Pubblicità arcobaleno ovunque, la mentalità lgbt ha già vinto. Ora che hanno ottenuto l’uguaglianza vogliono il privilegio. E non si fermeranno finché non faremo l’inchino.
Corriere della Sera, ieri, taglio basso di pagina 2: «Ci sono pubblicità che ci rendono più orgogliosi di altre. Dentsu&Friends Proud Pride Supporters». E poi su bandiera arcobaleno alcuni noti marchi: Sky, Nestlé, Very, Fastweb, Plasmon, Kfc. La réclame appare (per caso?) nelle pagine in cui si parla dell’opposizione del Vaticano alla legge Zan.
Corriere della Sera, 23 giugno 2021
Lgbt sponsorizzato da Big Tech
Matteo Forte, consigliere d’opposizione a Milano, fa notare che il sindaco Beppe Sala (quello dei calzettoni variopinti) ha deciso di illuminare con i sei colori della bandiera arcobaleno la facciata di Palazzo Marino per quattro notti, da mercoledì 23 a sabato 26 giugno, in occasione del Gay Pride.
Scrive Forte:
«Si apprende che l’iniziativa è resa possibile grazie al supporto di cinque
aziende Big tech (Ebay, Facebook, Google, Spotify, Tik Tok), a dimostrazione del (presunto) coraggio della sinistra a sfidare sulla questione dei diritti persino il mercato e le grandi multinazionali. Si apprende che queste ultime promuoveranno e sosterranno pure le attività di Casa Arcobaleno, che fino ad ora ha accolto solo 9 persone. Per carità, bene questo impegno a favore di tutte le persone, al di là dei numeri reali. Peccato che, nonostante su mia proposta il Consiglio comunale abbia aderito ormai nel lontano 2018 alla campagna di Aiuto alla Chiesa che Soffre, la giunta non si sia mai spesa per illuminare di rosso un qualunque monumento della città e “accendere” così l’attenzione sul martirio di 260 milioni di cristiani perseguitati nel mondo, come attesta l’ultimo rapporto di Open Doors».
Pride anche per il pupo
Insomma, ovunque ti giri c’è lo spottone al LoveIsLove. E il logo Juve, e il logo Barcellona, e il logo Uefa, ora vogliono colorare l’Allianz Arena con l’arcobaleno e su Disney+, il canale per bambini, trasmettere una «docuserie in sei parti che racconta la lotta per i diritti civili LGBTQ+ in America, decennio per decennio, dagli anni ‘50 in poi».
Nel mare dell’omologazione
Non c’è tregua, non c’è possibilità di scampo, non c’è requie. Il Pride è diventato un marchio da esibire ovunque, sempre, incessantemente. E chi, come l’Ungheria, si oppone a questa propaganda sotto forma di réclame si becca la lettera di richiamo di 14 paesi europei (c’è pure l’Italia) che condannano le leggi di Orban e soci come «una flagrante forma di discriminazione».
Questo per dire che la nota vaticana ha senz’altro il merito del coraggio. Davvero la Chiesa s’è posta come pietra d’inciampo rispetto alla comune narrazione e allo tsunami dei diritti. Un principio di contraddizione in un mare di omologazione. Una difesa forte della libertà di coscienza di tutti, non solo dei cattolici (se si modificasse il ddl Zan creando un’”area protetta” per i fedeli, non risolveremmo il problema).
Il vescovo sotto processo
La Chiesa esagera? Noi non lo crediamo. E questo non in nome di ciò che potrebbe accadere, ma di quello che già è accaduto e sta accadendo. Per stare solo ad alcuni esempi pubblicati ieri sui giornali, basterà citare quello che ha scritto Giulio Meotti sul Foglio, dove ha ricordato il caso di Juhana Pohjola, vescovo luterano, che è appena stato accusato di incitamento all’odio e sarà processato per aver sostenuto l’ovvio, e cioè che «il matrimonio è inteso solo tra un uomo e una donna. Questo è ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e insegnerà sempre».
L’ex cappellano del Trinity College di Cambridge, Bernard Randall, ha scritto sempre Meotti, è stato appena cacciato dal Trent College per le critiche al programma Lgbt nella sua scuola.
Vogliono la genuflessione
Sul sito del Centro Studi Livatino, Alfredo Mantovano e Aldo Vitale hanno fatto altri due esempi:
«Il 6 febbraio 2014 un cardinale della Chiesa Cattolica, Fernando Sebastián Aguilar, arcivescovo emerito di Pamplona, veniva iscritto nel registro degli indagati per “omofobia”, per aver rilasciato un’intervista a un quotidiano nella quale, sulla premessa che la sessualità è strutturalmente orientata anzitutto alla procreazione, faceva presente che all’interno di una relazione omosessuale tale finalità era preclusa. Nello stesso periodo in Canada la Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Legge ha avviato un procedimento amministrativo contro un’università protestante, la Trinity West University, e ha chiesto agli Ordini degli Avvocati di non ammettere alla pratica forense i laureati di quell’ateneo perché “omofobi”: i suoi studenti infatti sottoscrivono un codice di comportamento col quale ci si impegna a non accedere a siti pornografici utilizzando il wi-fi dell’università, a non assumere alcool nel campus e ad astenersi “da forme di intimità sessuale che violino la sacralità del matrimonio tra un uomo e una donna”. La discriminazione risiederebbe nel riferimento alla “sacralità del matrimonio tra un uomo e una donna”, ovvero al fatto che sia menzionato solo questo matrimonio e non quello fra omosessuali».
Si potrebbe proseguire a lungo, ma il punto da chiarire è che al mondo ideologico lgbt non basta lo spot arcobaleno, vuole che tutti facciano la genuflessione, un po’ come “devono” fare i calciatori azzurri in campo prima della partita.
Siamo alla fase racket
Perché questa ferocia? Perché questa intolleranza nel nome della tolleranza? L’ha spiegato splendidamente Douglas Murray, il commentatore dello Spectator, in un’intervista apparsa un anno fa su Tempi:
«Io credo anzitutto che i gruppi identitari stiano soffrendo il fatto di avere vinto su tutta la linea. I diritti che chiedevano di vedersi riconosciuti sono stati ottenuti, molta gente ha avuto quello che voleva. Ora costoro si sentono come san Giorgio dopo che ha ucciso il drago. Vorrebbero provare di nuovo l’esaltazione della lotta contro il drago, ma il drago non c’è più, e loro cominciano a lottare contro draghi sempre più piccoli, con maggiore ferocia di quella che avevano contro il drago vero. Le cose non sono mai andate meglio per le persone Lgbt, eppure molte di loro presentano la situazione attuale come se le cose andassero sempre peggio»
L’omosessuale Murray ha ragione. I movimenti lgbt hanno vinto su tutta la linea. Ma ora, ottenuta l’uguaglianza, «vogliono il privilegio», vogliono l’inchino pre-partita. Come diceva Eric Hoffer «ogni grande causa comincia come un movimento, diventa un business, e infine degenera in un racket». La fase business l’abbiamo superata, stiamo entrando nella fase tre.
Emanuele Boffi
24 giugno 2021