Il richiamo servirà eventualmente per «rinfrescare» la memoria immunologica e per contrastare varianti emergenti. Ma è ancora prematuro fissare una data
Il ministro della Salute Roberto Speranza ha annunciato a «Che Tempo che fa» la possibilità di procedere con una terza dose di vaccino. «Sarà molto probabile dover fare una terza dose di vaccino, un richiamo che sarà probabilmente “modificato” per coprire le varianti. Bisognerà dunque passare da una fase straordinaria ad una fase ordinaria e penso che questa nuova ordinarietà possa essere affidata alla nostra straordinaria rete di medici di medicina generale».
Il richiamo con mRNA
Ma che cosa sappiamo della terza dose di vaccino contro il coronavirus? Finora solo il governo di Boris Johnson ha annunciato il terzo richiamo tarato sulle varianti per i suoi cittadini, che avverrà, dice, a partire da settembre. In tutto il mondo sono in corso sperimentazioni per valutare l’efficacia del mix di vaccini per procedere con gli eventuali richiami. In Germania lo stanno già facendo. È infatti verosimile che la terza dose verrà somministrata con un prodotto a mRNA dal momento che i vaccini basati su adenovirus (AstraZeneca e Johnson & Johnson) risultano meno efficaci con i richiami a causa della risposta immunitaria contro gli adenovirus indotta con la prima iniezione. Uno studio spagnolo su 600 volontari ha concluso che il mix di vaccini (prima dose AstraZeneca, seconda Pfizer) è altamente efficace e non risulta problematico. In particolare la seconda dose ha aumentato di sette volte la presenza di anticorpi neutralizzanti. «Dal punto di vista immunologico il “prime and boost» con vaccini di tipo diverso è fattibile ed è probabilmente anche la scelta migliore» dice Sergio Abrignani, immunologo all’Università di Milano.
Le sperimentazioni con la terza dose
Negli Stati Uniti stanno già testando la terza dose di richiamo con il vaccino mRNA di Moderna. L’azienda ha creato un prodotto ad hoc, con un dosaggio inferiore, contro la variante sudafricana e che , secondo gli annunci della società, funziona anche contro la variante indiana. La società sta inoltre cercando di mettere a punto un unico vaccino per coronavirus e influenza e prevede che possa essere pronto tra 1-2 anni.
Il Regno Unito ha invece avviato un trial specifico per studiare quali vaccini utilizzare come dosi di richiamo sia per proteggere dalle nuove varianti, che per impedire agli ospedali di essere sopraffatti da potenziali nuove ondate di infezioni. Lo studio Cov-Boost ha l’obiettivo di indagare l’impatto di una terza dose sulle risposte immunitarie dei pazienti studiando l’effetto di una dose aggiuntiva su 2.886 partecipanti, oltre le due dosi di vaccini Pfize-BioNTech o Oxford-AstraZeneca che hanno già ricevuto (nel Regno Unito sono finora stati utilizzati questi due prodotti). Tutti i partecipanti saranno monitorati durante lo studio per scoprire eventuali effetti collaterali e saranno effettuati prelievi di sangue per misurare le risposte immunitarie nei giorni 28, 84, 308 e 365. La dose aggiuntiva sarà di uno dei sette vaccini approvati (o in via di approvazione): Oxford-AstraZeneca e Pfizer-BioNTech, Moderna, Novavax, Valneva, Janssen e Curevac.
A che cosa serve la terza dose
Ma la terza dose di vaccino sarà davvero necessaria? La maggior parte degli esperti di tutto il mondo ritiene di sì, ma resta l’incognita di quando somministrarla. «È molto probabile che una terza dose di vaccino dovrà essere fatta – aggiunge Sergio Abrignani, che è anche membro del Cts – ma al momento non sappiamo se contro una variante diversa e non sappiamo quando , forse in autunno, più probabilmente all’inizio del prossimo anno».
Sono due le variabili da tenere d’occhio che potrebbero rendere necessario il «booster», la terza dose: l’arrivo di varianti capaci di eludere la risposta immunitaria indotta dal vaccino (al momento i prodotti in uso sono efficaci, seppure leggermente depotenziati con alcuni ceppi in circolazione) e la durata dell’immunità. «Per la maggior parte dei vaccini c’è sempre bisogno di un richiamo – spiega Abrignani – ma normalmente la durata dell’immunità si studia prima di mettere in commercio in prodotto, così da sapere quando procedere con il booster. Ora siamo in emergenza e stiamo studiando sul campo. Al momento non sappiamo quanto dura la risposta immunitaria, vediamo che c’è un’alta protezione anche a distanza di 8-10 mesi dalla fine del ciclo vaccinale, ma potrebbe essere necessario un richiamo più avanti per “rinfrescare” la risposta immunologica oppure per contrastare una variante emergente, anche se dovesse persistere una buona risposta contro il ceppo originale». Anche contro l’indiana? «Per quanto riguarda la variante indiana, di cui tanto si sta parlando- conclude l’immunologo – sappiamo dai dati che ci arrivano dal Regno Unito che dopo una sola dose non si è protetti dalla malattia, ma comunque ci si ammala in modo poco severo. Con due dosi invece si è protetti in modo importante. Ora non sappiamo ancora se dovremo fare un richiamo contro la variante indiana, magari anche solo per evitare la malattia leggera».
Cristina Marrone
Corriere della Sera
31 Maggio 2021