In India ha una prevalenza inferiore al 10 per cento e in Europa ci sono poche centinaia di casi. Presenta due mutazioni note, ma per la prima volta convivono in un unico ceppo. . La situazione in India è drammatica, ma non a causa della variante. Il motivo è che, nel momento in cui i contagi sono temporaneamente calati, il virus è stato lasciato libero di correre, togliendo tutte le restrizioni. Quanto sta accadendo dunque era totalmente atteso
La variante «indiana», B.1.617, è stata scoperta il 5 ottobre nel Maharashtra, lo Stato dove si trova Mumbai. Presenta due mutazioni (già note) nella proteina Spike: E484Q e L452R. È la prima volta che compaiono entrambe in un unico ceppo. Si teme che la variante possa rappresentare un pericolo anche per gli altri Paesi, tanto che il ministro della Salute Roberto Speranza ha firmato un’ordinanza che vieta l’ingresso in Italia a chi negli ultimi 14 giorni è stato in India. Gli italiani potranno rientrare solo con tampone in partenza e all’arrivo e hanno l’obbligo di quarantena. «I nostri scienziati sono al lavoro per studiare la variante indiana. Non possiamo abbassare la guardia» ha spiegato il ministro.
Cosa sappiamo oggi della variante B.1.617?
Ad oggi non ci sono studi conclusivi che ne indichino il livello di trasmissibilità e letalità, ma possiamo presumere che — come la variante inglese —abbia una capacità di diffusione piuttosto elevata. Il fatto che sia stata individuata in India non significa che lì abbia preso il sopravvento. «La prevalenza della B.1.617 in India è al momento inferiore al 10 per cento e in altre aree del mondo si vedono casi sporadici — afferma Carlo Federico Perno, direttore dell’Unità di Microbiologia all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma —. La situazione in India è drammatica, ma non a causa della variante. Il motivo è che, nel momento in cui i contagi sono temporaneamente calati, il virus è stato lasciato libero di correre, togliendo tutte le restrizioni. Quanto sta accadendo dunque era totalmente atteso. Sottolineo che stiamo parlando di una variante e non di un ceppo di virus nato a seguito della vaccinazione per tentare di aggirarla (chiamato vaccine-escape)». In India i numeri sono spaventosi: 17 milioni di contagi totali e 192mila morti. Ogni giorno i casi sono più di 300mila e i decessi ben oltre i 2mila. Considerando però che l’India ha 1 miliardo e 400 milioni di abitanti, la percentuale di morti è inferiore a quella che abbiamo in Italia (con 2-300 morti al giorno per 60 milioni di abitanti), pur essendo stata vaccinata una piccola parte della popolazione indiana (130 milioni di dosi somministrate, ma solo 13 milioni di persone hanno ricevuto anche il richiamo).
La variante «indiana» è arrivata in Italia?
Fino a oggi è stato registrato un solo caso, il 10 marzo a Firenze. Il 24 aprile un caso di variante indiana è stato segnalato in Svizzera: si tratta di una persona che transitava in un aeroporto. Molti Paesi stanno correndo ai ripari. Il primo ministro britannico Boris Johnson ha deciso — d’intesa con la controparte indiana — di cancellare la visita ufficiale in India. Nel Regno Unito sono stati tracciati un centinaio di casi d’importazione e l’India è stata inserita fra le nazioni della «lista rossa» (che comprende una cinquantina di Paesi) verso le quali è vietato viaggiare e dalle quali si può rimpatriare solo sottoponendosi, oltre che a una serie di test, a una quarantena obbligatoria di 10 giorni in hotel (a proprie spese). In Israele sono stati identificati 8 casi del ceppo B.1.617. Il direttore generale del ministero della Salute Hezi Levy ha affermato che, secondo le prime impressioni, il vaccino di Pfizer è almeno parzialmente efficace contro la variante. La sua diffusione è comunque limitata: si contano qualche centinaio di casi in Europa e alcune migliaia nel mondo di variante indiana. Diversi Paesi — tra cui Germania, Gran Bretagna, Canada, oltre all’Italia — hanno attuato una stretta nei collegamenti aerei con l’India.
I vaccini potrebbero risultare meno efficaci?
