Davvero la fine della pandemia è vicina? E soprattutto, cosa si deve intendere per “fine”?
Il 26 gennaio Bloomberg pubblica un rapporto a firma Mark Cudmore in cui il macro strategist spiega le ragioni per cui non bisognerebbe essere pessimisti, guardando alla pandemia, rispetto al futuro prossimo del mondo (in particolare economico). Secondo la lettura di Cudmore la pandemia dovrebbe finire molto prima di quanto crediamo, per la precisione intorno alla metà di quest’anno: giugno, con un inizio della strada in discesa addirittura ad aprile – a condizione che il numero dei decessi da Covid nel mondo arrivi per quella data al di sotto dei 7mila giornalieri (con un calcolo sulla media settimanale).
Com’è intuibile, alla teoria di Cudmore soggiace non solo una diversa prospettiva, quella economica, che sposta il focus consentendo di osservare la tendenza con occhio più distaccato, ma anche una differente idea della “fine” della pandemia rispetto a quella cui siamo abituati. Abbiamo discusso il paper con Giuseppe Arbia, ordinario di statistica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Professore, un insolito ottimismo emerge da una prospettiva non medico-sanitaria ma economica, ipotizzando una possibile ripresa imminente. Cosa ne pensa?
La proposta è interessante nel senso che mette le cose nella giusta prospettiva. La prospettiva non è guardare a quando avremo eliminato completamente il virus ma a quando riprenderemo una pseudo-normalità sotto il profilo delle regolari attività economiche. Su certi comportamenti, come il distanziamento sociale, le mascherine e le misure d’igiene, ha ragione l’autore nel dire che probabilmente li manterremo sempre. Quest’anno siamo riusciti a portare gli ammalati di influenza stagionale quasi a zero con le misure adottate.
Nell’articolo si parla di aprile come momento in cui potremo forse iniziare a invertire la tendenza.
Mentre sulla data di aprile si può forse discutere, una cosa è certa: quando raggiungeremo questo punto, il punto nel quale l’epidemia non sarà più d’ostacolo alla vita di tutti i giorni – anche senza un ritorno della normalità che conoscevamo – ecco, a quel punto ci sarà il boom economico. Su questo non c’è assolutamente dubbio. E il boom investirà soprattutto le categorie che oggi soffrono di più: i viaggi, la ristorazione, etc. Psicologicamente è intuibile che tutti avranno voglia di tornare a fare quello che non si può fare adesso.
La prospettiva quindi è quella giusta.
Sì. Ora, per quanto riguarda i calcoli, si tratta di calcoli relativi all’intera popolazione mondiale e sembrano ragionevoli. Si tratterebbe però di analizzare il diverso comportamento dei diversi Paesi. In generale quello che il paper mette in evidenza è che l’obiettivo non è quello di arrivare a zero contagiati o a zero morti, perché ad esempio i morti dell’influenza stagionale ci sono sempre stati e sempre ci saranno. L’autore dell’articolo dice: arriviamo a un livello tollerabile. Il passaggio relativo alla data di aprile è forse un po’ arbitrario, ma è un conto che va fatto, nel senso che non dobbiamo guardare la curva dei contagi aspettando che scenda a zero per riprendere una pseudo normalità.
Dobbiamo modificare le nostre aspettative. Il focus economico aiuta ad acquisire un punto di vista più realistico?
Sì, ma tutto dipenderà da come ci comporteremo. Mi viene in mente in questi giorni un’analogia: quando ci si ammala d’influenza c’è chi si comporta in una certa maniera, uscendo non appena sta meglio per poi avere una ricaduta, e chi invece si riguarda nei giorni immediatamente successivi per poi liberarsi del tutto del problema. Succederà qualcosa di analogo a livello globale.
Cioè?
Ci sono Paesi che ne usciranno meglio, con minor rischio di “ricaduta”, ad esempio ne usciranno meglio psicologicamente perché il peso dei decessi sarà minore. Noi dobbiamo decidere dove vogliamo collocarci, tra chi avventatamente non vede l’ora di riprendere e rischia poi di avere un feedback negativo in futuro e chi invece decide di prendere le cose con maggiore pazienza per poi ripartire di slancio.
I Paesi che hanno subito di più le conseguenze avranno di certo una ripresa più difficile?
Noi siamo ancora a metà del guado, il bilancio potrebbe peggiorare o ridursi comparativamente agli altri Paesi, ma non credo siamo ancora nel momento in cui si possono tirare le somme.
Il paper fissa a 7mila il numero di morti al giorno che potrebbe far sperare che sia iniziata la strada in discesa, è ragionevole?
