In questo tempo drammatico e di occasione grande più che altri, non ci servono governanti “benefattori” dell’umanità, ma servitori dell’umano
In questi giorni non vi è verbo più ricorrente nell’arena sociale politica che “(ri)costruire”, coniugato al presente e al futuro, né sostantivo più usato di “costruttore”, declinato al singolare o al plurale. Di fronte alle macerie di un terremoto ancora in corso, la pandemia Covid-19, i cui sciami sismici sembrano riacquistare forza non appena prendiamo fiato, l’icona dell’edificazione sopra le rovine ancora calde della nostra salute, delle relazioni sociali, del lavoro, della scuola e dell’economia (tacendo il resto) crea una immagine che accarezza il cuore e la mente, gli affetti e i desideri di tutti.
«Ricostruire l’America» è il programma del neo-presidente Joe Biden, che investe in esso le ingenti risorse degli Stati Uniti e il suo mandato quadriennale. «Questo è tempo di costruttori» ha detto Sergio Mattarella nel discorso di fine anno del Capo dello Stato, lanciando un monito per quello che è iniziato. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte si appella ai «costruttori» per salvare il Governo dall’impasse in cui si trova. E la lista non finisce qui.
Ma per costruire un edificio non basta il progetto di un pur valente architetto e la mano d’opera di volonterosi operai: serve un terreno solido su cui gettare le fondamenta e delle pietre e dei mattoni con cui tirare su la casa. È un’illusione – cui inevitabilmente segue la delusione – quella di edificare comunque, su qualsivoglia substrato di terra, pensando di “(r)esistere”, di stare e durare nel tempo, sull’onda di emozioni, paure, rivalse, orgoglio e amor proprio (come un tempo si chiamavano gli interessi privati), pur coperto da un dichiarato “spirito di servizio”.
Lo ricorda anche il Vangelo, quando parla di «un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia». E di «un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande» (Mt 7, 24–27). Piogge, fiumi e venti avversi alla persona e alla società non sono mancati da un anno a questa parte, e la meteorologia pandemica ci prospetta ancora mesi difficili di alluvioni e maltempo sanitario, economico e – ancor più – culturale, educativo e civile, con tanti pezzi da ricuperare per l’unità dell’uomo, della famiglia e delle relazioni sociali. Con la sabbia i bambini costruiscono i castelli sulla spiaggia, che le onde del mare cancellano nella notte. Dalla roccia sono state cavate le cattedrali che hanno attraversato i secoli, anche gli anni delle guerre, delle violenze e della povertà d’animo e di risorse materiali.
Occorre decidersi e decidere su cosa – più precisamente e incisivamente, su chi – (ri)costruire: se sui granelli di sabbia dell’uomo o sui cristalli della roccia di Dio. La grandezza dei costruttori non sta nel loro ingegno politico, nella capacità di calcolo dei pesi e dei contrappesi tra le parti e nell’abilità di prevedere la risposta della costruzione alle vibrazioni dell’umore dei cittadini. Tutto questo fa di un uomo o di una donna un abile “ingegnere politico”. Ma non basta. La statura umana sta nel rapporto con l’infinito, non nel calcolo delle proporzioni: l’unica misura è la capacità di abbracciare tutto, non facendo del proprio limite un ostacolo o una obiezione al compito della (ri)costruzione dell’umano che è in noi e tra di noi. Questo, senza Dio, è impossibile all’uomo. Ogni costruzione che (ri)nasce come se Lui non ci fosse, è avulsa dalla realtà, perché non fa i conti con il Fattore che di essa è più decisivo e ne sta a fondamento. Eppure, che ha deciso di farsi parte della nostra realtà, come uno di noi. Un «fattore [che] non disdegnò di farsi sua fattura» (Dante, Paradiso, XXXIII, 6). Un Dio per noi divenuto familiare (per grazia, non per merito), per altri «ignoto». Ma, per entrambi, «essendo Lui – come ricorda san Paolo – che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa» (At 17, 25).
(Ri)partire da Uno per costruire per tutti. Recuperare Quello che è stato scartato nell’Europa post-cristiana che oggi – come altre parti del mondo – si trova a fare i conti con una ripresa necessaria, che deve fare leva su una roccia per sollevare la situazione e alzare la testa. Non possiamo tacere, noi cristiani, che questa roccia, disponibile all’uomo da duemila anni per costruire la vita personale, familiare e civile, è Cristo. Disponibile, ora come ieri, alla libertà dell’uomo che può fare di Lui il centro di gravità di ogni sua costruzione, della casa di tutti e per tutti che è la società. «La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo» (Sal 118, 22; Mt 21, 42; At 4, 11). La pietra angolare che sola può reggere ogni “recovery plan”, ogni nuovo “piano Marshall” per rialzare il cammino dell’Europa e del nostro Paese, attraversando il guado della pandemia a testa alta, con lo sguardo fisso al nostro destino buono, alla speranza certa che non delude. Chi ha paura di questa pietra, chi ha timore di poggiare i piedi su questa roccia?
Recita il Salmo 127: «Se il Signore non costruisce la città, invano vi faticano i costruttori. Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode» (v. 1). Abbiamo bisogno di costruttori e di custodi che amano più la costruzione e la custodia di Dio nel mondo che non il loro progetto e la loro vigilanza sulle nostre città, sulla nostra vita. Perché la loro e la nostra fatica non sia vana.
In questo tempo drammatico e di occasione grande più che altri, non ci servono governanti “benefattori” dell’umanità, ma servitori dell’umano. «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve» (Lc 22, 25–26). Uomini e donne piccoli che servano un disegno più grande di loro, di noi, eppure così corrispondente a loro e a noi, a misura del nostro cuore e del respiro dei popoli. È il compito che ci attende tutti e che chiediamo a chi ci governa, per il bene di tutti.
Roberto Colombo
17 gennaio 2021