L’esperto di fama internazionale: «Gli americani di Pfizer hanno una molecola che sembra funzionare su diversi coronavirus e che definirei più che promettente»
Luca Guidotti, immunologo e virologo, per 21 anni ha insegnato Patologia sperimentale allo Scripps Research Institute di La Jolla, in California, uno dei centri di ricerca biomedica più prestigiosi al mondo, dove lavorano anche Nobel per la Medicina, la Fisica o la Chimica. I suoi lavori – ospitati da Cell, Nature, Nature Medicine e Science – sono serviti allo sviluppo di farmaci antivirali, oggi nelle farmacie. Rientrato stabilmente a Milano, è docente di Patologia generale nell’Università Vita-Salute San Raffaele e vicedirettore scientifico dello stesso ospedale milanese.
«Il virus avverte la pressione dei vaccini. E scappa. Scappando muta, continuerà a farlo. E le varianti future saranno più temibili delle attuali. È l’ultima sorpresa che questo virus ci riserverà prima di una convivenza pacifica. Nel frattempo la scienza non starà a guardare, disporremo di nuove armi. E non mi riferisco solo ai vaccini o agli anticorpi monoclonali. A mettere la parola fine a questa vicenda potrebbe essere una comune compressa da prendere per bocca, un antivirale. Non è dietro l’angolo ma neanche lontanissimo». Il quadro d’insieme è di Luca Guidotti, immunologo e virologo di fama internazionale, una lunga esperienza negli Usa, attualmente titolare della cattedra di Patologia generale nell’Università Vita-Salute San Raffaele e vicedirettore scientifico dello stesso ospedale milanese.
Professore, questa “pacificazione” tra noi e il virus quando sarà siglata?
Chi dice di conoscere i tempi mente. Ma posso dire che il virus sta già cambiando alcune parti del suo bagaglio genetico. È probabilmente un buon segno. Nella vecchia Sars alcuni di questi cambiamenti sono associati a una riduzione della patogenicità.
Non si fa altro che parlare di varianti. Lei dice che ne arriveranno di nuove e potenzialmente più problematiche, cosa dobbiamo aspettarci?
Credo che sotto la crescente pressione vaccinale dovrebbero emergere varianti in grado di eludere la capacità dei vaccini di limitare la trasmissione del virus. Ma eludere la trasmissione non significa eludere l’efficacia del vaccino nel contenere la progressione severa della malattia e quindi della morte. Vaccinando sempre più, con ogni tipo di vaccino, ridurremo la malattia severa e i decessi. Contro le varianti ci attrezzeremo con antidoti modificati e probabili richiami annuali fino a un punto in cui il virus sarà endemico.
Nel frattempo…
Nel frattempo siamo concentrati sulla mutazione di una delle 30 proteine del virus, la “Spike”. Il problema è che in questa fase, in un certo senso, stiamo assecondando il virus.
Assecondando?
Stiamo facendo il suo gioco. Vacciniamo poco e a volte male. Guardi: il virus muta se replica e non riesce a sviluppare mutazioni per lui vantaggiose se tutti sono vaccinati; se nessuno è vaccinato seleziona varianti in grado di trasmettere l’infezione sempre più efficientemente. Ma se incontra una risposta anticorpale “bassa”, allora potrebbe selezionare varianti in grado di scappare a quella risposta.
Quindi, cosa significa vaccinare male?
Quando il premier britannico Boris Johnson ha deciso di spostare il richiamo AstraZeneca, da un lato ha seguito una ragione logica per offrire un po’ di copertura a tutti. Dall’altro è stata una follia, perché ha permesso al virus di evolvere a questa pressione anticorpale parziale, dandogli la possibilità, un domani, di eludere quel tipo di vaccino. Ma è chiaro che dobbiamo capire qual è il nostro obiettivo. Johnson ha fatto una scelta.
Non la condivide?
Ripeto: in parte è giustificabile. Il primo obiettivo è ridurre le morti. Per ridurre le morti, dobbiamo ridurre le ospedalizzazioni, per ridurre le ospedalizzazioni dobbiamo ridurre i casi gravi. Questa è stata la scommessa del Regno Unito. Che però, prevedendo nuove varianti, ha approvato un piano nazionale per mapparle, per sequenziarle. Trovarle significa capire prima di altri se la nuova mutazione costituirà una minaccia.
Lo stiamo facendo anche noi?
No. Ed è inconcepibile. Evidentemente siamo meno intelligenti dei britannici…
Crede nel raggiungimento di una immunità di gregge entro l’autunno?
Vaccinando innescheremo un livello di memoria immunologica, certo. Magari ci infetteremo ma il rischio di arrivare a una malattia severa sarà di molto arginato. Il problema è che nel mondo siamo tanti e molti di noi, a causa dell’età avanzata, sono fragili. Chiunque fa un giro nei nostri ospedali oggi, è come se lo facesse in un grande reparto di geriatria. 50 anni fa non era così, si moriva prima e non si assisteva alle malattie dell’età avanzata di oggi. In Afghanistan il Sars-CoV-2 c’è ma non muore nessuno perché la popolazione è giovanissima.
