C’è un’intellighenzia afroamericana rimasta “senzatetto” perché critica le nuove guerre razziali.
“Segregazione oggi, segregazione domani, segregazione per sempre”, proclamava George Wallace, governatore dell’Alabama, segregazionista sessant’anni fa. Il prossimo 25 aprile, alla Columbia University di New York, avrà luogo la cerimonia di laurea. Abito celeste e cappello quadrato per uno dei grandi riti della vita americana. Ma ci saranno sei cerimonie separate. Una per i nativi, una per i neri, una per i latini, una per gli asiatici, una per i redditi bassi e anche una per gli Lgbt. Cerimonia “multiculturale”, anche se è l’opposto. Ogni studente è invitato a unirsi al gruppo che lo rappresenta nel ricevere il diploma.
Uno studio della National Association of Scholars ha rivelato che 75 college americani hanno cerimonie di laurea per soli neri e il 43 per cento dei college offre sale separate secondo la razza. La National Association of Scholars lo definisce “neo-segregazionismo”, perché ora sono le minoranze a chiedere la creazione di ghetti in cui rinchiudersi volontariamente.
Nicolas Baverez, editorialista ed economista francese allievo di Raymond Aron, sul Figaro qualche giorno fa ha scritto che, ironia della sorte, le idee del razzista Arthur de Gobineau tornano oggi dietro la maschera dell’antirazzismo. “La gerarchia di razze, sessi, culture o civiltà è capovolta: neri, meticci, donne, ex colonie, paesi del Sud o Islam sono modelli politici e morali; i bianchi, gli uomini, le chiese e l’Occidente sono condannati a lamentarsi come tante figure dominanti. Ma al di sotto di questa inversione di polarità si punta allo stesso ragionamento: le razze e la colonizzazione sono strutture permanenti e intangibili che costituiscono il vero motore della storia”. Ed essendo l’umanità dilaniata in razze e comunità irriducibilmente opposte, “la storia umana obbedisce a una guerra inesplicabile e illimitata di razze, etnie, religioni e sessi”.
Adesso soltanto un’altra donna di colore è ritenuta degna di tradurre una poetessa di colore e soltanto un doppiatore di colore può dare la voce nei cartoni animati a un personaggio di colore. E’ la “teoria critica della razza”, dogma nelle università e adottata dalle risorse umane nelle grandi aziende. Non esiste più il merito, solo il colore della pelle. Apartheid in nome della diversità. Un “progresso” che non va giù a un manipolo di solitari intellettuali afroamericani.
“I bianchi sono in imbarazzo e qualunque cosa facciano, è sbagliata”. A parlare così dalle colonne del tedesco Spiegel non è il solito intellettuale conservatore bianco, ma John McWhorter. Dice che l’antirazzismo è una minaccia per la libertà di espressione e la democrazia. Intellettuale afroamericano e linguista alla Columbia University, McWhorter sta scrivendo il nuovo libro sull’antirazzismo come religione. “Gli eletti”, il titolo. Sottotitolo: “Neorazzisti che si atteggiano ad antirazzisti e la loro minaccia per un’America progressista”.
Non capita tutti i giorni che ad attaccare gli antirazzisti sia una personalità di colore, per questo la critica di McWhorter è tanto più rara e sta facendo discutere. “Una parte fondamentale del loro kit di strumenti è che chiamano razzisti chi non è d’accordo con loro, o il termine più potente al momento, ‘suprematisti bianchi’. E per tutti, tranne pochissimi, essere definiti razzisti è così intollerabile oggi che si preferirebbe tollerare qualche dissonanza cognitiva. Questo non avrebbe funzionato altrettanto bene, diciamo, nel 1967. In quell’America, molti bianchi chiamati razzisti da questo tipo di persone, nel bene e nel male, avrebbero semplicemente risposto con ‘Vaffanculo!’. Oggi, ironia della sorte a causa del progresso, le cose sono diverse. Ora la maggior parte rabbrividisce disperatamente alla prospettiva di essere denunciato come un bigotto”.
