Al ritmo attuale arriveremo al 60% di vaccinati entro l’8 luglio. Poi sarà più difficile raggiungere l’immunità di gregge del 70%. Ecco perché.
Ne stiamo uscendo, grazie ai vaccini e a chi li somministra. I numeri sono inequivocabili: nella settimana dal 2 all’8 maggio, il numero di contagi è diminuito del 22% rispetto alla settimana precedente e del 27% rispetto a due settimane prima. Il numero di morti giornaliero nello stesso periodo è diminuito del 18% rispetto ad una settimana prima e del 29% rispetto a due settimane prima (Figure 1 e 2). La flessione degli effetti negativi del virus è netta e costante, anzi è sempre più rapida. Neppure la festa per lo scudetto dell’Inter, che secondo alcuni poco avveduti poteva intaccare il raffreddamento del contagio, ha avuto effetti evidenti, ad ulteriore riprova che solo il vaccino può neutralizzare il virus, e che il semi-lockdown (non il lockdown, si badi bene) è un palliativo che, da solo, risulterebbe inutile.
Alcune parole sulla campagna vaccinale in Italia. Sta andando bene, ma non a gonfie vele. Il sistema messo in piedi somministra, da diversi giorni, 330-340mila prime dosi al giorno, con un tasso di nuovi vaccinati del 5,5 per mille italiani. È un numero alto, però non decolla, sia per le difficoltà incontrate in alcune zone del Paese, sia per l’eccessiva attenzione che il sistema presta alla somministrazione delle seconde dosi del vaccino. Tra l’altro, proprio il vaccino AstraZeneca, che è stato comunicato in modo così disastroso dalle nostre autorità sanitarie, è quello la cui prima dose (come dimostra il Regno Unito) è in grado di dare effetti positivi e sicuramente più duraturi degli altri in circolazione (ovviamente, Janssen escluso, dato che, per ora, si somministra in dose unica, ma è stato testato e indicato dalla stessa Johnson & Johnson all’Organizzazione mondiale della sanità come somministrabile anche in tre dosi).
In Europa, solo la Germania riesce a fare meglio dell’Italia; addirittura ci siamo lasciati alle spalle la Francia, che era partita con un piccolo vantaggio su di noi. Tanto per far capire le diverse velocità dello sforzo dei sistemi vaccinali, negli ultimi 10 giorni la Germania ha vaccinato il 7,4% della popolazione, l’Italia il 5,5%, la Spagna il 4,8% e la Francia il 4,1% (Figura 3).
Fino all’8 maggio, ha ricevuto una prima dose di vaccino il 27% della popolazione italiana. Se riuscissimo a tenere questo passo, arriveremo al 50% in 42 giorni, ossia verso il 20 di giugno, e al 60% verso l’8 luglio. Se ciò fosse vero, saremmo a cavallo. Cioè, ci sarebbero tutti gli indizi per vivere pienamente l’estate. E ciò succederà non per la leggenda metropolitana che il virus teme il caldo, altrimenti non si capisce perché la seconda ondata è partita ad agosto dell’anno scorso e perché stia infuriando in India. Succederà grazie alle vaccinazioni. Purtroppo, come vedremo nel seguito del discorso, sarà molto difficile che l’Italia riesca a tenere il passo fino a raggiungere il 50% e ancor più fino a raggiungere il 60%. In ogni caso, è verosimile che, stante il livello di impegno attuale, ci arrivi prima di agosto.
Comunque, onore al merito. Al merito di chi organizza i centri vaccinazione, di chi procura i vaccini, di chi opera nella somministrazione. Chi è stato in un centro di vaccinazione ha potuto ammirare l’efficienza e la cortesia di sanitari, volontari e militari. Un segno positivo per il Paese che si prepara ad uscire dal bozzolo e che avrà bisogno di efficienza, molta più di prima, per riuscire a gestire una situazione post-pandemia che sarà molto più complessa della stessa pandemia. Infatti, tutto sommato, la gestione sociale della pandemia è consistita in una serie di costrizioni: non fare questo, fai attenzione a quello. Il post-pandemia dovrà essere una ben più articolata, intensa e prolungata azione sociale che avrà bisogno di uno Stato e di un’economia funzionanti e di una popolazione vitale che partecipi alla ripresa.
Più difficile è prevedere quando arriveremo al 70%, valore che identifica l’immunità di gregge. Quell’ultimo 10% è il più difficile, come dimostrano le esperienze degli altri Paesi. Al 70% non è ancora arrivato nessuno: Israele, che è il Paese più avanti nella vaccinazione, è inchiodato al 63%: nei trenta giorni dal 9 aprile all’8 maggio, la quota di israeliani vaccinati è aumentata solo di due punti percentuali. Nel Regno Unito, che è secondo solo ad Israele nella graduatoria mondiale dei vaccinati, durante gli stessi trenta giorni, la quota è passata dal 47 al 52%, però, soprattutto nei giorni più vicini a noi, il rallentamento è appariscente.
