Cioè, può dare la sua preferenza per un candidato di un partito o formazione politica il cui programma sia apertamente in contrasto con la dottrina sociale della Chiesa?
Può un cattolico votare a sinistra? E più in generale può un cattolico votare per un candidato di un partito o formazione politica il cui programma sia apertamente in contrasto con la dottrina sociale della Chiesa? La risposta sembrerebbe scontata in senso negativo. Eppure non è così scontata come sembra.
Anche ora che ci si appresta al voto per le amministrative a Roma, Milano, Torino, Napoli, ecc. A proposito: sgomberiamo il campo una volte per tutte da un equivoco che puntualmente torna: le elezioni amministrative sono a tutti gli effetti elezioni politiche. Locali quanto si vuole ma pur sempre politiche, posto che amministrare metropoli come Roma o Milano (e lo stesso vale per il più piccolo dei comuni) è amministrare la cosa pubblica, ciò che ha a che fare con la polis, la politica, appunto).
Anche ora, dicevamo, la questione è tornata prepotentemente d’attualità. Nei dibattiti pubblici come nei convegni ma anche semplicemente chiacchierando al bar o tra amici, la domanda da cui siamo partiti è a ben vedere la questione irrisolta (o risolta male, come si vedrà a breve), il gran rimosso che inficia non solo buona parte dei discorsi che si fanno e si sentono, ma quel che è più grave la scelta nell’urna.
Bene comune
Scelta per altro niente affatto banale, e che troppo spesso – problema nel problema – viene presa (s’intende, la questione politica latu sensu) sotto gamba o come se la gestione della cosa pubblica delle città in cui viviamo fosse un qualcosa che ci tocca poco, salvo poi frignare e lamentarsi ogni due per tre dei trasporti di Roma Capitale (delle buche) che non funzionano, del degrado cittadino, dei cinghiali che scorrazzano indisturbati attratti da montagne di rifiuti maleodoranti, eccetera eccetera (e per carità cristiana ci fermiamo alla punta dell’iceberg).
E dire che l’amministrazione della propria città o del proprio quartiere è quanto di più vicino possa esserci alla vita quotidiana dei cittadini, per tanti aspetti molto più della politica nazionale. Non solo. Il Catechismo della Chiesa cattolica afferma chiaramente, da un lato, che è necessario che «tutti, ciascuno secondo il posto che occupa e il ruolo che ricopre, partecipino a promuovere il bene comune». Questo dovere è «inerente la dignità della persona umana»
(CCC, 1913); dall’altro, e come conseguenza di questo principio, che i cittadini «per quanto possibile, devono prendere parte alla vita pubblica» (CCC, 1915) e che è «dovere dei cittadini dare il proprio apporto ai poteri civili per il bene della società in spirito di verità, di giustizia, di solidarietà e di libertà. L’amore e il servizio della patria derivano dal dovere di riconoscenza e dall’ordine della carità» (CCC, 2239).
Laicità neutrale?
Anche per questo è quanto mai importante avere le idee chiare su chi votare.
Motivo per cui nel rispondere alla domanda “può un cattolico votare a sinistra?” occorre dire con estrema chiarezza e fermezza che la risposta è no, non si può. Innanzitutto, checché ne dicano i cattolici “adulti” cosiddetti, la fede non è affatto un affare di coscienza. Non è un qualcosa di privato, di intimo, senza che cioè il proprio vissuto religioso abbia alcuna ricaduta pubblica.
Prevengo l’obiezione: ma la laicità delle istituzioni e della vita pubblica fanno sì che una democrazia non possa essere connotata da alcun tratto religioso, altrimenti diverrebbe una teocrazia il che è inaccettabile. Tutto vero e giusto.
Ma c’è un “ma”. Lo stesso Catechismo ricorda infatti che ogni istituzione «si ispira, anche implicitamente, ad una visione dell’uomo e del suo destino, da cui deriva i propri criteri di giudizio, la propria gerarchia di valori, la propria linea di condotta»; tradotto, è una pia illusione immaginare una qualche “neutralità” della democrazia o della laicità. Balle. Ci sono e ci saranno saranno sempre differenti e contrastanti antropologie, cioè appunto visioni dell’uomo, da cui tutto, anche un programma politico per governare un comune, discende.