McWhorter parla della terza ondata di antirazzisti. “I consigli scolastici di tutto il paese stanno costringendo insegnanti e amministratori a sprecare tempo in infusioni ‘antirazziste’ che non hanno più senso di qualsiasi cosa proposta durante la Rivoluzione culturale cinese (…) Molti mi vedranno come un traditore nello scrivere questo libro, ma la terza ondata antirazzista sfrutta la paura degli americani di essere ritenuti razzisti per promulgare non solo l’antirazzismo, ma un tipo ossessivo, totalitario e assolutamente inutile di riprogrammazione culturale (…) Non sto attaccando la sinistra. Sto attaccando un particolare ceppo della sinistra che è arrivato ad esercitare una grave influenza sulle istituzioni americane, al punto che stiamo iniziando ad accettare come normali i tipi di linguaggio, politiche e azioni di cui George Orwell ha scritto come finzione”.
Arriviamo al titolo, gli Eletti. “Nel 1500 si trattava di non essere abbastanza cristiani. Nel 2021 si tratta di non essere sufficientemente antirazzisti. Non vedono che anche loro stanno perseguitando le persone per non aderire alla loro religione. Ma come la maggior parte di noi può vedere, c’è una differenza tra l’essere antirazzista e l’essere antirazzista in modo religioso, fingendo che l’America non faccia mai alcun reale progresso sul razzismo e privatamente quasi sperare che non lo faccia perché ti priverebbe di un senso di scopo”.
McWhorter fa parte di una piccola ma significativa scuola di intellettuali di colore che criticano il nuovo antirazzismo.
Thomas Chatterton Williams, uno di questi, ha scritto la famosa lettera contro la cancel culture pubblicata su Harper’s e firmata da 150 rinomati pensatori e artisti tra cui Margaret Atwood, Noam Chomsky, JK Rowling, Salman Rushdie o Kamel Daoud. Questi intellettuali si chiamano Glenn Loury, professore di Economia alla Brown University; Coleman Hughes, saggista, ricercatore al Manhattan Institute e redattore del City Journal; e Thomas Chatterton Williams, che dice: “Se vengo cancellato sarà da un antirazzista bianco. Lo credo davvero”.
Non parliamo degli intellettuali afroamericani conservatori, di Shelby Steele del Wall Street Journal, del decano Thomas Sowell, del giudice della Corte suprema Clarence Thomas o del libertario Kmele Foster. Parliamo di intellettuali di colore rimasti senza casa a sinistra.
Non sono un gruppo coerente e sono in disaccordo spesso su molti punti. Ci sono anarco-libertari, di sinistra e liberali. Ciò che li unisce è il far parte di un’intellighenzia emergente e sempre più influente che rifiuta l’essenzialismo razziale e l’idea che si debba dare la priorità alla razza su tutto il resto per combattere il razzismo. Nel suo libro “Self Portrait in Black and White: Unlearning Race”, Williams tenta di eliminare completamente la designazione di “black”. Nel sostenere una società post-razziale, Williams espone quelle che considera le somiglianze tra la visione del mondo antirazzista e quella dei razzisti.
“L’antirazzismo ha preso il posto del cristianesimo”, dice McWhorter. Il “privilegio bianco” sostituisce il peccato originale come una macchia che non potrà mai andare via. Gli eretici sono scomunicati, c’è un clero che insegna ripetutamente un catechismo e ci sono domande che non ti è permesso fare. Agli afroamericani, McWhorter ha indicato tre “nemici interni”: lo spirito di vittimismo, il separatismo e l’antintellettualismo. Un discorso che sarebbe impossibile fare se non fosse di colore e al riparo di una cattedra universitaria che gli offre una solida sicurezza lavorativa.
Un economista di colore di Harvard, Roland Fryer, ha fatto impazzire l’establishment afroamericano sostenendo, dati alla mano, che non esiste un bias antinero della polizia americana. McWhorter non nega l’esistenza della brutalità della polizia. “I poliziotti non sono gentili con i neri, e questo è un problema molto serio”, ha detto. Ciò che contesta è che i neri vengano uccisi in modo sproporzionato dalla polizia a causa della razza. Nel 2000, McWhorter aveva già scritto un libro intitolato “Losing the Race” in cui ha criticato il “disfattismo” afroamericano.
