Commento alla Lettera “Samaritanus bunus” pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede che tratta la cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita. E’ di grande attualità in contesti societari, compreso quello italiano, dove il termine della vita sta rapidamente smarrendo valore e dignità, scordando che l’inviolabilità della vita è una verità basilare della legge morale naturale ed un fondamento essenziale dell’ordine giuridico.
Il testo, pubblicato il 14 luglio 2020, è composto da cinque sessioni.
Prima. Samaritanus bonus: prendersi cura del prossimo.
Il punto di partenza della riflessione è la costatazione che “è difficile riconoscere il profondo valore della vita umana, quando, nonostante ogni sforzo esistenziale continua ad apparirci nella sua debolezza e fragilità”. Ma, nonostante questa ardua evidenza, ogni uomo ha il dovere di “prendersi cura”, cioè di assistere, accompagnare ed amare il fratello sofferente nella fase terminale della vita, essendo sempre “un inguaribile” ma non “un incurabile”. “Inguaribile”, cioè portatore di una patologia cronico-degenerativa che nessuna terapia potrà arrestare; di conseguenza la sua prognosi di vita sarà limitata nel tempo. Ma pur inguaribile, non è un “incurabile”, quindi bisognoso di cure, essendo queste l’insieme degli atti medici, psicologici, assistenziali e anche affettivi che salvaguardano la situazione psicofisica del sofferente nella condizione migliore fino alla morte. Possiamo definire questo accompagnamento il “farsi carico globalmente del malato”, come fece il “Buon Samaritano” evangelico proposto nella Lettera come “modello esemplare” per chi assiste un paziente terminale.
Seconda. Samaritanus bonus: l’esperienza vivente del Cristo sofferente e l’annuncio della speranza.
La situazione del paziente terminale afferma la Lettera, con “quelle malattie che lo inchiodano a un letto e che prefigurano solo la morte, e sembrano togliere significato al tempo e al suo scorrere”, è paragonabile all’agghiacciante esperienza di morte, appeso ad una croce, vissuta dal Cristo “uomo” e “Dio”. Per questo, il Signore Gesù, è un “interlocutore credibile” a cui rivolgere la pensiero e la parola, oltre che un “simbolo di speranza” cui affidare le angosce e le paure.
Interessante, in questa sessione, il ricordare la preoccupazione spesso presente nei moribondi per chi lasciano: figli, coniuge, genitori, amici… “Una componente umana che non possiamo mai trascurare e a cui si deve offrire un sostegno e un aiuto”. La Lettera ricorda che è lo stesso tormento del Cristo “che prima di morire pensa alla Madre che rimarrà sola, dentro un dolore che dovrà portare nella storia. Nell’asciutta cronaca del Vangelo di Giovanni, il Cristo è alla Madre che si rivolge, per rassicurarla, per affidarla al discepolo amato affinché se ne prenda cura: ‘Madre, ecco tuo figlio’ ”.
Terza. Il “cuore che vede” del Samaritano: la vita umana è un dono sacro e inviolabile.
La Lettera chiede a chi assiste il malato di possedere il cuore del buon samaritano, che permette di aprirsi alla compassione e di lasciarsi interrogare dalla fragilità. Ma, tutto questo, deve essere supportato da una convinzione: il riconoscere che ogni vita umana è sacra e inviolabile dal concepimento alla morte naturale.
Quarta. Samaritanus bonus: gli ostacoli culturali che oscurano il valore sacro di ogni vita umana.
La Lettera identifica quattro ostacoli.
L’uso equivoco del concetto di “morte degna” in rapporto con quello di “qualità della vita”. Di conseguenza, per molti, quando la qualità della vita appare “povera”, essa non deve proseguire.
Un erroneo intendimento della “compassione” per cui è compassionevole aiutare il paziente a morire mediante l’eutanasia o il suicidio assistito.
L’individualismo crescente che mostra gli altri come limiti e minacce alla propria libertà.