Ecco perché, prosegue il Catechismo, «nella maggior parte delle società, le istituzioni fanno riferimento ad una certa preminenza dell’uomo sulle cose. Solo la Religione divinamente rivelata ha chiaramente riconosciuto in Dio, Creatore e Redentore, l’origine e il destino dell’uomo. La Chiesa invita i poteri politici a riferire i loro giudizi e le loro decisioni a tale ispirazione e le loro decisioni a tale ispirazione della verità su Dio e sull’uomo» (CCC, 2244). Un affare di coscienza
Come si vede, non soltanto non c’è alcun rischio di vulnus per laicità, ma addirittura la Chiesa invita i poteri politici ad ispirarsi alla visione dell’uomo propria della Chiesa. Perché? Perché è l’unica vera. Laddove ciò non accade, laddove cioè la politica segue altre concezioni, succede esattamente quanto descritto da san Giovanni Paolo II nella Centesimus annus, citata subito appresso dal Catechismo: «Le società che ignorano questa ispirazione o la rifiutano in nome della loro indipendenza in rapporto a Dio, sono spinte a cercare in se stesse oppure a mutuare da una ideologia i loro riferimenti e il loro fine e, non tollerando che sia affermato un criterio oggettivo del bene e del male, si arrogano sull`uomo e sul suo destino un potere assoluto, dichiarato o non apertamente ammesso, come dimostra la storia».
E verrebbe da aggiungere, come dimostra la storia anche recente. Bisogna allora ribadire che una visione “privatistica” della fede non corrisponde ad una retta visione cattolica, e che anzi tale approccio – in voga piuttosto nel mondo protestante in virtù del rifiuto di ogni autorità esterna – è stato ed è supportato da precisi ambienti laicisti dove si possono facilmente reperire grembiulini e compassi (ma anche da altrettanto precisi ambienti sedicenti cattolici che smaniano per avere una patente di modernità) – appunto per rinchiudere la fede negli angusti anfratti della coscienza in modo da lasciare campo aperto nel governo della polis e più in generale delle realtà terrene ad una visione dell’uomo radicalmente opposta a quella cattolica.
Una vera laicità
Il cristianesimo è essenzialmente un evento storico e culmine di una Rivelazione che si è tradotta in una storia di salvezza; ne consegue che la fede non può non avere anche una traduzione politica. Traduzione politica, lo ripetiamo a scanso di equivoci, non nel senso teocratico del termine (per quello citofonare islam) né vagheggiando il ritorno di epoche passate all’insegna della cristianità o di improbabili alleanze tra Trono e Altare. Traduzione politica della fede significa, semplicemente, una fede che si fa polis, mondo, storia.
Beninteso, la Chiesa per prima riconosce che le realtà terrene hanno una loro autonomia.
L’insuperata “Nota dottrinale” della Congregazione della Dottrina della Fede del 24 novembre 2002 circa «alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica», lo afferma senza mezzi termini: «Per la dottrina morale cattolica la laicità intesa come autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica – ma non da quella morale – è un valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa e appartiene al patrimonio di civiltà che è stato raggiunto».
Ciò che conta
Tuttavia, un conto è dire autonomia, il fatto cioè che le realtà terrene, ivi inclusa la politica, hanno leggi e dinamiche “secolari” loro proprie che vanno rispettate, altro conto è dire indipendenza morale, affermare cioè che tali realtà sono laiche se e soltanto se ispirate ad un principio morale di ordine relativistico.
Prosegue infatti la Nota: «Questione completamente diversa è il diritto-dovere dei cittadini cattolici, come di tutti gli altri cittadini, di cercare sinceramente la verità e di promuovere e difendere con mezzi leciti le verità morali riguardanti la vita sociale, la giustizia, la libertà, il rispetto della vita e degli altri diritti della persona». Ecco il punto: ciò che conta, anche quando si vota per il comune di Roma o Milano, è la ricerca e la promozione della verità in tutte le sue declinazioni.
E partendo da una concezione unitaria di fede e vita, come già san Giovanni Paolo II aveva sottolineato nella Christifideles laici: «Nella loro esistenza non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta “spirituale”, con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall’altra, la vita cosiddetta “secolare”, ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell’impegno politico e della cultura. Il tralcio, radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore dell’attività e dell’esistenza. Infatti, tutti i vari campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come “luogo storico” del rivelarsi e del realizzarsi dell’amore di Gesù Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli. Ogni attività, ogni situazione, ogni impegno concreto — come, ad esempio, la competenza e la solidarietà nel lavoro, l’amore e la dedizione nella famiglia e nell’educazione dei figli, il servizio sociale e politico, la proposta della verità nell’ambito della cultura — sono occasioni provvidenziali per un “continuo esercizio della fede, della speranza e della carità”».
