Un’ora di discorso per ricordare che la sua Cina è prospera, determinata e fiduciosa della propria forza. Vestito come Mao, Xi ha voluto rimarcare la continuità rivoluzionaria della Cina, ma anche di essere il nuovo Grande timoniere
Cento colpi di cannone per celebrare il centenario del Partito comunista cinese davanti alla folla in Piazza Tienanmen. E poi la voce di Xi Jinping, lenta e solenne dal rostro della Porta d’accesso alla Città proibita simbolo del potere imperiale. Un’ora di discorso per ricordare che la sua Cina è prospera, determinata, si è levata in piedi, è orgogliosa e fiduciosa nella propria forza e non si farà umiliare, perché è «una grande muraglia d’acciaio». «Il popolo cinese non ha mai oppresso nessuno e ora non permetterà ad alcuna forza straniera di intimidirlo, prevaricarlo, soggiogarlo, renderlo schiavo. Chiunque volesse cercare di farlo si schiaccerebbe la testa e verserebbe il suo sangue contro una muraglia d’acciaio forgiata da un miliardo e quattrocento milioni di cinesi», ha detto Xi.
Dalle 70 mila persone inquadrate nella piazza, attentamente selezionate in mesi di preparativi, è salito un applauso potente. La stampa statale ha messo in risalto più di ogni altro il passaggio in cui Xi ha inneggiato alla costruzione della «xiaokang», la vita pacifica, felice e armoniosa dei cinesi e ha assicurato che il Partito comunista ha a cuore il futuro e lo sviluppo dell’umanità. Queste le sue parole: «Dichiaro a nome del Partito e del popolo che è stato raggiunto l’obiettivo del primo centenario: abbiamo costruito una società moderatamente prospera, abbiamo risolto il problema della povertà in Cina e ora non accetteremo prediche ipocrite da chi pensa di avere il diritto di darci lezioni».
Il leader cinese si è presentato alla folla con una giacca con il colletto abbottonato, grigio chiaro, identica a quella indossata perennemente da Mao nel grande ritratto che adorna la Porta della Pace celeste e domina Tienanmen. Vestendosi come Mao, il fondatore del Partito nel 1921 e della Repubblica popolare nel 1949, Xi ha voluto segnalare la continuità rivoluzionaria della Cina ma anche di essere il nuovo Grande timoniere di una superpotenza economica e militare con disegni globali. Ora Xi Jinping si sente investito dalla missione storica di completare l’opera di Mao, riportando Taiwan sotto il controllo di Pechino: «Nessuno deve sottovalutare la determinazione, la volontà e la capacità del popolo di riunificare la Cina e di schiacciare i complotti indipendentisti di Taiwan, la questione della sovranità e integrità nazionale sarà risolta».
Un passaggio dedicato a Hong Kong, per ribadire che anche nell’ex colonia britannica ora regna la «stabilità» grazie all’impegno del Partito. Nella città dove Deng Xiaoping aveva promesso di mantenere per cinquant’anni, fino al 2047, il principio «Un Paese due sistemi», oggi si celebrava anche l’anniversario della restituzione alla madrepatria cinese, il 1° luglio del 1997, per tanti anni segnato da una contromanifestazione democratica. Ma oggi ogni riunione popolare è stata proibita, sono stati schierati 10 mila poliziotti per scoraggiare assembramenti e il Victoria Park è stato sigillato. «Lunga vita al grande, glorioso e giusto Partito comunista! Lunga vita al grande, glorioso ed eroico popolo cinese!». Così ha concluso il suo discorso del centenario Xi Jinping, il Nuovo Mao che ha in mano una Cina molto più potente di quella del Fondatore.
Non è una coincidenza che nel giorno del centenario del Partito comunista, un rapporto americano abbia rivelato che nel deserto del Gansu, duemila chilometri a Ovest da Pechino, i satelliti hanno scoperto lavori per la costruzione di un centinaio di silos utilizzabili per celare missili intercontinentali. La Cina possiede un arsenale nucleare relativamente modesto: tra le 250 e le 350 testate e un centinaio di missili intercontinentali basati a terra, rispetto alle migliaia a disposizione degli Stati Uniti. Le 119 nuove postazioni di lancio nel Gansu darebbero a Xi altre carte da mettere sul tavolo della partita di Guerra fredda ingaggiata con gli Stati Uniti.
Gli esperti indipendenti del «James Martin Center for Nonproliferation Studies» di Monterey, che stanno studiando le foto dei satelliti commerciali, dicono al Washington Post che potrebbe trattarsi anche di un depistaggio strategico. I lavori sono dispersi su un’area di mille chilometri quadrati e alcuni o molti dei silos potrebbero essere dei «diversivi», vale a dire buchi nella terra arida per simulare la presenza di missili inesistenti (o al momento inesistenti). Quelle postazioni renderebbero molto più difficile il lavoro di controllo da parte del Pentagono, aprendo un nuovo fronte di incertezza alla Casa Bianca sulla reale capacità militare della Cina. Nel dubbio, gli studiosi di questioni militari suggeriscono che è urgente che Stati Uniti e Cina discutano, tra i molti altri dossier, anche quello sul controllo delle armi nucleari.
Guido Santevecchi
Corriere della Sera
1 Luglio 2021