David Watkins racconta come ha avuto Miles grazie a soldi, un utero e una sentenza. Seppellendo di miele quell’arcaico affare dell’altro, della madre e della donna ridotta a materiale biologico
Tutti lo chiamano Smiley Miley, «è nato in una vasca da parto e mi è stato consegnato immediatamente, a luglio, a casa della mia amica e surrogata che si trova a Leicester, 150 miglia in auto da casa mia a Southampton. Per un gay è davvero un miracolo che il proprio sperma finisca per incontrare un ovulo». David Watkins racconta al Times come la surrogata abbia realizzato il suo sogno di diventare “padre single per scelta”, «uno dei primi di una nuova ondata di famiglie che si sta creando oggi nel Regno Unito». Sì perché dal gennaio 2019 non solo le coppie ma anche le singole persone possono beneficiare del “parental order”, che estingue i diritti della madre legale (la donna che partorisce il bambino) e del padre legale (il marito della surrogata) e che trasferisce pieni diritti (compreso un nuovo certificato di nascita) al “genitore intenzionale,” cioè il provvedimento con cui una madre cede il neonato al committente. In altre parole, come spiega Watkins nel sito DadBe, creato apposta per aiutare chi come lui non vuole dividere un figlio con nessuno, il Regno Unito ha reso fruibile il corpo delle donne anche ai single omosessuali. Ossia la fabbricazione di figli per uomini soli.
«NON VOLEVO AMARE ALTRI UOMINI MA DOVEVO ESSERE PADRE»
Messa giù così suonerebbe gretto e meschino, non per nulla la narrazione di Watkins pubblicata da quei furboni del Times, bravissimi a costruire storytelling sull’utero in affitto e sulla trasformazione in diritto del legittimo desiderio di avere figli, è immersa in una coltre di tenerezza, di «miracolo», «sogno», foto di Miles che viene amorevolmente imboccato di pappa o allattato col biberon, «ho pianto molto in quei nove mesi, soprattutto dopo aver registrato il diario audio giornaliero che ho creato per Miles su un’app che Faye avrebbe potuto riprodurre nel suo grembo. Ho parlato della nostra vita insieme, gli ho cantato, gli ho letto storie, gli ho suonato le mie canzoni preferite». Watkins racconta la sua lotta contro il destino biologico che non gli consente di avere figli e contro una normativa che prima del 2019 non gli consentiva nemmeno di poterseli procurare senza un partner: insieme a un’amica tenta la strada della co-genitorialità (adulti che crescono un bambino senza essere coinvolti affettivamente o sessualmente) ma la relazione si conclude con un aborto spontaneo e il terrore di «perdere il controllo» dell’allevamento di un bambino condiviso con qualcuno di cui non è davvero innamorato. Poi trova l’uomo perfetto, che di figli però non vuole sentire parlare, e inizia a soffrire il mondo che lo circonda, pieno di «papà che danno la mano ai loro figli o li portano in spalla», di seggiolini caricati sul retro di auto famigliari. Inizia a sentirsi vuoto e soprattutto a risentirsi «della mia sessualità; non volevo più amare gli uomini. Desideravo, non per la prima volta, di essere nato diversamente. Dovevo essere papà».
LA “CERIMONIA” DELL’IMPIANTO
Nello stesso momento l’Alta Corte di Inghilterra e Galles, deliberando sul caso di un uomo single con un figlio nato da surrogata che aveva portato a giudizio la disparità di trattamento concessa a “coppie di committenti” piuttosto che “singoli committenti”, varava un provvedimento correttivo alla legge che sarebbe entrato in vigore nel 2019. Quell’estate Watkins, iscrivendosi a Surrogay Uk (ong che aiuta i surrogati a trovare genitori intenzionati ad aiutarli a mettere su famiglie) incontra una «donna altruista», Faye Spreadbury, che rimane incantata dal “profilo” del ragazzo che ama i gatti e circondarsi di persone empatiche. I due si incontrano insieme al marito di lei, Lee, e ai suoi due figli e in capo a tre mesi il contratto era firmato, e a novembre sono pronti per procedere all’impianto di uno degli embrioni creati con gli ovuli di una donatrice anonima in una clinica della fertilità di Londra. «Ricordo i dettagli come se avessi vissuto un’esperienza extracorporea: una donna che non sapevo esistesse cinque mesi prima era sdraiata su un letto; un’atmosfera cerimoniale nell’aria, e la voce dell’embriologo che ripeteva “Watkins per Spreadbury, Watkins per Spreadbury” mentre passava con cura il mio embrione al dottore che lo infilò dentro Faye».
