Periodo molto pericoloso, il nostro. Culturalmente pericoloso. Sono anni, oramai, che nelle scuole c’è un tentativo di far passare un determinato tipo di sapere, che deve per forza corrispondere a un’ideologia fortissima che fa parte integrante di quella teoria gender che in passato pareva non esserci e, secondo chi ne negava l’esistenza, era frutto di fantasie quasi tolkeriane (anche un’amica di famiglia mi disse che per lei era una bufala, l’esistenza di questa fantomatica teoria). In seguito, improvvisamente, saltò fuori come se la sua esistenza fosse quasi ovvia. Tale teoria, che invece adesso si è finalmente rivelata con chiarezza anche grazie alla sfrontatezza con la quale è stata redatta la proposta di legge definita prima Scalfarotto, e adesso Zan, è una delle più grosse menzogne che siano mai state inventate. E poiché il mondo di chi ha creato astutamente questa falsità, è composto da adulti furbacchioni che desiderano ardentemente cambiare la mentalità comune, l’idea ingegnosa è stata quella d’iniziare dalle scuole (non che gli inventori delle “Opera Nazionale Balilla” e “Hitlerjugend” avesse avuto intenti diversi) per potersi “allevare” i futuri sostenitori genderfluid. In realtà molto del ddl Zan sta qui, nel tentare di occupare i diversi gradi di scuole, per intrufolarsi nelle menti dei più piccoli e dei meno piccoli, tentando di sabotare i già piuttosto fragili rapporti tra genitori e figli (divenuti deboli col fatto che le famiglie si disfano e i bambini vengono sempre più educati fuori dalla famiglia) e, soprattutto, seminare per bene la pianta dell’incertezza e della fragilità sessuale (o meglio, di genere) per poter far maturare generazioni di individui edonisti e narcisisti economicamente ben disposti a far circolare fiumi di denaro diretti a lobbies ideologiche.
Sono perciò anni che numerose associazioni, locali o nazionali, si vedono arrivare telefonate e mail da parte di genitori che denunciano situazioni scolastiche poco chiare: genitori e parenti di bambini e fanciulli che, sin dall’asilo nido, sono costretti a venire a conoscenza (quando va bene e se si tratta di genitori attenti e presenti) che le educatrici investono i loro soldi in librettini che raccontano di un pinguino e un panda che si fanno una famiglia grazie a una foca che regala loro il proprio cucciolo (gestazione per altri solidale), oppure di progetti scolastici (soldi ugualmente di genitori, se si tratta di scuole statali) che prevedono la partecipazioni di “esperti” che distribuiscono volantini per spiegare quante posizioni si possono assumere per effettuare del sesso anale sicuro (ad uso e consumo di studenti delle scuole superiori). Genitori che, oltre a dover lavorare per pagare mutui e prestiti, sostenere famigliari anziani, occuparsi di parenti disabili e, nel contempo, tentare di educare i propri figli almeno delegando l’Istituzione Scolastica della dispensa all’istruzione di italiano, storia, geografia, scienze, aritmetica, debbono pure vedere i propri figli vittime di un enorme esperimento sociale. Genitori che, però, hanno tentato di capire, grazie a tanti volenterosi “colleghi” genitori, come fare a evitare che i propri figli tornino a casa, a una manciata d’anni, sentenziando che «tutti possono avere il seno» (com’è accaduto nella scuola della quale scriverò dopo). Genitori che spererebbero di poter stare tranquilli, affidando i loro figli alla Scuola, che invece debbono scoprire che neanche in contesti “sicuri” i bambini vengono lasciati stare a imparare a giocare sereni oppure i primi rudimenti d’italiano mentre loro, gli adulti, tentano di sbarcare il lunario.
Anche nel caso di cui scrivo, tutto è partito da una manciata di genitori che, trasecolati, hanno dovuto confrontarsi con un progetto estremamente discutibile, del quale siamo stati informati. Il tutto avviene nell’Istituto Comprensivo Statale di uno tra i più grossi comuni della Provincia di Padova nel Veneto e Il caso fa riferimento alla classe prima di una scuola elementare del Comprensivo. Alcuni genitori (che chiedono l’anonimato) hanno scoperto, guardando l’app in cui vengono indicate le materie e il programma delle singole giornate scolastiche, che durante l’ora di Educazione Civica è stato proposto un Laboratorio denominato “Scelte Libere” in cui veniva spiegata l’attività con testuali parole: “attività di laboratorio sul superamento degli stereotipi e la parità di genere” in collaborazione con un’esperta (non viene indicato il nome ai genitori) dell’Associazione “Attivamente” (stando a quanto riportato nell’app). Come da protocollo, ai genitori non è stato fornito alcun avviso preliminare, quindi non è stato possibile fornire o meno il consenso per la partecipazione dei figli al Laboratorio (consenso che dovrebbe essere obbligatorio, ma spesso è gestito furbescamente: tempo fa, ad esempio, in alcune scuole di Viareggio, era stato distribuito il consenso da far firmare ai genitori delle scuole superiori per un incontro – ovvero un monologo – con Vladimiro Guadagno in arte Luxuria. Tuttavia nessuno controllò, all’ingresso del teatro, che i ragazzi che si erano presentati, avessero un consenso firmato dai genitori. Ne raccontai qui: http://www.lacrocequotidiano.it/articolo/2019/11/27/societa/vladimir-luxuria-a-viareggio-per-un-pomeriggio-di-ordinaria-ideologia).