Percentuali sopra il 50% di vaccinati sono difficili da raggiungere, per tutti e per i motivi più vari. Si noti che in Israele sono stati vaccinati quasi tutti i vaccinabili: la quota di vaccinati che hanno almeno settant’anni è superiore al 95%, quella in età 60-69 è all’89% e persino tra i 20 e i 59 anni è all’80%. Manca la popolazione sotto i 16 anni – che non è idonea a ottenere vaccini “da adulti” – e che in Israele è molto elevata, circa un terzo della popolazione. I dati del Regno Unito sono quasi uguali a quelli di Israele per la popolazione sopra i 60 anni, mentre la popolazione vaccinata in età da 16 a 59 anni nel Regno Unito è attualmente al 25%. In ambedue i Paesi, il rallentamento è dovuto al fatto che, pur insistendo, i governi fanno fatica a convincere a vaccinarsi chi non l’ha fatto nei primi giorni della campagna vaccinale, soprattutto se lavora.
Vedremo che cosa succederà in Italia appena finisce la campagna per vaccinare gli ultrasessantenni. La popolazione vaccinata sotto questa età è meno del 5%, quindi la campagna vaccinale dovrebbe procedere, almeno inizialmente, a grande velocità. Poi, anche da noi è scontato un rallentamento. Gli effetti della folle comunicazione sul vaccino AstraZeneca non si estingueranno facilmente, dato anche l’interesse delle altre case farmaceutiche a far credere che solo quel vaccino può dare effetti perversi su persone fragili. Inoltre, la ditta AstraZeneca è inglese e non gode – a causa della Brexit e non solo – di buona comunicazione presso l’Unione Europea. Per carità di patria, lasciamo sullo sfondo l’oggettiva confusione, in questa e in altre occasioni, dell’Istituto superiore di sanità. Tra le altre cose, ricordiamo che il sistema di vaccinazione del Regno Unito si avvale dell’importante contributo dei medici di famiglia, cosa che, per ora, l’Italia non è riuscita da ottenere se non su base volontaria. Le età di mezzo saranno, quindi, un osso duro per il sistema di vaccinazione italiano.
All’immunità di gregge si arriverà in autunno. Non è facile dire con precisione quando: bisogna vedere cosa si riuscirà a fare tra metà luglio a tutto agosto. Poi, prima dell’inverno, ci lasceremo questi tempi alle spalle e saremo chiamati a ripartire – nelle amministrazioni pubbliche, nelle imprese, nelle scuole, nonché nelle famiglie e nella società civile – a ritmi molto più rapidi di quelli correnti e anche dei precedenti.
Cominciamo a pensare al mondo che sarà dopo la pandemia. Il virus ha lasciato sul terreno morti e feriti, quasi come una guerra; in più, la reazione sociale ai contagi ha depresso l’economia reale e il vivere civile. Le famiglie hanno fatto meno figli e consumato di meno, molte persone si sono messe in fila alle mense della Caritas per avere due pasti al giorno, molte imprese sono in sofferenza, langue la propensione a fare impresa, la scuola si è arrangiata come ha potuto, le amministrazioni dello Stato hanno funzionato a ranghi ridotti ed efficacia minima.
La quantità di risorse che saranno messe a disposizione dei governi nel dopo pandemia sono enormi. Si parla, per analogia, di Piano Marshall, per richiamare alla memoria il grande sforzo messo in atto dagli Stati Uniti per far ripartire l’Europa, fiaccata dalla Seconda guerra mondiale. Allora l’Italia ce la fece. Gli anni dopo la guerra sono ricordati come gli anni del “boom”, a significare l’entusiasmo operativo che servì a rimuovere le macerie della guerra e a creare un’esplosione sociale ed economica durata oltre un decennio. Speriamo che l’Italia ce la faccia, che la farfalla si libri vivace dal bozzolo.
Alcune cose costituiranno la misura della qualità del governare. Il rifiuto di sanitari a vaccinarsi è stato superato con un giusto atto d’indirizzo. In modo analogo si possono risolvere casi analoghi: non esistono solo diritti sociali. La fuga dalle responsabilità dei medici di famiglia, le dosi di AstraZeneca nei frigoriferi perché la gente non le vuole, i mugugni degli iper-garantiti che devono (tornare a) lavorare per ottenere lo stipendio sono, invece, sintomi di un malessere storico che, se perpetuato, accentuerà il declino del Paese. Lo si noterà al confronto con gli altri Paesi che, come noi, hanno subìto la pandemia, ma che si rimboccheranno subito le maniche per recuperare il tempo perduto.
Per molti aspetti, la pandemia sarà uno spartiacque della storia. Non occorre essere profeti per ipotizzare che ci sarà un modo di pensare e di agire before pandemic e un altro after pandemic. Se la partecipazione sociale e l’azione di governo dopo la pandemia riusciranno a far invertire la tendenza dell’Italia da una inclinazione verso il declino (cui era destinata) ad una verso il progresso, vuol dire, una volta di più, che non tutto il male viene per nuocere.
Luigi Fabbris
Il Sussidiario
12 Maggio 2021