Il cartellone pubblicitario ha campeggiato e campeggia ancora su qualche grande strada di Roma. Vi è rappresentato un giovane di bell’aspetto con un’espressione sorniona che fa – inutile girarci attorno – il gesto dell’ombrello. Il messaggio pubblicitario, a caratteri cubitali, è esplicito: «Questo è il gesto che voi fate quando qualcuno vi parla di noi mentre state in ospedale». Più sotto l’indirizzo di un’agenzia funebre. Potrebbe sembrare solo una delle tante pubblicità di cattivo gusto che affollano gli schermi delle tv e dei pc, e le pagine di molti giornali. In realtà…
come si sosterrà più avanti, ci troviamo di fronte a un tassello del gigantesco processo di decostruzione sociale di un Evento che, insieme alla Nascita, segna indelebilmente la vita di ogni uomo. Si nasce e si muore: e sono due momenti avvolti da una sacralità profondissima che racchiude tutto il Mistero della condizione umana. Invece no: si è deciso che così non deve più essere, nascita e morte debbono diventare qualcosa di simile a tutte le altre cose, che dunque si può vendere e comprare come tutto il resto.
Basti pensare al mercato impressionante che sta crescendo intorno al desiderio di un figlio e che prolifera malgrado le tante prese di posizione e di condanna a livello internazionale. Peraltro, i segnali di questo inquietante e potente processo emergono qui e là nell’industria culturale di massa già da molto tempo. Ricordo una decina d’anni fa un cartone animato in cui un ‘ragazzaccio’ convinceva un bambino a sparare su una coppia di vecchietti perché «è veramente divertente uccidere »; così diceva. Cioè vi si insegnava che è uno spasso dare la morte. Quel cartone finì sulle scrivanie del Comitato media e minori, l’istituzione che in linea teorica (molto teorica) avrebbe avuto il potere di fermare l’ondata trash nei programmi tv. Ma le emittenti televisive fecero scudo e se la cavarono con una leggera sanzione, nella frustrazione impotente dei rappresentanti delle associazioni dei genitori.
Sono molte le persone che si stanno assuefacendo al ‘nuovo ordine mondiale’, senza rendersene conto, e che, senza troppa intenzione, collaborano al misfatto di una vita che sta perdendo significato. Quante volte gli anchormen e le anchorwomen dei notiziari televisivi parlano di tragici incidenti sul lavoro con voce atonale, senza alcuna empatìa. Alcune settimane fa un giornalista commentava l’ennesimo incidente sul lavoro: operai investiti dall’azoto liquido, sono morti così. Neanche un battito di ciglia. La scuola di giornalismo cui fa riferimento questo operatore dell’informazione evidentemente scambia lo stile british per un’ipnotica fissità del viso e dello sguardo, per carità, nessuna emozione nel dare le notizie! Che si trasforma però nei fatti in una sorta di assoluzione: è stata una fatalità, un accidente, una disgrazia, che dire… Per fortuna non tutti fanno riferimento alla stessa linea di pensiero e sono tanti anche i giornalisti che ancora sanno aggiungere un’espressione compassionevole nel raccontare il tragico ripetersi di incidenti sul lavoro, indegni di un Paese che si pensa civile ed evoluto.
Questo tentativo di esorcismo della paura della morte viaggia anche fuori dall’industria culturale nei comportamenti minuti della gente: che altro è questo Hallowen che con il dolcetto e lo scherzetto toglie ogni pathos alla commemorazione dei defunti, ogni coinvolgimento psichico profondo, smorza e accorcia ogni frammento di tempo dedicato alla memoria degli affetti per affogare nella melassa d’importazione dei fantasmini e delle streghette a caccia di dolci?
Per la verità quello di irridere la morte sembra essere un bisogno profondo dell’uomo: ben lo sanno gli antropologi che hanno raccolto, da quando è nata l’antropologia culturale, centinaia di manifestazioni rituali in cui la morte è un fantoccio da bruciare, da irridere, da provocare da parte di uomini che gonfiano il petto di fronte alla ‘nera signora’ per farsi coraggio, per ‘pensarsi eterni’. È un bisogno facilmente comprensibile: non a caso nella storia del pensiero filosofico la meditatio morti è stata così centrale, sono tanti i filosofi che si sono ingegnati nei secoli per trovare un pensiero che aiutasse l’uomo a vivere con la consapevolezza della sua fine, unica creatura tra tutti gli esseri viventi.
Epperò tutte le formule filosofiche sembrano alla fine dei diversivi: dalla pur sublime etica degli stoici (affrontare la morte impassibili, vincendo la paura naturale con la razionalità e la volontà) ai sofismi epicurei (non dobbiamo temere la morte perché quando essa è presente noi non siamo più) fino alle trovate più originali (la pre-volitività della passività e della docilità naturali di un Montaigne, per esempio).
Si può vivere corazzati come gladiatori per affrontare con coraggio la fine, o immemori come i mangiatori di loto dell’Odissea, ma l’angoscia resta tutta intera e ci sovrasta come un macigno. Nessuna formula, in realtà, può eguagliare la forza della Speranza che viene da quel Sepolcro vuoto e che, unica, riesce a riportare la luce nel nostro sguardo.
Elisa Manna
10 novembre 2021
https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/vita-e-morte-la-grande-paura-lindustria-culturale-di-massa