Quali altre armi abbiamo, oltre al contenimento, al tracciamento, e ai vaccini?
In pochi conoscono il ruolo dei linfociti T, globuli bianchi specializzati nel riconoscimento delle cellule infettate da virus. Ebbene, sono convinto che diano più protezione rispetto agli anticorpi vaccinali.
Vuol dire che chi ha avuto il Covid-19 è più protetto di un vaccinato?
Esatto. E non solo. Questa immunità naturale dà una protezione contro tutto il virus, non solo dalla Spike, e quindi gli ex pazienti saranno molto più al riparo anche dalle nuove varianti.
Come funziona?
Gli anticorpi prevengono l’infezione, impediscono al virus di entrare nelle cellule. I linfociti T invece, uccidono le cellule che sono già state infettate.
Quanto dura la protezione?
Troviamo ancora la memoria immunologica in chi ha fatto la Sars, quindi almeno 20 anni.
Ma allora chi è in possesso di questa difesa, può non fare il vaccino?
Può comunque essere utile vaccinarsi, ma aspettando l’ultimo turno.
E sul fronte antivirali, cosa bolle in pentola?
L’unico già approvato, il Remdesivir, non è molto potente e va dato per via endovenosa, quindi in contesto ospedaliero e in una fase di malattia in cui rischi di essere già molto avanti. Avere un antivirale sicuro da prendere per bocca, alla comparsa del primo sintomo – ad esempio una febbre da 37,5 gradi -, cambierebbe la storia della malattia. L’antivirale che stiamo cercando funzionerebbe contro tutti i coronavirus.
Produrre un antivirale è più costoso rispetto a un vaccino?
Molto più costoso. Si può arrivare a 2 miliardi di dollari. Sa, a volte dipende anche da scelte politiche. Con i soldi che abbiamo speso per salvare l’Alitalia – che non è salva – si sarebbero potuti realizzare antivirali in grado di proteggerci contro infezioni da coronavirus passate, presenti e future.
Quanto tempo occorre per produrne uno?
Potrebbero servire 5-10 anni. Ma oggi si può andare più veloci.
Chi è più avanti nella corsa?
Gli americani di Pfizer hanno una molecola che sembra funzionare su diversi coronavirus e che definirei più che promettente.
Sono più avanti rispetto a quei 5-10 anni occorrenti per un nuovo farmaco…?
Probabile.
Prof, ci dica di più. Quanto tempo manca a Pfizer per centrare l’obiettivo?
Non mi meraviglierei se arrivassero a meta tra 2 anni. Parliamo di un farmaco di prima generazione. Nessuno ci dà certezze sul successo immediato. A volte ce ne vogliono 3, 4, 5, di generazioni. L’importante è partire. La storia del più grande successo farmaceutico è quella dell’epatite C, malattia mostruosa, che colpiva 200 milioni di persone nel mondo. Oggi con una pillolina senza effetti collaterali la curi in una dozzina di settimane. Ma per arrivarci ci sono voluti centinaia di “fallimenti”. Ci arriveremo, non è questo che mi preoccupa.
Cosa la preoccupa?
La stupidità umana. In Texas hanno già tolto la mascherina. Ci sono persone che rivendicano la libertà di avere mitragliatori automatici in casa, figurati se li puoi costringere a vaccinarsi… Ma se il 20-30% della popolazione rifiuta il vaccino, hai perso in partenza. Rifiutarlo è follia pura perché offre al virus un provvidenziale serbatoio per proliferare ed evolvere.
Cosa ci insegna questa storia?
Negli anni ’30 eravamo 2,5 miliardi e il 50% delle terre emerse erano selvagge. Nel 2021 siamo quasi 8 miliardi e di terre selvagge ne sono rimaste meno del 30%. Abbiamo antropizzato il pianeta, entriamo in contatto con virus che a volte hanno 4 milioni di anni e che non avremmo mai dovuto incontrare. I virus sono parte di noi. Ma la natura non aveva pensato ad una specie capace di aggredire il pianeta in pochi decenni, come stiamo facendo noi, devastando, deforestando, distruggendo faune selvatiche e nicchie ecologiche di virus, batteri, funghi, animali, vegetali sconosciuti. E poi non c’è una regia globale per proteggere i Paesi poveri che chissà se riusciranno a vederlo un vaccino. Se non arrivi lì però non ne vieni fuori. Perché in aree prive di protezione vaccinale si potranno produrre nuove varianti. Nel 2000 abbiamo fronteggiato la Sars, 10 anni dopo la Mers, adesso il Sars-CoV-2. Ma il prossimo virus potrebbe arrivare prima di dieci anni. Saremo preparati?
Vito Salinaro
30 aprile 2021
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/guidotti-immunologo-i-guariti-piu-protetti-dei-vaccinati