Anche se la legge consente la transizione dei minori sulla base della semplice valutazione medica -come in Italia, del resto- una clinica frena e richiede il consenso del giudice per “trattare” una ragazza, nonostante l’ok dei genitori. Segnale di un cambio di rotta per paura di contenziosi dopo che la detransitioner Keira Bell ha vinto la sua causa contro il sistema sanitario britannico
Aumenta il timore di contenziosi legali sui trattamenti per la transizioni di genere nei minori: le “gender clinics” specializzate, che in questi ultimi anni hanno visto crescere a dismisura i loro profitti, iniziano a cautelarsi e a prendere provvedimenti per evitare possibili dissesti finanziari futuri.
L’allarme è suonato nella lontana Australia lo scorso gennaio ma è venuto alla luce solo adesso, grazie a un contenzioso anomalo che ha rivelato una preoccupazione importante da parte degli addetti ai lavori, nonostante la silenziosa serenità ostentata pubblicamente.
“G2” è la sigla con cui la Family Court of Western Australia indica il minore al centro della vicenda; il tribunale australiano lo scorso giugno ha riconosciuto valido il suo consenso informato a proseguire la transizione di genere, che la corte descrive in tre stadi, a seguito di una diagnosi di disforia: nel primo si somministrano i bloccanti della pubertà, nel secondo gli ormoni cross-sex (testosterone, estrogeni) e nel terzo si può accedere alla chirurgia.
G2 deve iniziare il secondo stadio, e dopo questa sentenza può iniziare con il testosterone.
G2 nasce femmina nel 2005 e all’età di 13 anni si dichiara transgender: si taglia i capelli corti, vuole schiacciare il “petto” (chest, nel testo originale, anziché breast, cioè seno). I genitori, separati quando G2 aveva 8 anni, parlano di un “maschiaccio” e ne sostengono la richiesta di transizionare, così come gli esperti (due psicologi clinici e un endocrinologo) interpellati per valutarne la capacità di esprimere un valido consenso informato.
Ma non c’erano conflitti fra le parti neppure prima dell’iter giudiziario ed è qui che emerge l’anomalia del procedimento, avviato per iniziativa autonoma della clinica che segue la transizione di G2: alla fine del gennaio 2021 i genitori si sono visti arrivare una lettera da parte della clinica stessa nella quale si spiega che il servizio dedicato alle transizioni di genere nei minori sta facendo una revisione delle proprie procedure, e se ne illustrano i cambiamenti in riferimento al percorso medico “gender affirming”.
Nello specifico di G2, in lista di attesa, “come risultato dei possibili cambiamenti della legge, può essere considerato appropriato e necessario ottenere l’approvazione della Corte prima dell’inizio di qualsiasi trattamento di questo tipo”.
La clinica chiede cioè, sostanzialmente – ed è questa la novità – che un tribunale autorizzi la transizione anche quando tutte le parti sono concordi e anche se G2 ha superato i 16 anni di età; in queste condizioni la clinica, nelle sue nuove procedure “non consente né si oppone alla transizione”. Una posizione di “medicina difensiva” manifestatamente finalizzata a sottrarsi a qualsiasi responsabilità a fronte di ricorsi giudiziari, un’eventualità che evidentemente la clinica ha preso in seria considerazione: è la prima volta che in Australia una “gender clinic” trasferisce volontariamente a un tribunale la responsabilità di stabilire la validità del consenso del minore ai trattamenti proposti.
La richiesta dell’intervento del tribunale è infatti motivata dalla sentenza dell’Alta Corte UK del mese precedente, dicembre 2020, riferita a Keira Bell, la ragazza inglese che dopo aver effettuato i tre stadi della transizione di genere se ne è pentita, è voluta tornare al genere di nascita e ha fatto causa alla clinica Tavistock, specializzata per minori “gender-non-conforming”, contestando la validità del proprio consenso informato ai trattamenti che pure aveva richiesto, ma, col senno di poi, senza avere la consapevolezza della portata e delle conseguenze del percorso intrapreso. Keira Bell ha vinto, e adesso in UK un minore può transizionare dai 16 anni in su e solo dopo l’autorizzazione di un tribunale.
Una sentenza importante anche per l’assetto giuridico australiano sul consenso dei minori ai trattamenti sanitari, centrato sulla “Gillick competence”, cioè sulla possibilità che un minore con meno di 16 anni di età possa accedere a trattamenti sanitari senza l’autorizzazione dei genitori purché se ne riconosca la “competenza” a farlo, in altre parole la capacità sia di comprendere le informazioni ricevute sulle cure proposte che di compiere scelte in base al proprio interesse.
La giurisprudenza australiana a riguardo è disegnata su una serie di sentenze, anche sulle transizioni di genere, che in sintesi andavano nella direzione di escludere l’intervento delle corti in caso di riconosciuta competenza del minore e accordo fra le parti.
I giornali australiani nel commentare il caso hanno sottolineato come questo ultimo pronunciamento contrasti, di fatto, la campagna condotta dal Royal Children’s Hospital a Melbourne, tutta tesa a convincere i tribunali che per le transizioni di genere dei minori fosse sufficiente la sola valutazione clinica.
Assuntina Morresi
22 LUGLIO 2021
Australia: stop ormoni ai bambini senza l’ok di un tribunale?