Glenn Loury è stato arrestato dalla polizia quando era un giovane attivista nella Chicago degli anni ‘60. Il primo afroamericano a detenere una cattedra di economia ad Harvard, Loury ha flirtato con il reaganismo negli anni ‘80 prima di fare una conversione evangelica attraverso una crisi personale ed è, secondo Thomas Chatterton Williams, “straordinariamente brillante e il più anticonvenzionale di noi”. Oggi ha 71 anni e ha una cattedra. “Ma se avesse 32 anni, fossi un assistente senza ruolo? Oserei persino mormorare una parola contraria?”. Loury si fece un nome a livello nazionale quando si oppose all’affirmative action, le corsie preferziali nelle università per gli student di colore. Suo zio lo prese da parte e gli disse: “Hai tradito la tua gente”. Da destra, Loury è tornato a sinistra, perché “la linea conservatrice sulla razza non avesse abbastanza compassione”. Così ha sostenuto Barack Obama nel 2012 e nel 2016. Oggi Loury è un senzatetto, ben piazzato al centro del dibattito.
Nessuno di loro crede ai bignami dell’America woke, che sono “How to Be an Antiracist” (in Italia per Mondadori) di Ibram Kendi e “White Fragility” di Robin di Angelo. McWhorter ha recentemente scritto un pezzo tagliente sul libro per l’Atlantic: “Pochi libri sulla razza hanno infantilizzato i neri più apertamente di questo tomo apparentemente autorevole. O semplicemente ci ha disumanizzati”.
Ci sono i neri cristiani, come Chloe Valdary, accanto alla scuola degli afroamericani marxisti che vogliono uguaglianza, non diversità. Li guida Adolph Reed, settantatreenne professore all’Università della Pennsylvania. E’ convinto che la sinistra sia troppo concentrata sulla lotta razziale e non più su quella di classe. Invitato a parlare alla sezione di New York dei Democratic Socialists of America, la conferenza di Reed è stata annullata per le proteste non di qualche fanatico con la bandiera confederata, ma degli antirazzisti, accusato di essere “reazionario” e un “riduzionista di classe”. “Adolph è il più grande teorico democratico della sua generazione”, ha detto Cornel West, professore di Filosofia a Harvard e anche lui socialista. “Ha preso posizioni molto impopolari sulla politica dell’identità, ma ha una storia di mezzo secolo”.
Fanno parte della sinistra radical come la storica Barbara Fields della Columbia University e Bhaskar Sunkara, fondatore di Jacobin, la rampante rivista socialista. Sostengono che i problemi che tormentano l’America – la disuguaglianza, la brutalità della polizia e l’incarcerazione di massa – colpiscono neri e bianchi, senza distinzione, ma tutti poveri. Accademici che ruotano attorno a diverse riviste socialiste come Jacobin, Nonsite, Dissent … Sono nomi come Cedric Johnson, Toure Reed, Vivek Chibber. Sono sociologi, politologi e storici.
Johnson sostiene che Black Lives Matter, ormai sostenuto praticamente da tutte le grandi aziende nel mondo, non è altro che l’utile idiota del neoliberismo americano. Lo chiama “blackwashing”. I neri, dice, non hanno bisogno di quote linguistiche e di censure bianche autopunitive, ma di progresso economico. E quello non glielo daranno le caccie alle streghe. Scrive Reed sull’ultimo numero di Nonsite: “Poiché il razzismo non è la principale fonte di disuguaglianza, l’antirazzismo funziona più come un depistaggio che giustifica la disuguaglianza che come una strategia per eliminarla”. Questa primavera, Glenn Loury terrà un nuovo corso sulla libertà di espressione agli studenti della Brown University, dove è professore di economia. “Leggeremo Platone, Socrate, Milton, John Stuart Mill, George Orwell e Allan Bloom”. Parlargli della chiusura della mente americana potrebbe risvegliare gli studenti più che farli inginocchiare sui ceci.
Giulio Meotti
Il Foglio
5 Aprile 2021