I medici di Firenze si scandalizzano perché la gente non vive per conservare la salute o nel terrore di soffrire. C’è da temere un concetto di cura simile.
Da Galileo a Crisanti. Denunciato per diffamazione da Astra Zero, braccio operativo della Regione Veneto per la sanità a causa delle sue critiche ai test rapidi Covid, il direttore dell’istituto di microbiologia dell’Università di Padova Andrea Crisanti dice che «è dai tempi di Galileo che una procura non si occupa di giudicare un articolo scientifico». Per quanto esilarante il parallelo funziona, non parliamo del caso Crisanti, ma di un certo clima da santa inquisizione. “Eppur si muore”, non dovrebbe che azzardare un piccolo Galileo di oggi ai custodi della dottrina della scienza.
La lettera dei medici di Firenze
Abbiamo letto, nei giorni scorsi, la lettera aperta dell’Ordine dei medici di Firenze. Medici alle prese con morti, tubi e malati che dopo aver visto alla tv «piazze stracolme di ragazzi e manifestanti, mascherine abbassate, bottiglie in mano, resse. Grandi risate» scrivono:
«Diteci voi cosa dobbiamo fare. Qualcuno ci indichi la strada, perché come medici abbiamo sempre lavorato per curare una società che non vuole ammalarsi, che si rivolge ai professionisti perché ha paura di soffrire, di perdere i propri cari. È chiaro che ora le priorità sono cambiate o non si spiegherebbero le folle per le strade. La tutela della salute è uno dei pilastri della nostra Costituzione, ma quel principio sembra essere confinato solo nei reparti ospedalieri. Diteci cosa rispondere alle famiglie che ci chiamano, agli anziani rimasti soli che guardano fuori dalla finestra. Noi le parole le abbiamo finite».
L’abbiamo letta e non consideriamo affatto finite le parole sull’inquietante quanto sincero passaggio sul senso della cura, finalizzata a «una società che non vuole ammalarsi», che ha bisogno del professionista «perché ha paura di soffrire». Ora i professionisti non si capacitano che il deterrente non funzioni più. Che le priorità della gente non siano la conservazione della salute. Che sulla paura di soffrire prevalga una incosciente risata. C’è da avere paura di una cura così. Di un medico scandalizzato dal dover curare una società che non se lo merita. Eppur si muore: dalla notte dei tempi spesso in ospedale si muore.
La paura come dottrina morale
Ma fuori dall’ospedale, là fuori a Firenze, mentre i medici intubavano i pazienti di Covid, che diavolo si faceva se non ciò che era consentito, astenendosi da ciò che era vietato? Da un anno e mezzo risate e bevute non sono per i medici e i virologi che la prova regina di un cinismo diffuso. E perché non un tentativo – peraltro condizionato da regole, divieti e coprifuoco – di fare ciò che si fa fuori dagli ospedali, semplicemente vivere? Non era un rischio «molto basso» supportato da «dati scientifici» quello del contagio all’aperto, come ci ha ripetuto Draghi?
Capiamo che detta così suoni gretta e meschina: neanche c’è da ricordarli i selfie di infermieri stravolti, gli inviti, puntuali, a farsi un giro nelle terapie intensive intasate dal Covid ad ogni brulicare di gente in spiaggia, al parco, nelle vie dello shopping natalizio, ai funerali di Maradona, alle grigliate di Pasquetta, mentre i medici spendevano, in molti fino a perderla, la propria vita per salvare gli altri. Ma trasformare la medicina in una dottrina morale non responsabilizza nessuno, men che meno imponendo come comandamento supremo “Devi avere paura”.
L’allegro Zangrillo e il Galli stizzito
Venerdì mattina il primario di anestesia e rianimazione dell’Irccs San Raffaele di Milano Alberto Zangrillo ha osato twittare: «Cari Signori Giornalisti, questa mattina il Pronto Soccorso # COVID19 del San Raffaele è vuoto. Vaccini, ricerca e soprattutto cure corrette e tempestive fanno la differenza». E puntualmente Massimo Galli, responsabile di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, si è stizzito: «Il professor Zangrillo fa egregiamente il rianimatore, ma meno l’epidemiologo o il virologo». Dimentica Zangrillo fenomeni «sconcertanti, come ad esempio la crescita delle infezioni in Germania. Dobbiamo essere cauti». Dobbiamo continuare ad avere paura.
Del Covid, sì. Ma forse anche della cura a raddrizzare il legno storto dell’umanità di chi risponde alle immagini di bottiglie in mano e grandi risate con quelle del «tubo lungo la trachea per farle arrivare l’ossigeno», «la visiera appannata per il sudore», a quelle dei ragazzi in piazza con «gli anziani rimasti soli che guardano fuori dalla finestra». Hanno ragione, i medici di Firenze: fuori dall’ospedale vivere nell’idolatria della tutela della salute è impossibile. E la terra non gira intorno a giudici ed esperti dai tempi di Galileo.
Caterina Giojelli
2 maggio 2021