L’ultimo libro di Luca Ricolfi indaga i motivi per cui il governo Conte non ha fatto nulla per prevenire la seconda ondata del virus
È stato definito sul quotidiano Il Foglio (Corbellini e Mingardi , 30 gennaio), “uno dei pochi libri sulla pandemia che si legge con interesse”. In effetti è vero che il libro del sociologo dell’università di Torino Luca Ricolfi (La notte delle Ninfee. Come si malgoverna un’epidemia, La Nave di Teseo) coinvolge il lettore fin dalle prime pagine; con la sua prosa incalzante ed un ragionamento sintetico, lineare e ordinato rende comprensibile al grande pubblico ciò che sembrerebbe in un primo momento roba per specialisti, economisti, sociologi o esperti di statistica. Ricolfi non si limita a raccogliere, presentare ed elencare dati e statistiche delle prime due ondate pandemiche che hanno sconvolto il mondo dal gennaio del 2020, ma illustra le strategie adottate dai governanti di diversi paesi per dimostrare la sua tesi, quella secondo cui il governo italiano avrebbe commesso una serie di grossolani e madornali errori che hanno provocato un altissimo costo in termini di PIL e di vite umane. Secondo Ricolfi la cosiddetta “seconda ondata” era evitabile ma le tergiversazioni del governo Conte hanno portato il paese al disastro. L’autore prende spunto da una metafora che dà nome al libro, quella delle ninfee. La diffusione dei contagi funzionerebbe come la crescita esponenziale delle ninfee in uno stagno. Il fatto che le ninfee raddoppino il loro numero ogni notte, farebbe sì che ogni tentennamento, ogni rimando e ogni notte passata senza un intervento si riveli estremamente dannosa per lo stagno stesso.
Cosa avrebbe dovuto fare il governo per bloccare in tempo l’aumento esponenziale dei contagi e limitare al massimo i danni? Secondo Ricolfi la soluzione sarebbe stata semplice e alla portata del nostro paese, anche perché adottata da altri paesi che, dati alla mano, con quelle misure tempestive hanno bloccato i contagi e risparmiato perdite economiche e umane che noi non siamo stati in grado di risparmiare. Lockdown ferreo e immediato, utilizzo obbligatorio delle mascherine, tamponi a tutto campo (perché “i test hanno un’efficacia sorprendente nel contenere il numero di morti per abitante”), saturazione al 50% dei trasporti, tracciamento totale della popolazione tramite misure di geolocalizzazione e app di tracciamento (come effettuato con solerzia ed efficacia dai paesi asiatici più sviluppati quali Corea del Sud, Giappone, Taiwan e Singapore) e chiusura delle frontiere. Chi ha adottato queste misure in tempi rapidi ha raccolto dei buoni risultati nelle settimane e nei mesi successivi, riuscendo ad evitare la prima o quantomeno la seconda ondata tenendo a bada, sotto i livelli di allarme, il grafico dei decessi (secondo l’autore conteggiati per difetto). Secondo questa tesi non sarebbe corretto parlare di “seconda ondata inevitabile” come, dunque, non sarebbe corretto pensare che siano inevitabili eventuali nuove ondate. Limitare i decessi ha poi un chiaro impatto sull’economia, come dimostrato dai grafici considerando il confronto delle perdite umane ed economiche nei diversi paesi.
Purtroppo nessuna di queste misure è stata seguita dall’Italia quando a fine gennaio arrivava l’ufficialità di una pandemia in corso e venivano individuati i primi casi Covid nel nostro paese. La prima reazione della classe dirigente italiana è stata quella di rassicurare la popolazione minimizzando la situazione e incoraggiando a vivere come se nulla fosse successo: i selfie dei politici al ristorante cinese, gli abbracci ai cinesi, gli aperitivi di Zingaretti a Milano ecc. Con l’aiuto solerte dei media e dei suoi volti più rappresentativi (da Vespa alla Clerici…) si diffonde la narrazione che i veri virus siano il razzismo e la discriminazione e che l’unico nemico da sconfiggere sia Salvini. Scoraggiato l’uso delle mascherine, evitato un alto numero di tamponi (per paura di sovrastimare i malati), ritardato il lockdown, fallito il piano di tracciamento dei contagi (l’App Immuni) il paese ha pagato un caro prezzo e il governo è dovuto correre ai ripari a partita iniziata. “Ritardare gli interventi ci è costato decine di migliaia di morti (…) e ci ha regalato la seconda ondata”; un’ondata evitabile “tanto è vero che, fra le società avanzate, finora ben 10 su 25 non ne sono state colpite” (p. 21).