Tra Cristo e Marx
Alla luce di quanto sin qui esposto credo risulti sufficientemente chiaro perché un cattolico non può votare a sinistra e in generale per chi propone programmi che vanno contro la visione cattolica dell’uomo, della famiglia, della vita e della morte, del matrimonio e dell’educazione dei figli, della sessualità, eccetera eccetera. Né vale la pena soffermarsi sulle stravaganti teorie, tuttora in voga in certi ambienti, secondo cui il socialismo anche nelle sue versioni riviste e aggiornate sarebbe il “vero” cristianesimo per la comune centralità dei poveri, della lotta contro le ingiustizie, della solidarietà e via straparlando.
Non scherziamo. Tra Cristo e Marx la distanza non può essere più siderale. Anzi, a dirla tutta il marxismo, con tutti i suoi derivati, è stato nel corso della storia la più radicale tra le ideologie anti-cristiane. Non solo. Ma per quanto posa sembrare paradossale, nonostante la sconfitta a livello politico del socialismo reale, l’antropologia marxista è tutt’ora viva e vegeta al punto che, consapevoli o meno, siamo tutti marxisti.
Il rifiuto di Dio
Ci si riferisce in particolare a questo testo di K. Marx, tratto dai Manoscritti economico-filosofici del 1844, in quanto perfetto ritratto dell’uomo contemporaneo: «Un essere si considera indipendente soltanto quando è padrone di sé, ed è padrone di sé soltanto quando è debitore a se stesso della propria esistenza. Un uomo, che vive della grazia altrui, si considera come un essere dipendente. Ma io vivo completamente della grazia altrui quando sono debitore verso l’altro non soltanto del sostentamento della mia vita, ma anche quando questi ha oltre a ciò creato la mia vita, è la fonte della mia vita; e la mia vita ha necessariamente un tale fondamento fuori di sé, quando non è la mia propria creazione».
Si tratta di un testo da cui emerge chiaramente come l’epoca moderna, o meglio la modernità che storicamente ha prevalso e di cui il marxismo ha rappresentato l’apice, si configuri come un progressivo e pervicace processo di emancipazione da Dio fino al suo rifiuto totale nella misura in cui esso altro non esprime se non l’elevazione a valore e programma di vita di ciò che nella tradizione cattolica è stato identificato come il peccato per eccellenza, il peccato all’origine di tutto: l’uomo che si fa dio di se stesso.
Obiettivi progressisti
Ora mi/vi chiedo: come è possibile che dei cattolici responsabili possano dare il loro volto a candidati e formazioni politiche latu sensu progressiste, che portano avanti programmi alla cui radice c’è esattamente questa visione dell’uomo? Come è possibile non scorgere questa precisa visione dell’uomo dietro tutte le “conquiste di civiltà” cosiddette dell’ultimo mezzo secolo nella società occidentale, dal divorzio alle unioni samesex, dalla pillola all’aborto all’utero in affitto, dall’eutanasia all’eugenetica, dal gender al transumanesimo, dal femminismo più ideologico al rifiuto del padre e di ogni forma di autorità, dai modelli educativi (educativi?) dell’”obbedienza non è più una virtù” di don Milani a quelli montessoriani de “il bambino è il maestro” (maddeché)?
Potremmo continuare a lungo. Ciò che sembra sfuggire a tanti cattolici è il fatto che non può avere alcun futuro una società che avendo rimosso ogni legame con Dio è costretta a riempire la voragine morale così creata semplicemente elevando ogni desiderio a diritto. E se siamo arrivati a tanto è perché c’è stato qualcuno che ha teorizzato un uomo così.
Votare centrodestra
D’altra parte, a beneficio di tutti coloro che ancora oggi si commuovono pensando ad una rinnovata conciliazione tra cattolicesimo e socialismo, basterebbe ricordare che a Fatima la Madonna parlò ai tre pastorelli degli errori che la Russia avrebbe sparso per il mondo, evidentemente riferendosi al comunismo posto che le apparizioni avvennero nel 1917 pochi mesi prima della mitica Rivoluzione d’Ottobre, vorrà dire qualcosa?
Intendiamoci, questo non vuol dire che un cattolico debba votare per forza a destra. Ma è un fatto che oggi – in attesa che nasca un soggetto capace di portare avanti una politica di “centro”, laddove per “centro” si intenda ciò che Augusto Del Noce chiamava la posizione della «fedeltà creatrice» – le istanze del cattolicesimo, pur con tutti i limiti e gli usi strumentali del caso (è la politica, bellezza), sono rappresentate nel centro-destra.
Per cui, fedelmente al principio del male minore è al candidato del centrodestra che, a Roma, andrà il mio voto.