Nel caso in questione, non è stato nemmeno fornito preventivamente il nominativo dell’esperta: il tutto è emerso dalle parole dirette dei bambini, i quali hanno riferito testualmente: «la maestra nuova, che si chiama Giorgia, ha spiegato la storia di una bambina e delle scelte libere. Cioè, non è che le cose da maschi sono solo da maschi e quelle da femmine sono solo per le femmine. Perché questa bambina si è scelta lo zainetto di Spiderman e alcuni suoi amici la prendevano in giro dicendo: ‘ Spiderman?? Sei una femmina, quello è una cosa da maschi!’. Così il papà poi le ha spiegato che ognuno può fare le sue scelte. Poi la maestra Giorgia ci ha fatto un altro esempio. Ha detto: le scelte libere, ad esempio, sono quando E**** va in un negozio e vede una bellissima felpa rosa dell’Asics e se la vuole prendere. Sa che è da femmine però a lui piace. Non bisogna ascoltare quello che dicono gli amici! Non bisogna ascoltare quello che dicono i compagni perché alcune cose possono essere importanti perché sono scelte libere». Inoltre pare che siano state costruite delle ‘bamboline’ ai quali i bambini dovevano scambiare gli abiti: quelli da maschi a quelli da femmine, e viceversa.
Com’è ovvio che sia, i genitori hanno chiesto maggiori informazioni in merito ad Associazione, Laboratorio ed “esperta”, ricevendo come risposta il nominativo di una diversa associazione rispetto a quella indicata, nello specifico si tratta di “Gea Mater Onlus” http://www.geamater.it/ (tra l’altro dal sito sembrerebbe occuparsi di autismo, non di ideologia di genere
Indagando sul web, si può facilmente notare che il Laboratorio è incardinato nel progetto “Attivamente” finanziato dalla Fondazione Cariparo – cassa di Risparmio Padova e Rovigo (https://www.fondazionecariparo.it/iniziative/attivamente-2020-2021/ ). I genitori, visibilmente scossi e molto indignati dalla mancanza di comunicazione da parte della scuola sulla scelta di condurre il laboratorio, sui contenuti e sulla persona -di cui non sanno nulla- chiamata a tenere ben tre lezioni ai propri figli su questioni eticamente, antropologicamente e scientificamente discutibili, sono altresì terrorizzati dall’esporsi per paura che il figlio venga discriminato o bullizzato in quanto la famiglia non condivide l’ideologia di genere e ritiene del tutto inopportuno l’insegnamento, per di più in orario scolastico ordinario.
Riportiamo di seguito i dettagli illustrati nella scheda del Laboratorio “Scelte Libere” all’interno del progetto “Attivamente” di Cariparo:
“Ogni incontro parte dall’ascolto del racconto per proseguire con alcuni giochi-stimolo inerenti alla tematica proposta e all’attività laboratoriale, diverse a seconda dell’incontro.
Obiettivi:
- Rendere consapevoli i bambini degli stereotipi che li circondano.
- Implementare l’attenzione e la cura verso l’altro, dello stesso sesso o di quello opposto.
- Assumere un atteggiamento conoscitivo emancipato e creativo.
Attività:
Tre racconti fungeranno da filo conduttore per i laboratori:
- Ettore, l’uomo straordinariamente forte di Magali Le Huche – Costruzione di un semplice telaio per sperimentare la tessitura;
- C’è qualcosa di più noioso che essere una principessa rosa? Di Raquel Diaz Reguera – Realizzazione di vestiti con carte colorate e stoffe per principi e principesse;
- Mi piace Spiderman… e allora? Di Giorgia Vezzoli – Costruzione con cartoncini dello zainetto di Spiderman”
Il testo a cui il laboratorio si è ispirato, è di Giorgia Vezzoli e Massimiliano di Lauro (illustratore), e qui è possibile ascoltare il racconto direttamente dall’autrice (Giorgia Vezzoli legge “Mi piace Spiderman…e allora?”). Trattasi di una brevissima narrazione nella quale la vecchia zia è stranita dalla richiesta della nipotina che vuole una cartella di Spiderman, affermando che il personaggio è da maschi. La bambina però è appoggiata dai genitori progressisti e si fa acquistare Spiderman. A scuola non le va meglio poiché i maschietti la dileggiano per la scelta, dicendole che Spiderman è un personaggio maschile: la poverina quindi è vittima di bullismo per la scelta del personaggio della sua cartella. La rivincita della bambina è quella dei ‘like’ che la sua mamma prende su facebook quando posta la foto di lei con la cartella di Spiderman. La “commedia” prosegue attraverso i commenti che il post della madre della bambina riscuote (ovviamente c’è quello dell’amica della mamma che denuncia il fatto che in passato le femmine non potevano portare i pantaloni). Insomma tutta una lunga tiritera abbastanza scontata che serve per giustificare il fatto che è diritto dei maschi usare oggetti “da femmine”, e viceversa (tra l’altro il fatto che la madre posti la foto su facebook e abbia necessità, trasmettendola alla figlioletta, di ricevere dei ‘like’ per essere rinforzata positivamente sul fatto che la bambina ha ragione, mi preoccupa molto e la dice lunga sul pericolo che le attuali generazioni possiedono di ricevere i propri consensi a una realtà virtuale, senza invece sapersi confrontare direttamente delle proprie scelte).