Non lo sappiamo, ma come detto non siamo davanti a un ceppo vaccine-escape. «I vaccini ci proteggono dalla stragrande maggioranza delle varianti. Poi ci sono studi in corso e ancora gli approfondimenti non ci danno una certezza assoluta — ha detto il ministro Speranza —. Dove si riscontrano elementi di maggiore debolezza nella capacità di contrasto alle varianti, le compagnie farmaceutiche e gli scienziati sono già al lavoro per avere nuovi vaccini. È una sfida tra il virus che muta e la comunità scientifica, la vinceremo ma abbiamo bisogno di gradualità. La scelta di stringere gli arrivi dall’India è per un atteggiamenti di grande cautela e precauzione». È d’accordo il coordinatore del Comitato tecnico scientifico, Franco Locatelli: «La situazione è grave perché il numero di contagi in India è straordinariamente elevato e c’è il dubbio che la variante indiana possa avere maggior potere contagiante, come è stato per quella inglese. Invece sarei cauto sulla possibilità che B.1.617 “buchi” i vaccini, non ci sono prove in merito. Non creiamo allarmismi». Quanto sta accadendo in India, ha concluso Locatelli, dimostra che «la pandemia va affrontata a livello globale, con i Paesi più fortunati economicamente che devono aiutare chi è in difficoltà, prima di tutto per ragioni etiche».
In Italia è attivo un programma strutturato di sequenziamento del virus?
«Purtroppo no — dice Carlo Federico Perno —: l’annunciato consorzio per il sequenziamento non è ancora partito e ad oggi si fa solo una mappa dell’esistente, presentata nel report dell’Istituto superiore di sanità che elenca e aggiorna le varianti presenti in Italia. Il sequenziamento massivo permetterebbe invece di capire se ne stanno nascendo di nuove. Paradossalmente in India questa attività è stata potenziata moltissimo e coordinata dal Governo, con un programma nazionale. In Italia al momento non abbiamo nulla di strutturato e finanziato in tal senso».
Cosa potrebbe accadere con la riapertura delle attività?
«Il virus è ancora presente e uccide, abbiamo 2-300 morti al giorno — sottolinea Perno —, ma è chiaro che il nostro Paese è in forte sofferenza economica. Aggiungo che solo 10-12 milioni di italiani sono stati vaccinati con una o due dosi. In questo scenario, serve una sintesi politica intelligente che concili il rischio biologico con quello di default sociale. Ma si tratta di una decisione (e quindi una responsabilità) politica, non spetta a noi medici. Guardiamo però i dati: in Gran Bretagna e Israele, dove è stato vaccinato il 60% della popolazione, le infezioni, le ospedalizzazioni e i decessi sono crollati. Noi siamo più indietro ma nell’arco di 3 mesi dovremmo riuscire a vaccinare almeno altri 15 milioni di persone, arrivando al 50% della popolazione, se le forniture saranno regolari. Non solo. Le cifre ufficiali dicono che in Italia ci sono 5 milioni di guariti (nella maggior parte dei casi immuni a reinfezioni), ma dato che nella prima ondata si testavano solo i sintomatici possiamo immaginare che i guariti siano ben di più, nell’ordine di 8-10 milioni. Infine il caldo: non è un elemento assoluto di diminuzione dei contagi, ma contribuisce a migliorare la situazione insieme alla restrizioni, coprifuoco incluso. È poi molto importante mantenere le precauzioni negli ambienti interni (mascherine, distanziamento, igiene delle mani). Seguendo queste avvertenze, credo che ci siano le condizioni per avere un’estate abbastanza tranquilla. Se invece si lascia il virus libero di circolare, come è accaduto in India, la situazione sfugge di mano, con il rischio che si possano creare ulteriori varianti e magari anche dei ceppi vaccine-escape (ma è improbabile che questo accada prima delle vaccinazioni)».
Dobbiamo continuare a portare tutti la mascherina?
«Sì: aggiungo che la Ffp2 offre più garanzie, ma non è facile tenerla a lungo, soprattutto con il caldo, con il conseguente rischio di togliersela o di usarla male. Meglio la chirurgica indossata correttamente e per tutto il tempo necessario».
Laura Cuppini
Corriere della Sera
26 Aprile 2021