«ERA IL SUO CORPO, MA ERA MIO IL BAMBINO»
Eppure ad ogni ecografia o visita medica la gente non capisce quello «strano triumvirato» composto da un uomo, una donna incinta e suo marito che gli stringono le mani. «Abbiamo sviluppato un sistema di comunicazione silenziosa che avremmo utilizzato ogni volta che qualcuno parlasse, rivolgendosi direttamente a Faye e Lee e non a me, dello sviluppo del mio bambino. Non rispondevano, si limitavano a guardarmi e rimanevano a guardarmi finché l’infermiera non seguiva il loro sguardo». «Sono io il padre», Watkins è “costretto” a ripeterlo a tutti e Faye non ha mai vacillato, «Sì, era suo il corpo, ma era mio il bambino, punto». E senza una sentenza di un giudice non ci sarebbe stata alcuna possibilità di coronare il suo sogno: ottenere in soli cinque mesi lo status di padre legale (dopo una valutazione organizzata dal tribunale di famiglia, interviste alla surrogata, visione delle note spese per i “rimborsi”) e riscrivere la «narrativa dominante sui padri single», padri definiti così dopo la fine di una «partnership genitoriale» e supportati in quanto tali, ma che «non cercavano di diventare padri single prima che i loro figli nascessero». Durante il lockdown e la gravidanza Watkins ha dato vita a un sito web e a un gruppo facebook privato per aiutare uomini a diventare padri single per scelta: appena aperto quest’ultimo vantava già 90 iscritti «ma è solo la punta dell’iceberg. Ce ne sono molti altri». Per quanto il parental order gli abbia conferito diritti fondamentali, «non cambia nulla della verità essenziale del nostro rapporto perché io ero già un padre davvero fortunato che allevava un bambino eccezionale»
SCOMPARSA LA MADRE, LA DONNA DIVENTA MATERIALE BIOLOGICO
Legge, sentenza su un caso particolare, cancellazione di ogni limite alle nuove forme di genitorialità e filiazione. Nella narrazione di Watkins la necessità di una madre è completamente superata, quella della donna è ridotta alla disponibilità del suo materiale umano dei suoi ovuli e del suo utero sul mercato della compravendita di gameti e della locazione del ventre umano. Scompare perfino la necessità di un’altra persona con cui condividere non solo il letto ma anche il «ticchettio dei nostri orologi biologici» (così dal sito DadBe) e la crescita di un bambino. Scompare l’altro, di cui si ha bisogno a tempo determinato, quello indicato in un contratto, scompare l’unione soppiantata da uno scambio di gameti in provetta, restano le immagini su Instagram di un tenerissimo bambino che dorme sul petto nudo del suo amorevolissimo papà.
LE TARIFFE DEL SINGLE DAD DREAM
Lo scorso 20 ottobre l’Autorità britannica per la fecondazione assistita e l’embriologia umana (Hfea) ha eliminato anche il divieto di trarre profitto dal corpo umano legalizzando i contratti stipulati all’estero con agenzie, cliniche, donatrici di ovociti e mamme conto terzi. Come un semplice atto amministrativo, e non una legge approvata in Parlamento, abbia fatto cadere paletti e mito della “gestazione altruistica” ammessa nel Regno Unito lo ha spiegato bene Assuntina Morresi. E a rendere tutto esplicitamente “commerciale” ci hanno pensato le tariffe, riportate sul sito DadBe del «Single Dad Dream»: dai 7 ai 30 mila euro in caso di maternità surrogata tradizionale (straight surrogacy, quando viene fecondato l’ovulo della surrogata), dai 19 ai 47 mila euro in caso di surrogata gestazionale (host surrogacy, quando viene fecondato l’ovulo della madre intenzionale o quello di una donatrice e non c’è quindi connessione genetica tra surrogata e il figlio che porta in grembo). Dettagli, insieme alla perdita della madre, della donna, dell’altro, affogati nelle immagini di padri single felici che portano in braccio, in spalla e per mano bambini sorridenti perché, come scrive Watkins, «la visibilità è fondamentale. Se non mostreremo le nostre famiglie, gli atteggiamenti arcaici perdureranno sempre e gli stereotipi avranno il sopravvento».
Caterina Giojelli
4 febbraio 2021
«Era suo il corpo, ma era mio il bambino». La surrogata per i gay “single per scelta”