A questo punto, per completare la mia disamina, ho chiesto il parere dell’amica Giusy d’Amico – fondatrice e presidente dell’associazione Non si tocca la Famiglia -, persona qualificatissima sull’argomento. «Il denominatore comune di questi progetti sulla parità di genere, non è promuovere una parità in ordine alla dignità che ogni persona ha davanti allo Stato, come cittadino, non è promuovere la parità in ordine alle opportunità e alla dignità di ogni persona di fronte ai concittadini, ma è promuovere la cosiddetta “parità di genere” a partire da una identità sessuale “sganciata” da una identità sessuata: si disconosce, quindi, il dato della ricchezza della differenza tra maschi e femmine. Dire a un bambino che anche un maschio può avere il seno, significa alterare gravemente, anche sul piano pedagogico, la percezione della realtà. Questa è una sovrastruttura, è una costruzione sopra la realtà, che non ha niente a che vedere con quello che è l’apprendimento per i bambini, soprattutto in una fascia di età così fragile in cui è ancora in formazione questa identità e che ha necessità di riferimenti chiari e non fluidi, come la mentalità imperante che il pensiero unico vuole imporre. Come associazione ‘Non si tocca la Famiglia’ abbiamo redatto un documento che abbiamo inviato agli edifici scolastici competenti e al Ministro dell’Istruzione, nel quale abbiamo chiesto che questi progetti vengano sospesi fino al post-pandemia per poi continuare a rifletterci. Perché un altro dato estremamente evidente e grave, è che in un momento di pandemia dove sono stati messi estremamente a rischio gli apprendimenti base (quelli che sono leggere, scrivere e far di conto) siamo assolutamente in disaccordo con chi promuove percorsi che sottraggono ore di didattica preziose, fondamentali per riacquisire non solo gli apprendimenti nozionistici ma anche quelle dinamiche relazionali che sono state pesantemente compromesse. Quindi in questo momento, al di là del merito su cui abbiamo argomentato, sul metodo abbiamo anche da dire che in questo momento è assolutamente forviante, assolutamente fuori luogo e destabillizzante, per quel minimo margine di apprendimento che richiediamo ai bambini e ai ragazzi pesantemente lesi da questo lunghissimo tempo di pandemia, imporre progetti didattici a mero scopo ideologico».
Giorgia Vezzoli forse non sa che nella mia famiglia – che Fedez definirebbe “ultracattolica” – la mia figlia grande aveva abiti firmati Marvel (compreso zaino e completo da letto), non ha mai giocato con le Barbie [ne aveva di bellissime anni ’80 (le mie)] né con bambole. Mio figlio grande, invece, usava indossare la fascia portabebé con il suo bambolotto Franklin (con pelle nera e tuta arancione). La mia seconda figlia ha sempre e solo giocato con le costruzioni insieme ai fratelli più piccoli e proprio oggi, il mio sesto figlio, di tre anni, ha preso un bambolotto, se l’è messo al petto e mi ha detto: «Bimbo piange, io poppa» sapendo bene che a me non interessa tanto se un maschio mi imita allattare (c’è tutto il tempo per imparare che sono le mamme a dare la poppa ai bimbi: informazione che si acquisisce osservando mamma), ma a me importa – e tantissimo – che i miei figli imparino l’accudimento del più piccolo, l’ascolto del suo pianto, il rispondere ai bisogni dei più fragili. Non occorre che l’esempio per educare i bambini al rispetto dell’altro: altro che, però, dev’essere rispettato sempre, anche quando è embrione, malato, imperfetto e indesiderato.
Rachele Sagramoso
5 maggio 2021
http://www.lacrocequotidiano.it/articolo/2021/05/09/societa/i-tentacoli-della-piovra-genderista-in-veneto-e-il-ddl-zan