Sono molte le ragioni che ci inducono a scorgere una verità nello slogan “ No future! No al futuro”, e perciò non dovrebbe sorprendere che la denatalità sia in continuo aumento nei paesi occidentali europei, e soprattutto nel nostro. Ormai conosciamo bene le cifre forniteci dalle statistiche: abbiamo davanti a noi la prospettiva di una società fatta soprattutto di vecchi, una società senza un futuro che porti segni di pienezza e di espansione di vita; sarà un futuro maggiormente segnato dalla solitudine per il prevalere dei single, di uomini e donne senza discendenza; sarà un futuro senza grandi speranze collettive e con speranze individuali ridotte all’istanza di sopravvivere nel modo migliore possibile a livello economico. La presa di coscienza di questa situazione causa da anni proclami di allarme, promesse di politiche finalizzate a procurare lavoro alle nuove generazioni, a consentire loro di accedere a una casa e a un sistema di welfare che sia di aiuto a una vita familiare con la presenza di figli che nascono, crescono ed entrano nella vita della società senza troppi ostacoli. In realtà tali promesse, tra cui ultimamente l’assegno unico universale, anche se diventassero politica reale non sarebbero sufficienti a invertire questa tendenza alla sterilità.
Questa sterilità è generata dalla cultura prima che dall’economia, la cultura di un Paese impaurito, attraversato da ossessione edonistiche e narcisistiche che chiedono solo il ben-essere individuale. La famiglia della tradizione, quella patriarcale e rurale, è scomparsa e nuove forme di famiglia si sono affacciate, ma restano in gran parte da inventare.
È necessario infatti lavorare sul tessuto sociale, riprendere l’idea di comunità che includa nuclei famigliari e soprattutto ritracciare insieme un orizzonte comune.
Quando ascolto i giovani, al di là di quanti da adolescenti proclamano con entusiasmo di volere molti figli, ciò che osservo in loro è una mancanza di speranza. E sono consapevoli della loro fragilità fino a confessare di aver timore a “fare una storia d’amore duratura”, di aver timore a fare figli. Quante volte sento dire: “Ma fare figli, fare il padre, è difficile!”. E così manca la speranza nella vita, nel futuro che a questi giovani appare incerto.
Inoltre alla radice del problema, senza voler colpevolizzare la donna, oggi si percepisce un’antitesi tra libertà e maternità, come annota Ritanna Armeni, anche perché è ancora la madre che si fa carico della nascita e della crescita dei figli: gli uomini, mariti o compagni, quasi tutti si sentono esentati da questa fatica che continua a ricadere sulle donne.
Fare figli, diventare padri e madri, significa fare spazio ad altri e dunque limitare il proprio, e questo significa anche sottrarre tempo a se stessi per dedicarlo ai figli, significa rinuncia e fatica. Eppure è un passo ineludibile per accogliere la vita, viverla e celebrarla. Una società che non sa più dire “noi”, né vivere “insieme” è del tutto incapace di fare figli.
Enzo Bianchi
17 maggio 2021