Il virologo Maga risponde alle domande più comuni sull’immunità di gregge e spiega la differenza di trasmissibilità tra i virus. Da questo dipende la creazione dello «scudo» di difesa della popolazione. Chi ha avuto l’infezione naturale resta protetto almeno 3-4 mesi. Non c’è la certezza che chi ha avuto il Covid da diversi mesi abbia conservato l’immunità e se sia protetto dalle varianti. Il vaccino sviluppa un’immunità molto più robusta anche contro la variante, sicuramente contro quella inglese, la più presente in Italia.
Risponde il virologo Giovanni Maga, direttore dell’istituto di genetica molecolare del Cnr.
Che cos’è l’immunità di gregge?
È la traduzione letterale del termine inglese herd immunity. Più comprensibile chiamarla «immunità di gruppo». È la protezione fornita dagli individui vaccinati a quelli non vaccinati, per scelta o perché impossibilitati a causa di una controindicazione specifica. Queste persone restano suscettibili al virus ma vengono difese dallo scudo della popolazione immunizzata.
Qual è la quota di immunizzati che protegge il gruppo?
Non c’è una soglia unica. Ogni malattia infettiva ha la sua, al di sotto della quale i non vaccinati rischiano il contagio. Nel 2016 la percentuale di bambini che avevano ricevuto l’anti morbillo in Italia era scesa all’87%, molto inferiore al 90-95% necessario per evitare l’infezione a individui non immunizzati. Quell’anno si sono avuti diversi focolai epidemici di morbillo, virus molto contagioso: una persona infetta lo passa ad altre 15. La contagiosità del Sars-CoV-2 è di 1 a 3. Più un virus si diffonde facilmente più l’immunità di gruppo si alza. Per il Covid è stimata attorno al 70%.
Secondo il microbiologo Crisanti, senza vaccinare la fascia 1-18 anni non si potrà raggiungere l’immunità di gruppo. È vero?
Il Sars-CoV-2 ha mostrato di diffondersi uniformemente in tutte le fasce di popolazione ed è dunque trasversale. I vaccini per i minorenni non sono disponibili, dunque oggi bisogna rinunciare a vaccinare circa 12 milioni di italiani. Per arrivare all’immunità di gruppo occorre ottenere un tasso di vaccinazione più alto nel resto della popolazione. Sarà più difficile raggiungere l’obiettivo ma il problema è temporaneo. Le aziende farmaceutiche stanno sperimentando i loro preparati al di sotto dei 18 e 16 anni.
Uno studio pubblicato sulla rivista Science indicherebbe che negli Stati Uniti i più esposti sono giovani e giovani adulti 20-49 anni. È un riferimento credibile?
Non è dimostrato che il rischio di contagio dal Sars-CoV-2 dipenda da fattori biologici collegati all’età, al massimo ci può essere qualche caratteristica genetica predisponente. In una società gli individui che si muovono maggiormente e sono più attivi appartengono alla categoria 20-49 anni, quindi è logico ritenere che i maggiori diffusori del virus siano concentrati in questa fascia.
Quanto dura l’immunità?
È molto probabilmente duratura ma deve ancora essere ancora dimostrato il tempo di durata. Chi ha avuto l’infezione naturale resta protetto almeno 3-4 mesi. Non c’è la certezza che chi ha avuto il Covid da diversi mesi abbia conservato l’immunità e se sia protetto dalle varianti.
E l’immunità prodotta dal vaccino?
Il vaccino sviluppa un’immunità molto più robusta anche contro la variante, sicuramente contro quella inglese, la più presente in Italia.
L’immunità (data dall’infezione naturale o dal vaccino) non dovrebbe restare memorizzata per sempre?
Succede sempre con i virus: in genere le cellule conservano il ricordo degli anticorpi anche quando scompaiono. Non sappiamo quanto resista la memoria del Sars-CoV-2. I guariti dal Sars 1, il virus respiratorio, responsabile di un’epidemia nel mondo dal 2002 al 2004 (circa 8000 casi e 750 morti), l’hanno conservata per 10 anni.
Margherita De Bac
Corriere della Sera
17 Aprile 2021