Sui social gira un confronto fra i bollettini Covid del 25 maggio 2020 e del 2021. Si vuole forse insinuare (sbagliando) che con Conte la situazione fosse migliore che con Draghi? In realtà il titolo dei giornali dovrebbe essere questo: “Coronavirus in Italia, il bollettino di oggi 28 maggio 2021: fra Conte e Draghi c’è un abisso e con Draghi le cose vanno meglio, non solo grazie all’attivismo del generale Figliuolo ma anche grazie a una maggiore serietà nella pianificazione delle riaperture”.
“Coronavirus, il bollettino di oggi 25 maggio: solo 300 nuovi positivi. I morti sono 92”. “Coronavirus Italia, il bollettino di oggi 25 maggio: 3.224 nuovi casi e 166 decessi”. Non è un caso di strabismo statistico, né l’aggiornamento di un lancio d’agenzia. Su qualche social, rimbalzando da smartphone a smartphone, gira l’accostamento fra questi due titoli, ripresi da Repubblica, uno a fianco all’altro: il primo si riferisce ai dati dell’emergenza Covid riferiti al 25 maggio 2020, in piena era Conte 2; il secondo titolo, invece, dà conto dei numeri della pandemia esattamente un anno dopo e a 40 giorni dall’annuncio del premier Draghi di voler affrontare il “rischio ragionato” di una graduale ma progressiva riapertura delle attività per uscire dalla logica dei lockdown e delle restrizioni.
Con questo giochino si vuole forse insinuare (come da tempo fa Il Fatto Quotidiano) negli occhi e nella mente dei lettori che di meriti il governo Draghi e il commissario Figliuolo non se ne possono intestare? Che anzi si stava meglio quando a Palazzo Chigi sedeva l’“avvocato del popolo”, il “Giuseppi” osannato da Trump, il presidente del Consiglio che affrontava il coronavirus a suon di strampalati Dpcm in cui discettava soprattutto di congiunti, autocertificazioni e pazzotici orari di apertura, conditi da un martellante mantra subliminale: non disturbate il manovratore, lasciate fare a me che so cosa vuol dire tutelare al meglio la vostra salute e i vostri interessi economici? Conte ha dovuto gettare la spugna a inizio 2021, lasciando un’Italia con il record mondiale di decessi, un Commissario all’emergenza che aveva combinato pasticci su mascherine, dispositivi di sicurezza e banchi a rotelle, un piano vaccini che non esisteva nemmeno sulla carta.
Ma torniamo al paragone tra maggio 2020 e maggio 2021. Davvero questo tentativo di storytelling, revisionista e virtuale, può stare in piedi? Una prima risposta, basata come sempre sulla bontà e affidabilità dei numeri, l’ha già fornita proprio sul Sussidiario il professor Giuseppe Arbia: “se è pur vero che l’anno scorso di quest’epoca (al 21 maggio del 2020) sia il numero di decessi giornalieri (che erano 143) che il tasso di positività (che era dello 0,86%) erano inferiori ai valori che registriamo oggi, è anche vero però che allora la flessione della curva era dovuta in forma esclusiva a severissime misure di contenimento mentre oggi questi numeri sono osservati in una situazione nella quale in tutte le regioni italiane le misure sono state fortemente allentate. Questo è segno che oggi è la diffusione del virus ad essere calata!”. Come a dire, i numeri in sé sganciati dal contesto dicono poco, se non addirittura portano a conclusioni fuorvianti.
Un anno fa, infatti, si erano da poco (dal 18 maggio) decise le prime, ridotte riaperture. Il paese, però, usciva da due mesi di pesantissimo lockdown e il tracciamento era già una macchina piena di buchi e con le ruote sgonfie. Non solo: fino all’estate 2020 (quando si manifestarono i primi segnali di una recrudescenza delle infezioni), la pandemia era stata una durissima, drammatica emergenza in alcune regioni del Nord, Lombardia in testa, travolta da un vero e proprio tsunami pandemico, mentre nel resto del paese non si contavano che sparuti cluster, facilmente circoscrivibili. Ciò spiega perché l’allora situazione di positivi, ricoveri ordinari, occupazione di letti in terapia intensiva e decessi fosse meno pesante di oggi. Ma già allora covavano sotto la cenere i lapilli che avrebbero di nuovo fatto deflagrare l’epidemia in autunno. Lo ha ricordato in una recente intervista il sociologo Luca Ricolfi: “l’estate scorsa non avevamo i vaccini, e quindi le scelte del governo di allora – aprire per rilanciare il turismo – erano evidentemente e platealmente sconsiderate”. Infatti, da settembre 2020, con la seconda ondata (per impedire la quale, sia detto per inciso, il governo Conte 2 non aveva fatto nulla, se non subirla e poi contrastarla quando i buoi erano ormai scappati dalla stalla), il Covid ha via via abbandonato le Alpi e correndo lungo gli Appennini si è propagato in tutta Italia, investendo tutte le regioni.