Complici le debolezze preesistenti che hanno fatto partire l’Italia col piede sbagliato: una popolazione tra le più anziane del mondo, pochi posti letto per abitante, pochi medici e infermieri, un piano anti-pandemico fermo al 2006 e mai aggiornato.
Eppure una classe di scienziati ha cercato sin da subito di aiutare il governo a non commettere certi errori. Ne è consapevole Ricolfi che assieme al dott. Crisanti ed a altri esponenti del mondo scientifico (scienziati, economisti, sociologi, docenti e medici, tra i quali il SIMIT, Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali) hanno più volte lanciato appelli per chiedere interventi fermi e tempestivi come quando, ad inizio aprile, 150 scienziati ed accademici hanno firmato una petizione urgente chiedendo al governo di pianificare la ripartenza con misure stringenti volte a contenere la curva dei contagi e l’arrivo di una nuova ondata: app di tracciamento, isolamento dei positivi, tamponi ad ampio raggio, obbligo di mascherine… L’appello è rimasto inascoltato.
Questo è, secondo l’autore, uno degli errori imperdonabili commessi dal Governo italiano che ha letteralmente ignorato gli appelli della scienza per seguire pedissequamente i protocolli dell’Oms (no mascherine e no a tamponi per gli asintomatici) e correre ai ripari quando, ormai troppo tardi, la situazione diventava critica, passando bruscamente dalle rassicurazioni alla diffusione del terrore.
Un Italia costretta a muoversi nelle strette maglie dell’“ideologia europea”, cosa che l’autore riconosce come “attenuante” nei confronti di un governo a cui non ha risparmiato certo nessuna critica. L’ideologia europea ha provocato una subalternità degli stati agli organismi sovranazionali (Oms e la stessa Ue); fondata sulla globalizzazione, sulla libera circolazione di merci e sulla “ideologia delle frontiere aperte” ha portato i governi nazionali ad ignorare i pericoli del turismo e dell’immigrazione senza curarsi dello stato di salute dei nuovi arrivati (in molti casi con percentuali altissime di positivi). Questa ideologia ha tracciato “i limiti entro cui le politiche nazionali hanno ritenuto di dover muoversi”.
Ma resta la responsabilità di un governo che mosso forse dalla “stella polare del consenso” di breve periodo (chiusure e restrizioni sono infatti impopolari ed inimicano gli elettori, a meno che non siano realmente terrorizzati da accettare ogni tipo di limitazione) così come la responsabilità di una società, quella italiana, diventata oramai una “società signorile di massa” (titolo e tesi del precedente libro di Ricolfi) incapace di sacrifici e centrata su una esasperata cultura dei diritti, sul primato del consumo e del tempo libero (p. 58). Avremmo forse accettato una chiusura ferrea durante l’estate quando gli indicatori dell’epidemia erano apparentemente sotto i livelli di allarme? Avremmo accettato una chiusura di due settimane ad ottobre mentre le curve erano leggermente in rialzo? Avremmo forse digerito un Natale in “zona rossa”?
Eppure molte società hanno accettato questi sacrifici ed evitato così di dover pagare cara la loro negligenza.
Se da una parte dunque l’ideologia europea e il ventre molle degli italiani potrebbero rappresentare due attenuanti sull’operato del governo, dall’altra due aggravanti pesano sui nostri governanti: quella di non aver ascoltato la comunità scientifica e non voler in nessun modo riconoscere i propri errori. In un eccesso di presunzione e autocompiacimento, nonostante il palese fallimento della sua strategia, per molto tempo il governo si è vantato di essere stato efficiente al punto di parlare di “modello italiano” come esempio da seguire e da esportare. Un governo che non perde occasione di esaltare la cultura e la scienza salvo poi ignorarne i contributi e gli appelli. “La responsabilità di aver sistematicamente ignorato queste richieste è enorme, e ci restituisce solo il dramma in cui siamo gettati. L’Italia è stata messa in ginocchio, e gli artefici del disastro sono ancora lì, indifferenti, apparentemente inconsapevoli di quel che hanno fatto e di quel che ci riservano”. Complici i media che hanno anestetizzato l’opinione pubblica assecondando le narrazioni ufficiali, “rinunciando a raccontare le pur evidenti pecche del modello italiano” (p. 140). Se lo avessero fatto, “se fossero stati addosso al potere con la stessa puntigliosa solerzia con cui, a suo tempo, tennero nel mirino le avventure erotiche di Berlusconi, forse le cose non sarebbero andate nel medesimo modo”. Cosa sarebbe successo se questa stessa gestione della crisi pandemica fosse stata messa in atto da un governo di destra? I media sarebbero stati allo stesso modo ossequiosi, rispettosi e fiduciosi nei confronti dei suoi governanti?
Miguel Cuartero
4 febbraio 2021