I trattamenti antivirali sono ormai in fase avanzata di sperimentazioni clinica, ma gli esaltati di internet parlano di cure strampalate.
Il fatto che taluni medici, ma soprattutto moltissimi invasati sui social network, vadano reclamizzando come efficaci terapie e rimedi per il Covid-19, per i quali non c’è nel migliore dei casi alcuna evidenza disponibile di efficacia (e nel peggiore vi è prova di non efficacia), è grave anche perché porta alla perdita di fiducia nei farmaci attualmente in sviluppo – cioè in quei trattamenti antivirali che sono giunti ormai in fase avanzata di sperimentazione clinica.
Eppure, alcuni trattamenti antivirali sono ormai arrivati in fase avanzata di sperimentazione clinica, al contrario dei rimedi già pronti sui social (che finora hanno sostanzialmente fallito nelle prove cliniche o non sono stati testati con sufficiente rigore e su base sufficientemente ampia).
Senza nessuna pretesa di esaustività, proverò di seguito a fare qualche esempio.
Molnupiravir, per cominciare: si tratta di un profarmaco, cioè di una molecola che, processata dalle nostre cellule, si trasforma nel principio attivo, ovvero in un composto che viene incorporato nel genoma dei virus a Rna durante il processo di replica, provocando “errori di copia” letali. Originariamente studiato per l’influenza, è stato giudicato promettente da Merck, che, in partnership con i suoi originali proprietari, è arrivato ormai in fase 3, e i risultati della ampia sperimentazione in corso sono attesi entro la fine di quest’anno. Se funzionerà, sarà il primo antivirale orale contro il Covid-19, da assumere entro l’insorgere dei primi sintomi allo scopo di rendere meno grave e più breve la malattia.
Anche Pfizer ha in sviluppo alcune molecole interessanti, a dimostrazione della stupidità di chi afferma che in nome dei vaccini si sia fermata la ricerca sui farmaci: innanzitutto, un inibitore di proteasi virale per tutti i betacoronavirus (la famiglia cui appartiene anche Sars-CoV-2), denominato provvisoriamente PF-07321332. A settembre è iniziato lo studio clinico di fase 3 anche per questo composto, da usarsi in combinazione con il vecchio antivirale ritonavir nei pazienti sintomatici prima dell’ospedalizzazione; presumibilmente i risultati arriveranno all’inizio dell’anno prossimo. In uno stadio un po’ più precoce, ma comunque ben dentro la fase 2 di sperimentazione, è arrivato anche un secondo composto di Pfizer, il profarmaco inibitore di proteasi PF-07304814. Originariamente identificato come composto a potenziale attività contro Sars, è in sviluppo come trattamento per via endovenosa nei pazienti con sintomi più seri; anche in questo caso, per risultati definitivi si dovrà attendere l’anno prossimo.
Synairgen, azienda inglese, ha appena iniziato la fase 3 per il suo spray di interferone beta. Basandosi sul fatto che il virus Sars-CoV-2 si avvantaggia dalla soppressione di questo interferone, utile al nostro sistema immune per bloccare la replicazione virale e migliorare la risposta immune, l’azienda ha sviluppato una formulazione di interferone beta in grado di raggiungere direttamente i polmoni per via inalatoria, e finora ha riscontrato buoni risultati in pazienti non troppo severi. Vedremo all’inizio dell’anno prossimo quali saranno i risultati finali anche in questo caso.
Ora, guardando ai risultati di questi e di altri trattamenti promettenti, bisogna tener a mente alcune cose. Innanzitutto, antivirali che abbiano un’efficacia anche solo del 50 per cento – cioè che raggiungano qualche risultato come l’abbreviazione della malattia, la diminuzione dei sintomi, la diminuzione del rischio di morte, eccetera – sarebbero già un risultato formidabile; non bisogna lasciarsi fuorviare dall’eccezionale efficacia clinica dei vaccini, ma bisogna pensare al confronto con altri antivirali, per altre condizioni, già disponibili. Forse avremo alla fine anche qualcosa di meglio; ma questa è la prima generazione di molecole arrivata in fase così avanzata, e dunque bisogna essere pronti a risultati migliorabili. In secondo luogo, anche gli antivirali, come è noto, finiscono per incontrare varianti di virus resistenti; per questo, come per i vaccini anche per il trattamento della malattia bisognerà continuare a lavorare. Al netto di queste precauzioni, qualunque nuovo trattamento antivirale si dimostrasse efficace costituirebbe un successo notevole, e certamente aiuterebbe disporre di cure e non solo di mezzi di profilassi vaccinale; ecco perché guardare con attenzione alle sperimentazioni in corso, invece che a YouTube o ai social network.
ENRICO BUCCI
Il Foglio
28 Settembre 2021