E oggi, in questo maggio in cui ci si avvicina a grandi passi a superare anche il coprifuoco? Oggi, quattro settimane dopo che il governo Draghi, vincendo le resistenze di Istituto superiore di sanità e Comitato tecnico scientifico, ha varato un decreto che ha consentito le riaperture di diverse attività commerciali in Italia, nonché il ritorno della zona gialla (e presto della zona bianca) dopo settimane di restrizioni? Oggi, che tra l’altro si registra un ritorno alla fiducia di famiglie e imprese che non si vedeva così alta dal 2018?
La differenza principale, più che nei numeri (che sono inconfrontabili, per quanto detto prima), sta proprio qui: grazie ai vaccini (e come l’anno scorso grazie anche all’arrivo della bella stagione) il “rischio ragionato” di quella scelta non ha prodotto i guasti che molte cassandre avevano preconizzato.
Prendiamo, ad esempio, la Fondazione Gimbe, mai tenera con l’allentamento delle misure restrittive. Il 18 aprile stimava che “il progressivo ritorno al giallo determinerà inevitabilmente una risalita della curva dei contagi, da un lato mitigata dalla ridotta probabilità di contagio all’aperto per l’aumento delle temperature che riduce l’effetto aerosol, dall’altro alimentata dall’aumento dei contatti sociali e, soprattutto, dal mancato rispetto delle regole”. Ebbene, nel suo ultimo monitoraggio sulla pandemia, diffuso ieri, la Fondazione Gimbe non ha potuto non sottolineare il fatto che “in 50 giorni sono letteralmente crollati i ricoveri in ospedale e in terapia intensiva di pazienti Covid. Dal picco del 6 aprile, infatti, i posti letto occupati in area medica sono scesi da 29.337 a 8.557 (-70,8%) e quelli nelle terapie intensive sono passati da 3.743 a 1.323 (-64,7%)”. Merito “dell’effetto delle coperture vaccinali nelle classi di età più avanzate”. E confrontando i dati della settimana 19-25 maggio con quelli della precedente, “si registra un’ulteriore diminuzione di nuovi casi (30.867 rispetto 43.795 pari a -29,5%) e decessi (1.004 vs 1.215 pari a -17,4%). In calo anche i ricoveri con sintomi (8.557 rispetto a 11.539, pari a -25,8%) e le terapie intensive (1.323 rispetto a 1.689, pari a -21,7%)”.
Anche Massimo Galli, infettivologo del Sacco di Milano, che aveva criticato aspramente la decisione del governo di riaprire (“Pagheremo le conseguenze. Io mi auguro di avere torto. Ma ricevo continue segnalazioni di nuovi focolai”), ha dovuto fare marcia indietro: “Ad oggi il trend è favorevole e positivo: quindi, sospiro di sollievo”.
“Siamo ad un mese dalle riaperture del 26 aprile – ha commentato su Facebook Matteo Bassetti, direttore della Clinica di malattie infettive del San Martino di Genova -. Non mi pare che si sia assistito alla quarta ondata, all’aumento dell’Rt, all’aumento dei contagi, all’aumento dei ricoveri in terapia intensiva e a 500-600 morti al giorno”.
Insomma, prendendo a prestito le parole di Ricolfi, potremmo titolare così: “Coronavirus in Italia, il bollettino di oggi 28 maggio 2021: fra Conte e Draghi c’è un abisso e con Draghi le cose vanno meglio, non solo grazie all’attivismo del generale Figliuolo ma anche grazie a una maggiore serietà nella pianificazione delle riaperture”.
Marco Biscella
Il Sussidiario
28 Maggio 2021