L’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari introdotto con il recente decreto governativo è un provvedimento doveroso e legittimo, ma che mette anche in evidenza, sul piano scientifico e deontologico, un imbarazzante (per non dire preoccupante) atteggiamento professionale. L’adesione del personale sanitario alla campagna vaccinale anti-Covid è sicuramente rilevante e la quota di operatori che hanno rifiutato il vaccino è stata definita «molto residuale» dal presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici e degli odontoiatri (Fnomceo) Filippo Anelli. Ma è proprio questa piccola percentuale di irriducibili no vax che deve fare riflettere. Aver dovuto ricorrere – come è successo – a un provvedimento che ne preveda l’obbligo forzoso è un segnale inquietante.
Vi sono professioni che, per essere svolte, non possono prescindere da requisiti minimi di conoscenza e di azioni conseguenti. Se le ‘regole d’ingaggio’ sono chiare, esse devono necessariamente essere accettate da chi vuole svolgere quel tipo di lavoro. Altrimenti non si è idonei per tale attività. Soprattutto se vi è in gioco la salute e la vita altrui, oltre che le proprie.
In ambito sanitario l’importanza del ruolo dei vaccini non può essere messa in discussione. I vaccini rappresentano una delle più grandi vittorie sulle malattie infettive: sono tra le maggiori conquiste della medicina, tra i presìdi più efficaci mai resi disponibili per l’uomo. Hanno rappresentato strumenti fondamentali per la scomparsa dalla faccia della terra di gravi malattie infettive (il vaiolo è stato completamente eradicato nel 1979 e la poliomielite è ormai anch’essa in via di estinzione) e sono oggi mezzi straordinari di prevenzione nei confronti di molte condizioni patologiche. Anche il rapporto rischi/benefici dei vaccini è senza ombra di dubbio a vantaggio di questi ultimi.
La verità scientifica è il cardine su cui si basa l’attività medica e sanitaria. Non può mai essere un’opinione personale e non deve essere ignorata da chi lavora in tali ambiti. Per questo è inconcepibile che un sanitario, per il ruolo professionale che riveste, possa rifiutare di vaccinarsi rinunciando a un valido scudo per proteggere e proteggersi dall’infezione da coronavirus.
Invocato, atteso, finalmente arrivato, il vaccino contro il Covid-19 è un’opportunità unica per porre fine a questa terribile pandemia. Le sue varie formulazioni, preparate e distribuite a tempo di record, sono il risultato di uno sforzo scientifico e industriale straordinario. Tutti i tipi di vaccino anti-Covid somministrati in Italia (così come quelli usati in quasi tutti i paesi europei e in quelli nordamericani) sono stati approvati da autorevoli istituzioni di controllo dei farmaci: Food and Drug Administration (Fda) negli Stati Uniti, European Medicines Agency (Ema) in Europa, Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) in Italia. L’autorizzazione è stata data certo ‘in emergenza’, considerata la drammatica situazione determinata dall’enorme diffusione, dalla grande patogenicità e dell’elevata letalità dell’infezione dovuta al nuovo coronavirus, e ‘condizionata’, come deve essere per ogni nuovo farmaco per il quale occorre verificare sul campo, dopo l’uso clinico, vantaggi e svantaggi. Non ha senso però giocare sulle parole. Centinaia di milioni di dosi già utilizzate in tutto il mondo dimostrano che i benefici sono incomparabilmente maggiori dei rischi.
La loro efficacia e la sicurezza d’impiego, di là dalle recenti perplessità subito fugate dagli stessi Enti regolatori dei farmaci, sono ampiamente dimostrate. Ora che c’è, rifiutarlo è una vera assurdità che sembra impossibile possa verificarsi. Invece accade. E questo è allarmante, soprattutto se si pensa alle (giuste) lamentele che nelle prime settimane dall’inizio della pandemia sono state sollevate dal personale sanitario per la mancanza di adeguati strumenti contro il contagio (mascherine, camici, disinfettanti).
Per medici, farmacisti e operatori sanitari in genere «la vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’idoneità all’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative», precisa il decreto. Il vaccino non sembra possa impedire completamente – per quanto se ne sa oggi – che anche l’operatore sanitario immunizzato possa essere involontario asintomatico diffusore del coronavirus. Per questo le misure anticontagio (uso della mascherina, distanziamento fisico, frequente igiene delle mani) devono essere sempre mantenute sino a quando non si arriverà a un adeguato controllo della pandemia. Tuttavia, al di là delle sanzioni specifiche previste per chi non si sottopone a tale procedura (utilizzo in mansioni diverse, anche inferiori, e sospensione senza compenso sino all’assolvimento dell’obbligo) per ogni sanitario vaccinarsi è prima di tutto un impegno etico, oltre che un dovere professionale e un diritto individuale.
È un diritto per essere egli stesso per primo tutelato contro la malattia; è un dovere per salvaguardare la salute dei suoi assistiti; è un impegno che deve contraddistinguere il rispetto e l’attenzione che la propria professione implica sul piano etico. E questo vale non solo per il vaccino contro il Covid-19, ma per tutti i vaccini. Agire diversamente è inaccettabile. Chi rifiuta la pratica vaccinale non è idoneo a lavorare in ambito sanitario e perciò è opportuno che cambi mestiere.
Vittorio A. Sironi
Medico e storico della Medicina, Università di Milano Bicocca
venerdì 2 aprile 2021