Quanto manca alla fine del mondo? Molto poco si direbbe ascoltando gli interventi al “Vertice dei leader sul clima” convocato dal presidente americano Joe Biden in occasione della Giornata della Terra celebrata il 22 aprile. «Siamo sull’orlo del baratro», ha detto Biden, «i prossimi dieci anni saranno decisivi». Gli ha fatto eco anche papa Francesco, addirittura con due videomessaggi: uno per il vertice organizzato da Biden (peraltro nel programma il Papa era previsto tra i relatori, ma il suo nome è stato tolto all’ultimo momento e nessuna spiegazione è stata data), l’altro più generale destinato a tutti i governanti per la Giornata della Terra. «Siamo al limite», ha detto il Papa, bisogna invertire «il cammino dell’autodistruzione».
Avete la sensazione di aver già sentito questo allarme? Che non sia la prima volta che vengono lanciati ultimatum con tanto di date di scadenza? Ebbene, avete ragione. È almeno da 50 anni che viene annunciata l’Apocalisse climatica a ritmi martellanti. Un recente studio apparso sull’International Journal of Global Warming offre un quadro esauriente della situazione: sono state registrate 79 previsioni di distruzioni finali del mondo causate dai cambiamenti climatici, a cominciare dal 1970, ovvero dalla prima Giornata della Terra. Ebbene, 48 di queste previsioni di fine del mondo sono già scadute, ma nulla di quanto previsto si è realizzato: non solo la fine del mondo, il che è evidente a tutti dal momento che siamo ancora qui a parlarne, ma neanche tutti quegli eventi disastrosi che dovrebbero precederla.
Lo studio, “Apocalypse now? Communicating extreme forecasts”, non è scritto da due “scettici” che vogliono screditare il movimento climatista, ma da due docenti della Carnegie Mellon University, David C. Rode e Paul S. Fischbeck, preoccupati dall’effetto boomerang di questi annunci puntualmente smentiti dalla realtà. «Il problema – fanno notare gli autori – non è solo che tutte le previsioni già giunte a scadenza fossero errate, ma soprattutto che molte di queste erano annunciate come certe riguardo alla data».
Alcuni degli autori di queste previsioni sono seriali, come il biologo americano Paul Ehrlich, famoso per il suo libro sulla “bomba demografica” (1968) e recentemente invitato come relatore a un convegno in Vaticano, e il principe Carlo d’Inghilterra, degno figlio di cotanto padre (clicca qui). Si ricorderà che all’inizio del 2009 il principe del Galles si impegnò in un tour mondiale per annunciare la prossima fine del mondo: «Cento mesi appena per salvare il mondo», annunciò il 7 marzo in Brasile da vanti a una platea di leader e imprenditori sudamericani; soltanto «99 mesi» replicò il mese successivo alla Camera dei Deputati a Roma oltre che al vertice del G20 a Londra. Tanta era la certezza sulla data che nei mesi successivi, a ogni intervento pubblico Carlo si esibiva in una sorta di conto alla rovescia. Poi è arrivato il luglio 2017, data di scadenza dell’apocalisse e nulla è accaduto.
Non pago, il principe Carlo nel luglio 2019 si è presentato ai ministri degli esteri del Commonwealth, facendosi portavoce della convinzione di molti “esperti”: «I prossimi 18 mesi saranno decisivi». E anche il gennaio 2021 è passato; nel frattempo c’è stata la pandemia la cui crisi è ancora in corso, con tutto quel che ne consegue, ed eccoci ancora qui: adesso, ci spiega Biden, saranno «i prossimi dieci anni» ad essere decisivi.
Si potrebbe anche sorridere di questa mania apocalittica se non fosse che questa è funzionale a imporre una serie di politiche, queste sì catastrofiche, destinate a rendere più povera l’umanità nel suo complesso e anzi a ridurre drasticamente il numero della popolazione. Non è un caso che sia proprio la Giornata della Terra il giorno prediletto per questi annunci: essa fu creata nel 1970 con lo scopo di dare forza alla propaganda anti-natalista di quanti, a suon di miliardi, finanziavano i progetto di riduzione della popolazione in tutto il mondo. Il primo slogan della Giornata della Terra fu proprio “La popolazione inquina”, ed è ben triste vedere oggi che anche il capo della Chiesa cattolica si unisce a questo coro.
Queste occasioni comunque servono per spingere i capi di Stato e di governo a prendere impegni sempre più stringenti e gravosi per fare in modo di evitare l’Apocalisse. Biden ha ovviamente dato il buon esempio annunciando un nuovo obiettivo per gli Stati Uniti, ancora più ambizioso dei precedenti: ridurre del 50% le emissioni di gas serra entro il 2030, per arrivare poi nel 2060 alla “carbon neutrality”. Ha convinto anche il presidente cinese Xi Jinping a fare bella figura: anche lui si è impegnato alla “carbon neutrality” per il 2060, ma siccome è più bravo comincerà più tardi a ridurre le emissioni; dal 2026, per il prossimo piano quinquennale. Intanto, fino al 2025, il consumo di carbone della Cina continuerà ad aumentare perché «non abbiamo alternative», ha detto Xi. Insomma, «Voi andate avanti che poi vi raggiungo» è la strategia della Cina: tanto nel 2026 chi si ricorderà dell’impegno preso oggi?
Ma se Xi è furbo, Biden (o chi per lui) non è da meno. Anche se gli Stati Uniti si sono messi veramente sulla strada dell’economia “verde” gli obiettivi annunciati sono fuori dalla realtà a meno che il governo degli Stati Uniti non abbia effettivamente deciso il suicidio. Uno scienziato americano, Roger Pielke jr., si è infatti preso la briga di calcolare precisamente che cosa significherebbe ridurre del 50% le emissioni di gas serra entro il 2030.
Ebbene, calcolando che nel gennaio 2021 erano state censite negli Stati Uniti un totale di 1.852 centrali elettriche tra quelle a carbone e quelle a gas naturale, significa che ogni mese, da qui in avanti 11 centrali al mese dovranno essere chiuse o riconvertite in impianti a zero emissioni (ma al momento non esiste una tecnologia in grado di farlo).
Qualcuno può seriamente pensare che sia una strada praticabile? No, ma intanto con la scusa dell’allarme climatico si giustifica un intervento sempre più pesante dello Stato sull’economia e si restringono le libertà dei cittadini. Guarda caso, proprio come si sta facendo con la pandemia da coronavirus. E, guarda ancora il caso, pandemia e clima sono sempre più accostate nei discorsi dei “potenti” come crisi che richiedono la stessa risposta.
Riccardo Cascioli
24 aprile 2021