Cronaca di un anno vissuto pericolosamente in televisione da epidemiologi, immunologi, infettivologi e virologi:le liti, le gelosie, le profezie, gli errori. La consacrazione di Bassetti dalla D’Urso. Il trionfo di Antonella Viola
Matteo Bassetti, “il più sexy dei virologi”, e sua moglie, Maria Chiara Milano Vieusseux, bionda, bella, solare, forse lontana discendente di Pietro Vieusseux, fondatore del Gabinetto scientifico-letterario che ospitò Foscolo, Leopardi, Manzoni, Stendhal, entrano in studio sulle note struggenti di Gino Paoli. Barbara D’Urso li accoglie come due reduci dell’“Isola dei Famosi” o due ex-coinquilini del “Grande Fratello”. Niente camice bianco per lui. Niente stetoscopio e volumoni scientifici in bella mostra alle sue spalle. La puntata è dedicata al virologo in formato famiglia, ai dettagli dell’intervista apparsa su Chi, ai retroscena della sua “lunga storia d’amore”, come dice il poeta in sottofondo. Ecco i video del matrimonio con Karaoke, ecco Matteo Bassetti giovane “paninaro” genovese con Timberland e Moncler ma un animo anche riflessivo (“di nascosto ascoltavo Gino Paoli, abitava a cinquanta metri da casa mia”). Ecco i fasti della vita da single, “piacione” e rimorchione, figlio di “un importante professore appena tornato da Yale”. Ecco il primo appuntamento, l’incontro con Maria Chiara, la famiglia, il lavoro, l’amore, la gelosia di lei per le ammiratrici che oggi “gli scrivono sui social”, mentre il sottopancia recita: “Tra poco i figli di Bassetti”. Il resto lo immaginate. Il tema della virologia televisiva è ormai abusato, certo. Ma si capisce che la puntata di “Domenica Live” è stata anche uno spartiacque decisivo.
L’amore trionfa sul virus, il protocollo sanitario si fa apertamente gossip, il discorso medico scivola nell’introspezione affettiva, tra le più sdilinquite trame defilippiche (altro che “biopolitica” di Michel Foucault!). La straordinaria accelerazione imposta da Alfonso Signorini e Barbara D’Urso chiude tutto un lungo ciclo e inaugura d’ufficio la nuova fase: la trasformazione dei virologi in creature televisive “pure”, senza più infingimenti, varianti, richiami. Dal Coronavirus al Coronatrash. Con un cumulo di personaggi scaturiti dall’emergenza sanitaria che ora bisogna traghettare nel mondo dopo il Covid. Del resto, nessuno si stupisce più. Eravamo pronti da tempo. La parabola di Bassetti è esemplare: comincia nelle retrovie del prime-time di Rete4, nei primi mesi della pandemia, con qualche ospitata da Gianluigi Nuzzo a “Quarto Grado”. Poi un’escalation fulminante.
Complice il piglio deciso, l’anti-catastrofismo, la presa sicura sul target femminile, una vaga somiglianza con Gianluca Vialli in versione “macho”, come a ribadire un filo diretto con Genova, la Samp e glorie e memorie degli anni Ottanta (anche se lui tifa Genoa). Da lì le sue presenze televisive si moltiplicano a dismisura. La telecamera diventa una droga. Impossibile resistere, come confesserà nell’intervista a Chi.
Matteo Bassetti trova la sua collocazione precisa nel firmamento dello stardom virologico. Un po’ a destra ma non troppo (“Salvini è una persona che stimo”), dunque in aperta controprogrammazione con il Burioni di Fazio. Più vicino alla sensibilità del piccolo imprenditore che al ceto medio riflessivo, schietto, impulsivo e testimonial spregiudicato dello Sputnik: “Con alcuni conduttori come Mara Venier, Barbara d’Urso, Alberto Matano, Massimo Giletti, Bianca Berlinguer è nato un bellissimo rapporto che va oltre il lavoro”. A marzo arrivano anche le minacce di morte sui social, “dagli ambienti No-Vax”, dice lui. Forse gli daranno una scorta, come Saviano. L’ultima ospitata intimista da Barbara D’Urso e la convocazione alla “Partita del cuore” (Bassetti è il primo virologo-calciatore, segno che la gag dell’album Panini con le figurine dei virologi non era poi così tanto gag) celebrano la mutazione definitiva in opinionista, personaggio, star della tv. E’ la sua impronta nella “walk of fame” dei virologi. La prima, con ogni probabilità, di una lunga serie. Trovandoci quindi a un punto di svolta e a un passo dalla riapertura di tutto, è arrivato forse il momento di fare un po’ di storia. Un techetechetè della virologia televisiva, per capire come si è passati in un battibaleno dai tutorial di Mirabella e Amadeus che illustravano l’antica pratica di lavarsi le mani per bene a Bassetti sulla copertina di Chi.
