«Innocenti, ma…». Archiviata l’indagine per epidemia colposa con un provvedimento pieno di tic forcaioli. Ma a uccidere fu il virus, non la sanità lombarda
«Innocenti, ma…». Il solito tic forcaiolo di italica tradizione stavolta si è abbattuto sul Pio Albergo Trivulzio di Milano. Spazzando via un anno e mezzo di gogna mediatico-giudiziaria, nei giorni scorsi la procura di Milano ha chiesto l’archiviazione dell’indagine a carico dello storico polo geriatrico milanese e del suo ex direttore generale Giuseppe Calicchio, indagati per epidemia colposa, omicidio colposo e violazione delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, per la morte di diversi pazienti ospitati nella struttura durante la prima ondata della pandemia da Covid-19, nei primi mesi del 2020. La procura ha chiesto l’archiviazione anche nei confronti degli amministratori di altre otto Rsa sparse per la Lombardia.
Gad Lerner e la “strage silenziosa”
In seguito ad approfondite indagini, i pm sono giunti alla conclusione che al Pio Albergo Trivulzio e nelle altre Rsa lombarde non ci fu nessuna “strage di anziani” o “epidemia insabbiata”. Insomma, a conferma di quanto scritto da Tempi fin dall’inizio della vicenda, in particolare da Luigi Amicone, fu per colpa di un virus bastardo – e non di un complotto dell’avida sanità lombarda, in salsa berlusconian-leghista – se numerosi anziani durante la prima ondata della pandemia purtroppo morirono mentre erano ospitati nelle Rsa (un fenomeno registrato in tutti i paesi del mondo). La “strage silenziosa”, denunciata da Gad Lerner in alcuni ormai celebri articoli pubblicati su Repubblica in quel periodo, non è mai esistita. L’ennesima boiata giustizialista.
Come evidenziano infatti nella richiesta di archiviazione i pm milanesi Mauro Clerici e Francesco De Tommasi, coordinati dall’aggiunto Tiziana Siciliano, dalle indagini effettuate «non è stata acquisita alcuna evidenza di condotte colpose o comunque irregolari, causalmente rilevanti nei singoli decessi, in ordine all’assistenza prestata». Anzi, si legge ancora nel provvedimento, «con riguardo ai singoli casi, neppure sono state accertate evidenze di carenze specifiche, diverse dalle criticità generali, riguardo le misure protettive o di contenimento, che possano con verosimiglianza avere inciso sul contagio dei singoli soggetti».
Prima dei magistrati, era stata la commissione d’inchiesta istituita dalla regione Lombardia a smontare le accuse mosse nei confronti dei vertici del Pio Albergo Trivulzio, concludendo, sulla base dell’analisi dei dati, che nella struttura non si era registrata nessuna esplosione di decessi. Se nel primo quadrimestre del 2020 il rapporto tra decessi osservati e decessi attesi era stato pari al 2,2 nelle Rsa lombarde, al Trivulzio era stato pari a 1,7. Insomma, come sintetizzò Vittorio Demicheli, presidente della Commissione di verifica e direttore sanitario dell’Ats di Milano, al Trivulzio «non è successo niente di molto diverso da quello che è accaduto nella media delle strutture simili, anzi l’impatto è stato leggermente inferiore».
Teoremi duri a morire
Si sa, però, che i teoremi sono duri a morire. Così, di fronte alla notizia della richiesta di archiviazione dell’indagine, alcuni organi di informazione hanno continuato ad alimentare il dubbio forcaiolo. «Rischi sminuiti, ma archiviazione», ha titolato il Fatto Quotidiano (che nell’aprile 2020 parlò di «strage dei nonni»). Ma la sintesi più emblematica è stata proposta da Repubblica, che per prima innescò la gogna sulla vicenda: «Trivulzio, 300 morti senza colpevoli». Come se per spiegare l’aumento di decessi tra gli anziani non bastasse una delle peggiori pandemie della storia recente dell’uomo, ma occorresse invece trovare sempre un capro espiatorio.
Ad alimentare il tic giustizialista stavolta, come spesso accade, ha contribuito il linguaggio “cerchiobottista” utilizzato dai magistrati milanesi nel provvedimento di richiesta dell’archiviazione dell’indagine. Quasi a non voler scontentare del tutto i familiari degli anziani deceduti, nella richiesta di archiviazione i pm affermano come sia emersa «una certa sottovalutazione iniziale del rischio» dei contagi da Covid-19 «da parte della dirigenza» del Pat, «in un’ottica che pare diretta ad occultare più che a risolvere le difficoltà». Il tutto, però, specificano subito dopo gli stessi inquirenti, senza alcuna rilevanza penale: «D’altra parte, non è stata acquisita alcuna prova che vi siano state condotte di tal fatta, dolose o ascrivibili a titolo di colpa cosciente, che abbiano avuto conseguenze sulla diffusione del contagio».
Chi paga i danni della gogna?
Nel provvedimento i pm sottolineano anche il contesto eccezionale in cui i dirigenti del Pat si ritrovarono ad agire. «Le caratteristiche straordinarie di diffusione e letalità che in concreto il fenomeno pandemico – non paragonabile nelle sue manifestazioni effettive con altri recenti allarmi pandemici – ha assunto già nel marzo 2020 in particolare in Lombardia, hanno fatto sì che le indicazioni e le misure precauzionali dettate dalle autorità sanitarie (dall’Oms alle Ats) e politico amministrative (governo e regione) abbiano dovuto essere più volte implementate, risultando – alla stregua degli sviluppi dell’infezione – a lungo inadeguate».
Anche i criteri di tracciamento e contenimento del virus, di cui il personale lamentava la tardiva applicazione, «non risultavano ancora adeguatamente introdotti, sviluppati e articolati dalle disposizioni delle autorità sanitarie nazionali e regionali» e la loro «effettiva realizzazione si sarebbe al tempo, in ogni caso, scontrata, con una drammatica insufficienza di mezzi (in particolare Dpi e tamponi predittivi)».
La verità, insomma, è una e molto chiara: al Pio Albergo Trivulzio non ci fu nessuna «strage di anziani». E ora, i danni provocati sull’immagine del Trivulzio e del sistema delle Rsa lombarde in questo anno e mezzo di gogna, chi li ripaga?
Al Trivulzio nessuna «strage di anziani», solo l’ennesima gogna giustizialista