Questo Partito democratico, così com’è, con questi leader e questa linea politica non serve più. Non serve al Paese, né all’evoluzione politica del campo di centro-sinistra. La sua autoreferenzialità sul piano del potere (stare comunque e con chiunque purché al governo), il suo settarismo sul piano ideologico da PCI (si pensi ad esempio a Bettini, ideologo senza incarichi nel partito), l’esercizio della democrazia interna mai sperimentata e ora annunciata come possibile con la clausola «salvo COVID», ne fanno una «Cosa» disfunzionale allo sviluppo democratico del Paese.
Un PD non più «a vocazione maggioritaria» e divenuto proporzionalista puro è lo specchio del fallimento della storia riformista del Paese. L’esperienza del governo Conte è stata rivelatrice della sua involuzione politica: finire subalterni al Movimento 5 Stelle che si voleva egemonizzare è un capolavoro. Ora che Conte conferma di voler stare in politica e di starci come leader dei 5 Stelle, dando vita a un movimento «progressista» che punti a entrare nel Partito socialista europeo, quel fallimento si invera.
Il vecchio PCI, nella sua «doppiezza» – teoria e prassi politica togliattiana per accedere e accettare la democrazia liberal-democratica –, che prevedeva nel partito una distinzione tra il gruppo dirigente (l’aristocrazia del partito), che mediava politicamente rinviando sine die la rivoluzione, e il partito di massa delle sezioni che praticava un modello di partecipazione educativa e poteva sopportare ogni rinvio in nome della propria «diversità», non ha lasciato classe dirigente e non ha più popolo.
Terminate le ragioni storiche della «doppiezza», esaurita ogni «diversità» nel duplice scenario di un esercizio del potere fine a sé stesso e di un partito d’opinione radicaleggiante, di quella stagione sono rimaste solo le scorie.
Il Partito democratico, esito del processo ulivista, è stato la grande occasione del riformismo italiano. Ma essa oggi è naufragata. Il doppio fallimento di Bersani e di Renzi e l’opportunismo acritico degli ex democristiani della Margherita hanno condotto qui.
Vedere dapprima nei 5 Stelle la risorsa elettorale e generazionale per ringiovanirsi un po’; scambiare il loro giustizialismo, il loro moralismo, il loro statalismo come progetto politico innovativo per il Paese (mentre si trattava e si tratta di vecchi slogan populisti); e ora acclamare Conte quale «carta decisiva del fronte democratico» (dove il concetto decisivo è «fronte democratico»): significa mettere in piedi un omicidio-suicidio politico. Quello del centrosinistra. In questo scenario il sondaggio reso noto ieri da SWG racconta di un Movimento 5 Stelle primo partito assieme alla Lega al 22%, e di un PD al 14% (-4,3%). Motus in fine velocior.
Gianfranco Munelli