E’ il 26 gennaio del 2020 quando Roberto Burioni interviene per la prima volta da Fazio parlando del “virus cinese”. Come ricorda Arnaldo Greco (in un pezzo pubblicato sulla rivista “Il Mulino”), in quell’occasione, “il professor Burioni racconta la sua notizia d’attualità che, però, a noi italiani sembra infinitamente meno stringente delle elezioni in Emilia-Romagna: sul suo magazine online, Medical Facts, ha segnalato già dall’8 gennaio che in Cina ci sono casi sospetti di una strana polmonite. Avverte di fare attenzione e aggiunge che le malattie infettive suscitano nell’uomo una paura innata, soprattutto quelle senza cure o vaccini”.
Ma le creature televisive del momento sono le “sardine” di Mattia Santori. Esibite in tutti i talk-show, portate in trionfo anche nella prima puntata di “Amici” di Maria De Filippi. Non sanno che stanno per esser spazzate via da un esercito di virologi. Una tempistica, la loro, che ricorda quella del “popolo dei fax” il cui moto d’indignazione fu travolto dall’arrivo delle e-mail.
La “first wave” della virologia televisiva si definisce attorno ai nomi di Fabrizio Pregliasco, Maria Rita Gismondo, Ilaria Capua, Roberto Burioni. Tra l’avvio dell’emergenza, col primo positivo italiano, il paziente di Codogno (21 febbraio), e l’inizio del lockdown proclamato da Conte (8 marzo), tutti e quattro infilano quarantacinque apparizioni televisive, escludendo interviste estrapolate nei tg o alla radio. All’inizio i più richiesti sono Capua e Burioni, anche perché sono gli unici che il pubblico conosce già. Si conosce la storia e l’assurda vicenda giudiziaria di Ilaria Capua, ricercatrice e ex-deputata costretta a trasferirsi in Florida, salvo poi diventare più familiare agli italiani da lì che quando stava in Italia. Burioni invece è già un personaggio pubblico, anzi una web star. Difensore del pensiero scientifico in rete, severo punitore di troll, smonta fin dal 2016 le tesi dei No-Vax e sostituisce nell’immaginario collettivo l’austera figura del professor Umberto Veronesi, sin lì principale riferimento medico-scientifico degli italiani, aggiornandolo però all’epoca dei social. Facile per lui diventare un punto di riferimento in questa prima fase assai confusa, con tanto di instant-book sfoderato con tempismo perfetto (il primo di una lunga serie di volumi sfornati dai suoi colleghi).
Ci sono virologi, come Giuliano Rizzardini del Sacco di Milano, che escono presto di scena e rientrano nell’ombra della corsia. Altri, come Massimo Galli, destinati a una sovraesposizione televisiva ai limiti dell’esperimento sociale (Galli si era anche concesso l’addio al palcoscenico, un’uscita di scena alla Mina, “basta tv, mi tolgo di mezzo, devo studiare”, salvo poi rientrare a “Cartabianca” mercoledì scorso). Poi, naturalmente, Crisanti, Zangrillo, Lo Palco, che diventerà assessore in Puglia con Emiliano, Tarro che aprirà il filone “paranormale” e Walter Ricciardi, igienista, ex attore neomelodico e consulente di Roberto Speranza. Le sue foto giovanili accanto a Mario Merola nel film “L’ultimo guappo” aprono una prima, sensibile crepa nell’inattaccabile “expertise” medico-sanitaria convocata in tv. E’ un primo sintomo di cedimento “pop” della credibilità scientifica. Del resto, grande è la confusione sotto il cielo. Siamo a marzo, e prima che i temi caldi diventino la “Pasqua blindata” o le gabbie di plexiglas in spiaggia o i banchi a rotelle, questa ondata di virologi si divincola tra dati che non tornano, piani sanitari nazionali e regionali, autocertificazioni stampate, mascherine inutili oppure introvabili, runner fuorilegge, tamponati, positivi, asintomatici. Messi alle strette, invitano soprattutto a “lavare le mani frequentemente”, come diceva anche Mirabella nello spot ministeriale (illustrandoci però anche tutta una raffinata tecnica “palmo-dorso”). I virologi spiegano come si starnutisce nel gomito, invitano a “evitare luoghi affollati”, a restare a casa se abbiamo la tosse, il raffreddore, la febbre, a non recarci tutti i giorni al supermercato.
