CORRIERE DELLA SERA – Cari giovani, ecco perché vaccinarvi

By 5 Agosto 2021Coronavirus

Alberto Mantovani non è uno di quegli scienziati che stanno chiusi nelle loro torri d’avorio, anzi. Con la gente, e con i giovani, parla a tu per tu. Lo sta facendo da gennaio a oggi, in una sorta di «giro d’Italia» fra il virtuale e il reale. E somministra «pillole di informazione» a chi cerca di orientarsi in quell’altra torre, quella di Babele, della comunicazione sul Covid.

«Fra i giovani ci sono tanti dubbi e una grande sete di conoscenza» ci racconta l’immunologo le cui ricerche sono fra le più citate al mondo, direttore scientifico dell’Istituto Clinico Humanitas e professore Emerito dell’Humanitas University a Milano.

Che cosa le chiedono?

«Una delle domande più frequenti è questa: “Ho gli anticorpi anti coronavirus alti, perché mi dovrei vaccinare?».

E lei che cosa risponde?

«Rispondo che la sierologia, cioè la misura degli anticorpi nel sangue, non può orientare la scelta della vaccinazione. Primo perché i test che li misurano sono diversi e non hanno la stessa affidabilità; secondo perché non dicono se questi anticorpi sono neutralizzanti, se sono in grado, cioè, di bloccare il virus».

Quindi non c’è, a oggi, la possibilità di capire se una persona è protetta o no nei confronti del virus?

«No, al momento non c’è nessun test che può dirlo perché, nella risposta difensiva del nostro sistema immunitario al virus, entra in gioco anche la cosiddetta immunità innata che non dipende dalla produzione di anticorpi, ma dall’attività di certe cellule immunitarie che ci proteggono, in ogni caso e in prima linea, dalle aggressioni di agenti estranei. Attività che, al momento, non si può misurare».

Qual è, allora, il messaggio per i giovani?

«Vaccinatevi. Anche per ritornare a scuola in sicurezza: una priorità».

Però i giovani sembrano parzialmente «immuni». Come convincerli?

«Difatti. Un’altra delle domande che mi hanno posto gli studenti di una scuola superiore dell’Alto Adige è stata proprio questa: “Perché mi devo vaccinare? Sono giovane e non rischio molto”. Ecco, non è proprio così. È vero: i ragazzi fra i 12 e i 18 anni, si ammalano poco e raramente hanno forme gravi. Però, ci sono un po’ di “però”».

Quali «però»?

«In Italia sono stati segnalati 28 casi mortali da Covid in questa fascia di età. Ma c’è di più. Andrea Biondi, all’Ospedale San Gerardo di Monza, ha avuto quattro casi di adolescenti, su 60, che sono finiti in terapia intensiva. E non è una bella esperienza per loro. Ancora: in alcuni di questi pazienti si è registrata la comparsa di una malattia nuova, una multi-infiammazione sistemica che interessa tutto l’organismo. Esiste poi, la minaccia del long-Covid: disturbi che colpiscono chi ha avuto la malattia e che si trascinano nel tempo: per esempio, disturbi della memoria. Lo dimostra un report, il primo al mondo, firmato dai medici dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma».

Ma la vaccinazione basta?

«Il vaccino è una cintura di sicurezza, come in auto. Ma da sola non ci può proteggere al 100 per cento se passiamo con il rosso. Quindi, non dimentichiamoci tutte le altre precauzioni, mascherina compresa».

La doppia dose

È come la cintura di sicurezza in auto: non ci protegge al 100%, le altre precauzioni servono

E quanto è protetto chi ha avuto il Covid?

«Poco, soprattutto fra gli anziani. Uno studio, firmato Pfizer, condotto su circa 44 mila individui fra i 12 e i 90 anni e pubblicato online (cioè accessibile a tutti), dimostra che, nelle persone anziane, la malattia dà una protezione da una nuova infezione, solo nel 47% dei casi».

Suggerimenti?

«Vaccinare, al momento, con una dose».

Arriviamo al tema «terza dose». A chi farla?

«Facciamo sempre riferimento ai dati scientifici. Sappiamo, ancora grazie al lavoro di Pfizer, che a sei mesi dalla somministrazione del loro vaccino, la protezione dall’infezione diminuisce (cioè un vaccinato si può reinfettare), ma rimane alta, oltre l’80%, la capacità del vaccino di evitare le ospedalizzazioni e la morte. Per ora, non si hanno indicazioni certe per la terza dose».

Quindi, che fare?

«Il problema riguarda le persone fragili, per esempio perché colpite da tumori del sangue, e che reagiscono poco ai vaccini. Cercheremo di dare risposte concrete con uno studio, che si chiama Vax4Frail, sostenuto dal ministero della Salute, e che ci vede partecipi come Istituto Humanitas, con altri partner come l’Istituto Tumori di Milano e il Regina Elena di Roma. I risultati dovrebbero arrivare entro l’estate».

Uno sguardo al futuro. La vaccinazione sta funzionando, è d’accordo?

«Sì, da noi, forse. Ma occorre portare i vaccini ai Paesi poveri, altrimenti il virus può circolare e produrre nuove varianti, magari più aggressive».

Che dire, invece, delle terapie farmacologiche?

«Uno dei primi obiettivi della ricerca è quello di capire se esiste una predisposizione genetica alla malattia e se esistono marcatori che possono individuare una persona a rischio di sviluppare forme gravi. Abbiamo, come Istituto Humanitas, contribuito a un lavoro pubblicato su Nature, coordinato da Andrea Ganna, che sta cercando di far luce su questi aspetti».

Questi studi possono aiutare a trovare nuovi farmaci per combattere il Covid, soprattutto in soggetti fragili ?

«Sì. È una speranza per domani e dopodomani. Al momento si stanno sperimentando anticorpi monoclonali contro la proteina spike (quella che permette al virus di entrare nelle cellule, ndr) da destinare a pazienti fragili. Ma, secondo un nuovo studio pubblicato sulla piattaforma Recovery, potrebbero anche funzionare nelle fasi avanzate. Sono soluzioni che si stanno sperimentando se il vaccino fallisce o non funziona.

Sono due anticorpi, frutto della ricerca italiana. Uno è un monoclonale, che vede tutte le varianti del virus, studiato da Davide Corti (pubblicato su Nature); l’altro, è un “mini-anticorpo” ingegnerizzato, ideato da Rino Rappuoli. Attendiamo i risultati delle sperimentazioni».

Adriana Bazzi

Corriere della Sera

5 Agosto 2021