L’individualismo è anche alla base di una delle “malattie” più gravi del nostro tempo: la solitudine, definita dalla santa madre Teresa di Calcutta, una delle pesti del duemila.
Quinta. Samaritanus bonus: l’insegnamento del Magistero.
Sessione articolata in dodici punti che riprende tutto il Magistero della Chiesa riguardante il “fine vita”. Lo riportiamo evidenziando le frasi principali.
1.Il divieto di eutanasia e suicidio assistito.
“L’eutanasia è un atto intrinsecamente malvagio, in qualsiasi occasione o circostanza in quanto uccisione deliberata, moralmente inaccettabile, di una persona umana… Sono gravemente ingiuste, pertanto, le leggi che legalizzano l’eutanasia o quelle che giustificano il suicidio e l’aiuto allo stesso, per il falso diritto di scegliere una morte definita impropriamente degna soltanto perché scelta… Anche qualsiasi cooperazione formale o materiale è un peccato grave che nessuna autorità può legittimamente o imporre” Infine: “l’eutanasia e il suicidio assistito sono una sconfitta di chi li teorizza, di chi li decide e di chi li pratica”.
2.L’obbligo morale di escludere l’accanimento terapeutico.
“Nell’imminenza di una morte inevitabile è lecito in scienza e coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all’ammalato in simili casi”.
3.Le cure di base: il dovere di alimentazione e idratazione.
“Fino a quando questa somministrazione dimostra di raggiungere la sua finalità che consiste nel procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente va fatta. Quando questa non risulta di alcun giovamento al paziente, perché il suo organismo non è più in grado di assorbe o metabolizzare, va sospesa”. Ebbene, la nutrizione e l’idratazione sono “sostegni vitali” sia per il sano che per il malato, dunque atti dovuti eticamente, deontologicamente e giuridicamente, che non smarriscono tale qualifica in base al mezzo utilizzato per assumerli. Se questi fossero sospesi, il paziente morirebbe non a causa della malattia ma per la sottrazione, appunto, dei mezzi di ordinaria sussistenza.
4.Le Cure Palliative.
“Come dimostrato dalla più ampia esperienza clinica, la medicina palliativa costituisce uno strumento prezioso ed irrinunciabile per accompagnare il paziente nelle fasi più dolorose, sofferte, croniche e terminali della malattia.
Cosa sono le Cure Palliative? Facendo propria la visione olistica della medicina che tiene in considerazione la persona nella sua totalità unificata di spirito e di corpo, le cure palliative offrono al malato terminale una terapia globale (total care) con risultati sorprendenti, essendo un ottimo ausilio per reggere l’oppressione delle sofferenze nelle fasi pre-terminali e terminali della vita. Ricorda la Lettera: “L’applicazione delle cure palliative diminuisce drasticamente il numero di persone che richiedono l’eutanasia”.
5.Il ruolo della famiglia
“Nella cura del malato terminale è centrale il ruolo della famiglia… per questo vanno disposte risorse per sostenerla”.
6.L’accompagnamento e la cura in età prenatale e pediatrica.
“Fin dal concepimento, i bambini affetti da malformazioni o patologie di qualsiasi genere sono piccoli pazienti. La loro vita è sacra, unica, irripetibile ed inviolabile, esattamente come quella di ogni persona adulta… Gli Hospice Perinatali, in particolare, forniscono un essenziale supporto alle famiglie che accolgono la nascita di un figlio in condizioni di fragilità.
7.Terapie analgesiche e soppressione della coscienza.
“La Chiesa afferma la liceità della sedazione… L’uso degli analgesici è, dunque, parte della cura del paziente, ma qualsiasi somministrazione che causi direttamente e intenzionalmente la morte è una pratica eutanasica ed è inaccettabile”. Dunque: “La sedazione deve escludere come suo scopo diretto l’intenzione di uccidere”.
8.Lo stato vegetativo e lo stato di minima coscienza.
