Nella guerra contro il Covid-19 gli Stati Uniti puntano su due armi: vaccinazioni capillari e terapie precoci a domicilio. In Italia le cose vanno diversamente
Come in uno tsunami senza fine, tra varianti italiane, inglesi e sudafricane, la minaccia di ondate sempre più aggressive con possibilità di nuove mutazioni virali difficili da prevedere fa sì che i prossimi cinque mesi saranno critici. La situazione è certamente complessa ma, dopo un anno, pare mancare ancora la consapevolezza che siamo nel bel mezzo di una guerra mondiale e che si deve fare di più. Molto di più. Come in tutte le guerre che si rispettino l’obiettivo reale, per i governi di tutto il mondo non può essere altro che la riduzione del numero di morti, che al momento in Italia si attesta purtroppo sopra i 3 mila per settimana. Per ridurre questo numero in modo significativo due azioni devono essere aggiunte alle altre raccomandazioni: vaccinare più persone possibili e curare precocemente chi si ammala per tenerli lontano dagli ospedali e dalle rianimazioni che sono la nostra ultima trincea.
Qui negli Stati Uniti il programma istituito dal presidente Trump con l’operazione Warp Speed ha appena chiuso contratti con 19 catene di farmacie: dalle prossime settimane sarà possibile vaccinarsi in farmacia prenotandosi online (come già è stato per la campagna antinfluenzale). In Italia la legge al momento non consente la possibilità di vaccinare in farmacia ma allora quello che capiterà, senza una programmazione alternativa sarà molto presto una riduzione delle percentuali al momento migliori del resto d’Europa anche se decisamente troppo basse per impattare sul progredire della pandemia.
L’altro aspetto è la cura precoce e a domicilio. Da novembre 2020, dopo che le sperimentazioni andavano avanti da diversi mesi la Fda ha autorizzato per uso d’emergenza due anticorpi monoclonali ingegnerizzati dalla Regeneron e dalla Lilly per attaccare il virus. Gli studi clinici indicano che riducono in modo sostanziale il tasso di ospedalizzazioni da Covid negli individui sopra i 65 anni con sintomi lievi e moderati, presenza di comorbidità e fattori di rischio. Al 6 gennaio, il ministero della Salute americano aveva assegnato più di 641 mila cicli di trattamento dei pazienti in più di 3.700 località. Su questo tipo di anticorpi pare che le cose siano andate in modo molto diverso in Italia tanto che solo qualche giorno fa la situazione ha iniziato a sbloccarsi grazie a un’inchiesta del Fatto quotidiano e per la competenza del prof. Giorgio Palù, presidente Aifa. L’Agenzia ha appena annunciato che ritiene utile promuovere e supportare uno studio clinico randomizzato (ve ne sono già parecchi in corso in varie parti del mondo) al fine di verificare se questi farmaci possano rappresentare una reale opzione terapeutica nella prevenzione della progressione del Covid nei pazienti in fase precoce di malattia.
In realtà mentre si va avanti a duplicare studi, in Italia abbiamo una legge che si potrebbe usare se Aifa sotto indicazione del ministro della Salute facesse un’ordinanza (ex commi 2 e 3 art. 5 decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219) come già fatto nel 2015 per l’emergenza, molto meno grave, dell’Ebola. In questo modo gli anticorpi sarebbero disponibili immediatamente e lo sarebbero stati sin da ottobre quando l’opportunità di usarli ci venne offerta. Evidentemente la portata di questa guerra non è ancora chiara a tutti quelli che hanno la responsabilità di prendere delle decisioni importanti.
Luca Pani*
Il Foglio
30 Gennaio 2021
*Luca Pani – ex direttore generale dell’Aifa, ordinario di Farmacologia Unimore