L’eredità degli anni Sessanta e quella battaglia culturale contro costumi e istituzioni del passato, che ci ha portati a vivere in un altro mondo. Dove le sberle del parroco o del maestro non ci sono piu’
Appartengo a una generazione, quella di coloro che sono entrati al liceo negli anni Sessanta del secolo scorso, che non può in alcun modo permettersi di guardare con indifferenza quanto le sta accadendo intorno. E questo per diversi motivi, il primo dei quali è che abbiamo ormai figli e nipoti e quando si hanno figli e nipoti aumentano sensibilmente le nostre preoccupazioni e la nostra sollecitudine per il mondo che abitiamo.
Ma anche le generazioni che ci hanno preceduto avevano figli e nipoti, eppure, nonostante le condizioni di vita decisamente peggiori delle nostre, non credo che avessero le nostre stesse apprensioni. Non ricordo di aver mai visto i miei genitori o i miei nonni preoccuparsi di me come faccio io con i miei figli o mio nipote.
Né mi sognerei di affermare che da adolescenti eravamo più affidabili degli adolescenti di oggi o che lo fosse il mondo che abitavamo allora. Le mie zie, ad esempio, mi stavano addosso perché quando avevo undici anni mi avevano visto tuffarmi nel fiume da una cascata di cinque metri. Ne erano rimaste terrorizzate. Ma non erano certo i tuffi il peggio che potessimo fare per la nostra incolumità. Né le ore che dicevamo di trascorrere a studiare a casa di un amico erano sempre così innocue come potevano sembrare.
Ripensandoci oggi, anche quelli di noi che potevano essere considerati più tranquilli, correvano ogni giorno rischi enormi, senza tuttavia che sentissimo intorno troppa pressione da parte degli adulti. La vita sembrava scorrere secondo canoni ben consolidati. A qualsiasi ceto sociale si appartenesse, era considerato grave non sedersi a tavola per il pranzo a mezzogiorno in punto; molto meno grave avere la testa sanguinante perché ci eravamo presi a sassate tra compagni.
Di norma nessuno sindacava su come avevamo trascorso le nostre giornate, salvo che non venissimo colti sul fatto dai genitori o che un qualsiasi conoscente riferisse di qualcosa che non avremmo dovuto fare. A tal proposito temevamo soprattutto il parroco e il maestro, ma anche con i vicini di casa non si scherzava.
Bastava che uno di questi avesse qualcosa da ridire su qualsiasi cosa imputabile a noi e sapevamo benissimo come sarebbe andata a finire: sberle e punizioni, variamente dosate a seconda del “reato” commesso, ma senza alcuna indagine preliminare in ordine alla sua fondatezza o meno. Mai e poi mai la parola di un adulto poteva essere messa in discussione da un ragazzino o da un adolescente.
E così, passo dopo passo, siamo diventati adulti anche noi e ormai quasi vecchi. Questo mi fa pensare però che il vero motivo delle nostre ansie e delle nostre preoccupazioni nei confronti dei nostri figli e nipoti, non sia semplicemente che siamo diventati genitori e nonni, ma un altro.
Sergio Belardinelli
Il Foglio
24 Gennaio 2021