“È sempre del tutto fuorviante pensare che lo stato vegetativo e lo stato di minima coscienza, in soggetti che respirano autonomamente, siano segno che il malato abbia cessato di essere persona umana con tutta la dignità che gli è propria. In queste situazioni l’uomo deve essere riconosciuto nel suo valore e assistito con cure adeguate… Il fatto che il malato possa rimanere per anni in questa dolorosa situazione implica indubbia sofferenza per coloro che se ne prendono cura. Bisogna perciò prevedere un supporto adeguato ai familiari nel portare il peso prolungato dell’assistenza a malati in questi stati, assicurando loro quella vicinanza che li aiuti a non scoraggiarsi e soprattutto a non vedere come unica soluzione l’interruzione delle cure”.
9.L’obiezione di coscienza da parte degli operatori sanitari e delle istituzioni sanitarie cattoliche.
“È necessario che gli Stati riconoscano l’obiezione di coscienza in campo medico e sanitario… Dove questa non fosse riconosciuta, si può arrivare alla situazione di dover disobbedire alla legge per non aggiungere ingiustizia ad ingiustizia… Gli operatori sanitari non devono esitare a chiederla come diritto proprio e come contributo specifico al bene comune”.
10.L’accompagnamento pastorale e il sostegno dei sacramenti.
“Il momento della morte è un passo decisivo dell’uomo nel suo incontro con Dio Salvatore… La Chiesa è chiamata ad accompagnare spiritualmente i fedeli in questa situazione, offrendo loro le ‘risorse sananti’ della preghiera e dei sacramenti”.
11.Il discernimento pastorale verso chi chiede eutanasia o suicidio assistito.
È una questione complessa ma non poteva essere elusa, poiché sempre più spesso il sacerdote potrebbe incontrare persone che hanno richiesto espressamente l’eutanasia o il suicidio assistito. Le indicazioni della Lettera riguardano due aspetti: il rapporto da instaurare e la presenza del presbitero nel luogo dove si compirà la procedura di morte.
Per quanto riguarda “il rapporto”, la Lettera rammenta che il Sacramento della Riconciliazione richiede per la validità e l’efficacia dell’assoluzione: “la contrizione”, cioè il “dolore dell’animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnato dal proposito di non peccare più in avvenire”. Ma, di fronte ad una persona che ha optato per un atto gravemente immorale, come lo è il suicidio assistito e l’eutanasia, e liberamente persiste su questa posizione, essendo assente “la contrizione”, come deve comportarsi il sacerdote? Questo atteggiamento, per la Lettera, è “una manifesta non disposizione per la recezione dei sacramenti della Penitenza con l’assoluzione, e dell’Unzione, così come del Viatico”. Ciò, ovviamente vale, non solo per chi a breve praticherà il suicidio assistito o riceverà l’eutanasia ma anche per chi si è registrato in un’associazione per subire, quando lui o altri lo riterranno opportuno, l’eutanasia o il suicidio assistito. La “contrizione” richiesta per ricevere i sacramenti è l’annullamento di tale iscrizione.
La Lettera, inoltre, contiene un importante puntualizzazione. “Questa posizione della Chiesa non è segno di mancanza d’accoglienza del malato. Essa deve essere, infatti, unita all’offerta di un aiuto e di un ascolto sempre possibili, sempre concessi, insieme ad una approfondita spiegazione del contenuto del sacramento, al fine di dare alla persona, fino all’ultimo momento, gli strumenti per poterlo scegliere e desiderare”.
Per quanto riguarda “la presenza” del sacerdote all’atto eutanasico, la Lettera afferma: che “non è ammissibile da parte di coloro che assistono spiritualmente questi infermi alcun gesto esteriore che possa essere interpretato come un’approvazione dell’azione eutanasica, come ad esempio il rimanere presenti nell’istante della sua realizzazione. Tale presenza non può che interpretarsi come complicità”.
12. La riforma del sistema educativo e della formazione degli operatori sanitari.
Finalità: aprirsi alle esigenze fondamentali per un’assistenza integrale della persona.
Don Gian Maria Comolli