Non ne azzeccano una, ma ci rassicurano col piglio delle vecchie zie, delle unghie sempre pulite e della maglia di lana d’inverno. Più di altri, Maria Rita Gismondo insiste con gran caparbietà nell’esagerata paura per una “sindrome influenzale”: “Insomma, non stiamo parlando mica della Sars, ma di una cosa che è poco più di un’influenza, giusto? Possiamo tranquillizzare i nostri spettatori”, dice Myrta Merlino che la ospita spesso a “L’Aria che tira” (4 marzo, 2020). Con il primo lockdown, i virologi sostituiscono come in un golpe sanitario tutti i politici in tv. Come nel dopo-tangentopoli, coi giudici schierati in prima fila in tutti i talk-show. Vengono spalmati su tutto il palinsesto, dalla fascia del mattino alla prima serata. Ben presto scoprono anche loro il fascino della rissa, ingrediente narrativo essenziale di ogni talk. Il primo scontro tra virologi è del 23 febbraio, quando Burioni definisce Gismondo “la signora del Sacco”. Si resta anche un po’ sbigottiti per scene che sembrano identiche alle liti sgangherate tra gli opinionisti dei reality. Diventeranno la norma. Infettivologi contro immunologi, epidemiologi contro virologi, Sacco contro Spallanzani, opinionisti e conduttori contro medici, Bassetti contro Simona Ventura, Bruno Vespa che attacca Galli definendolo “il Davigo dei virologi” (non ci sono persone sane, solo asintomatici che la fanno franca). Anche i virologi litigano, cambiano idea, si smentiscono, tentennano, pensano ai fatti loro o a quelli dei loro reparti, proprio come tutti gli altri. E come tutti gli altri sono assai narcisisti. Ospite a “Cartabianca”, Matteo Bassetti a un certo punto si incazza: “Ma qui parla solo Crisanti, che mi avete invitato a fare?”. Non siamo ancora a Zangrillo che pulisce col fazzoletto la poltrona dov’era seduto Burioni, ma poco ci manca. Gli “sciaguristi” vengono schierati contro i moderatamente ottimisti. Tra i primi svettano Galli, Ricciardi e soprattutto Crisanti, punto fermo del palinsesto di La7 (insieme a Ilaria Capua, ormai co-conduttrice di “DiMartedì” con Floris).
A maggio arrivano i primi “non se ne può più” e le scottanti rivelazioni sui compensi per le ospitate (segno indubitabile di calo della popolarità). “Diamogli un quiz, qualche programma tutto per loro”, dice Maurizio Costanzo, purché finisca l’occupazione medica della tv. Ma l’occupazione aumenta. Dopo l’estate, la finestra virologica apre ogni puntata di “Domenica In”. Con la seconda e terza ondata, poi, spuntano nuove stelle, come la professoressa Antonella Viola. In questo lungo anno ognuno ha sviluppato le sue preferenze in fatto di virologi, come coi divi di Hollywood. Ma la professoressa Viola mette subito tutti d’accordo. Competenza, misura, fascino, sorriso rassicurante, una conturbante “erre” moscia, un libro in uscita con Feltrinelli, la professoressa Viola la si vede soprattutto da Lilli Gruber, anche per il “gender gap” virologico che sta assai a cuore alla conduttrice e per stemperare almeno un po’ il testosterone di Travaglio. Ha un fandom pazzesco tra i maschi eterosessuali e non sopra i cinquanta. Le sue apparizioni televisive sbloccano ricordi indicibili di camici bianchi appena sbottonati, visite militari, stetoscopi di Michela Miti, Gloria Guida, Edwige Fenech, Nadia Cassini e altre “dottoresse alle grandi manovre”.
Chissà il catcalling a casa, sul divano, mentre sbirciano nel suo salone di mobili laccati, come nella fatidica doccia intravista dal buco della serratura. Piace infatti più in collegamento da casa, che invitata in studio. Sommersa di proposte di matrimonio e inviti per cene eleganti, è sposata con un “fiero uomo di sinistra”, come recita un post su Facebook che lo immortala sotto un poster di Berlinguer e una bandiera ammainata del Pd risposta in un angolo. Insomma, è perfetta per noi. La invitano anche al Festival della Letteratura di Mantova, insieme a Paul Auster e David Grossman. Antonella Viola è senza dubbio il prodotto televisivamente migliore di questa lunga stagione sanitaria e uno dei personaggi più riusciti, come ha notato anche Aldo Grasso. La prima, inoltre, già intravista in uno spot, anche se per una fondazione benefica (gli spot coi virologi sono il prossimo filone da tenere d’occhio, insieme alle guide per il turismo vaccinale).
Cosa inventarsi adesso? Quale futuro per questa parata di medici televisivi, a parte la prevedibile “discesa in campo” di alcuni? A ridosso dell’estate del 2021, dopo un anno e mezzo di incubo orwelliano, il discorso virologico procede per frasi fatte, sempre più atrofizzate. L’emergenza rientra pian piano, ma la televisione non li molla, ormai sono troppo familiari. E il pubblico, si capisce, subisce sempre il fascino del camice bianco: da “La Cittadella” di Cronin con Alberto Lupo nei panni del conturbante dottor Andrew Manson fino a Luca Argentero in corsia, passando dall’epica americana di “E.R.” e “Grey’s Anatomy” o “Un Medico in famiglia” e “Braccialetti rossi”. Ognuno ha il proprio medico preferito. Poi sono arrivati i virologi e hanno riscritto tutto il nostro immaginario “medical drama” in salsa opinionista, in un micidiale corto circuito di ruoli e competenze. E se Barbara D’Urso può fare la “Dottoressa Giò”, non si vede perché Matteo Bassetti non possa fare il tronista.
Andrea Minuz
Il Foglio
30 Maggio 2021