020 e fino a 1,3 miliardi nel 2021. Moderna intende produrre circa 20 milioni di dosi nel 2020 e da 500 milioni a un miliardo nel 2021. Una persona che riceve uno dei due vaccini avrà bisogno di due dosi, somministrate a tre o quattro settimane di distanza. Basteranno? Non credo, abbiamo bisogno di altri vaccini al più presto.
Sono inoltre necessari alcuni aspetti tecnici e logistici non piccoli, come quello della conservazione e distribuzione. Il vaccino di Moderna deve essere mantenuto a –20 gradi Celsius e può quindi essere conservato a quella temperatura per sei mesi. Una volta scongelato e conservato in frigorifero tra due e otto gradi °C, si mantiene per un massimo di 30 giorni. Il vaccino di Pfizer deve essere mantenuto a –70 gradi °C. Una volta trasferito in frigorifero, deve essere somministrato entro cinque giorni.
I vaccini oggi disponibili sono in grado di proteggerci dalle varianti attuali del virus, ma certamente non dobbiamo abbassare la guardia e continuare a lavorare per sviluppare tecnologie e piattaforme biotecnologiche di vaccini in grado di affrontare anche eventuali nuove varianti del virus che potrebbero generarsi in futuro.
28/12/2020
Da AstraZeneca a Pfizer. Novelli spiega differenze ed efficacia dei vaccini