Normalmente con l’influenza stagionale abbiamo un certo numero di morti giornalieri, che però sono limitati a circa quattro mesi all’anno e non fanno notizia, perché sono numeri ridotti. È una buona intuizione, ci dice: ne saremo fuori quando saremo al livello di una normale influenza stagionale. È un aspetto che andrebbe approfondito con i relativi numeri, anche per il nostro Paese.
Il criterio però le sembra funzionale.
Sì, da febbraio a novembre del 2020 abbiamo avuto 85mila decessi in eccesso rispetto agli anni passati ovvero circa 280 decessi al giorno in eccesso. Ad oggi ne abbiamo ben 477 al giorno. Il calcolo di Cudmore, riportato alla nostra popolazione, è di circa 53 decessi al giorno. Lavorando su questi dati potremmo andare a calcolare un valore “tollerabile” (il termine può sembrare cinico perché si parla di vite umane) delle perdite, perché è quel valore che abbiamo sopportato tutti gli anni senza che questo comportasse un vincolo per l’attività economica e sociale.
Nel paper si dice appunto che al più tardi entro maggio il Covid dovrebbe diventare paragonabile a un’influenza stagionale e che entro giugno diventerà molto difficile giustificare nei Paesi democratici mascherine, contingentamenti, etc. Una previsione fin troppo ottimistica?
Oggi riceviamo questa notizia e la notizia di un altro studioso, Andrea Crisanti, che sostiene invece che non passeremo un’estate normale e che porteremo mascherine fino al 2022.
Dove sta la verità?
Forse stiamo guardando alternativamente il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Il problema è piuttosto la differente tempistica stabilita dai due ricercatori, il primo parla di giugno, il secondo parla del 2022. Probabilmente le differenze si assottigliano se cerchiamo di capire meglio cosa intendevano. Il primo si riferiva a quando potremo ritenere il Covid alla stregua di un’influenza, l’altro si riferiva a quando potremo gettare via le mascherine e ricominciare a viaggiare liberamente in giro per il mondo. Sono cose ben diverse e mi sembra la prima sia più realistica.
Il mito del ritorno alla normalità precedente è poi così auspicabile?
Anche io mi chiedo questo, pensando in particolare agli sprechi, agli eccessi e all’inquinamento. Se la nuova normalità sarà quella che in Giappone esiste da anni, cioè andare in giro con la mascherina durante le stagioni nelle quali circolano virus influenzali, non credo che questo modificherà né il nostro carattere né la nostra vita di tutti i giorni.
Una nuova normalità, ma quando?
Io credo che comunque ci dobbiamo attrezzare per una situazione in cui quello che abbiamo vissuto nell’ultimo anno diventa una pseudo normalità. Ci dobbiamo attrezzare come sistema sanitario, ma anche come sistema statistico di raccolta dati per il monitoraggio di possibili eventualità future di questo tipo. C’è una serie di circostanze che comunque porta a pensare che una certa normalità a giugno dovremmo raggiungerla. È un quadro ottimistico naturalmente. Se subentra una variante che malauguratamente cambia le carte in tavola cambia tutto il nostro ragionamento.
L’estate ha coinciso con un momento migliore, l’anno scorso.
Con la differenza che però l’anno scorso venivamo da due mesi di lockdown stretto e gli effetti positivi di quel lockdown si sono protratti per lunghi mesi. Questo è il meccanismo di un’epidemia: quando si diffonde si alimenta, quando si limita si auto-limita.
Un meccanismo esponenziale?
In un caso e nell’altro. C’è poi anche un fattore stagionale che possiamo aspettarci anche quest’anno. E c’è il fatto che il piano vaccinale, se non incontra ostacoli particolari, anche procedendo a rilento come sta procedendo, andrà a ridurre il numero dei suscettibili e nei mesi successivi ne vedremo gli effetti. Piano vaccinale, stagionalità, un sistema di contenimento ragionevole: tutto questo converge ad ogni modo nel dire che in estate staremo meglio. Ciò non significa che in autunno la situazione peggiorerà di nuovo.
L’augurio è che i vaccini vadano avanti nel frattempo sfruttando il periodo più favorevole.
Esatto, in statistica distinguiamo tra andamenti temporali, che sono delle tendenze di fondo, e andamenti stagionali. Qui mi sembra possibile dire che l’aspetto relativo alla vaccinazione sarà un andamento tendenziale, ed è un andamento che tendenzialmente non può che ridurre la diffusione del virus. Poi ci sono andamenti stagionali che chiamiamo così, hanno a che fare non solo con oscillazioni legate alle stagioni climatiche ma anche con le normali oscillazioni nella diffusione del virus. C’è un terzo fattore che poi mi fa ben sperare.
Quale?
Se guardiamo al passato, la Spagnola si è spenta motu proprio. Ci sono state due ondate, poi una terza molto ravvicinata e più ridotta, infine è scomparsa.
(Emanuela Giacca)
Il Sussidiario
31 gennaio 2021