Virus noti e meno noti stanno diversificandosi e causando focolai in diversi paesi del mondo. Per evitare una nuova, incontenibile pandemia occorre puntare decisi sulle strutture permanenti di monitoraggio.
I coronavirus rappresentano solo una piccola porzione della diversità virale conosciuta, la quale a sua volta è probabilmente una porzione minoritaria di quella effettivamente presente nel mondo in questo momento e nell’immediato futuro. Questo semplice fatto, unitamente alle conseguenze causate da una pandemia come quella che abbiamo sotto agli occhi, dovrebbe portare a riconsiderare meglio quanto facciamo sia per sorvegliare il viroma intorno a noi, sia per conoscerlo in maniera più approfondita dell’attuale.
Possiamo fare qualche esempio immediato. Mentre la nostra attenzione è concentrata su Sars-CoV-2, virus noti o meno noti stanno diversificandosi e causando focolai in diversi paesi del mondo. In India, per esempio, nella città di Kanpur, a partire dal 23 ottobre si sta osservando una locale esplosione di casi di infezione da virus Zika, diffuso dalle zanzare e quindi insensibile alle misure di contenimento dei coronavirus. Tenendo conto delle limitate capacità di monitoraggio di quel paese e del fatto che non si dispone in tempo reale delle informazioni circa eventuali varianti di quel virus, è chiaro che si sta osservando uno dei tanti, tantissimi eventi che, per la stragrande maggioranza dei casi, si risolvono spontaneamente, senza scatenare un’epidemia su scala larga. Un ribollire continuo, di cui noi siamo poco consapevoli e a cui siamo ancora relativamente poco preparati a rispondere, considerate anche le disparità tra i sistemi sanitari e di sorveglianza epidemiologica nelle varie nazioni.
Intanto, dopo la sua iniziale apparente soppressione dovuta alla presenza di Sars-CoV-2 e probabilmente alle associate misure di contenimento, un tipo di virus respiratorio molto diverso dai coronavirus, il virus respiratorio sinciziale (Rsv), sta mostrando un forte rimbalzo di casi e l’emergenza anche di alcuni ceppi mutanti mai isolati in precedenza. Poiché questo fenomeno è osservato anche nei paesi del cosiddetto primo mondo e poiché si tratta di un virus ben conosciuto, se ne ha consapevolezza precoce; tuttavia, la dinamica di interazione osservata fra coronavirus e Rsv sta a ricordarci una semplice verità ecologica, che nell’acceleratissimo mondo dell’evoluzione darwiniana virale è particolarmente evidente: come specie umana, noi non fronteggiamo mai un singolo avversario evolutivo, ma una complessa squadra di potenziali parassiti, sia in competizione sia alleati fra loro, una squadra che ha una geometria variabile e che va costantemente osservata nel suo complesso.
Questo punto ci viene ricordato anche dall’interazione fra Sars-CoV-2 e virus influenzali: tutti abbiamo colto la quasi sparizione delle epidemie influenzali stagionali cui siamo abituati, probabilmente a causa delle misure di contenimento attuate contro Sars-CoV-2 (ma forse anche dovute a qualche interazione diversa fra i due virus). Eppure, pochi hanno probabilmente prestato attenzione all’emersione di ceppi molto insoliti di influenza, normalmente osservati nei suini, che hanno cominciato a diffondersi sotto forma di nuove varianti in molte nazioni, inclusi gli Stati Uniti. La quasispecie virale dell’influenza, quindi, sta attingendo alla sua diversità genetica ed ecologica per riguadagnare terreno perduto; anche qui, evoluzione in corso, dunque. Non solo: più guardiamo con le nuove tecnologie alla diversità dei potenziali e pericolosi patogeni che ci circondano, più troviamo possibili candidati pericolosi. È recente, per esempio, la notizia dell’isolamento in Australia di nuovi tipi di virus Hendra, quello reso famoso da David Quammen e noto per la sua letalità in uomini e cavalli.
Insieme a questi e a moltissimi altri minacciosi coinquilini del nostro pianeta, che hanno portato recentemente il direttore generale dell’Oms a parlare di certezza circa l’emergenza futura di una nuova, incontenibile pandemia, una moltitudine di virus in grado di mettere a rischio le nostre derrate alimentari è in continua mutazione e adattamento, costituendo un rischio ancora più sottovalutato e meno conosciuto del precedente; e ai virus vanno aggiunti altri patogeni umani, animali e vegetali, in grado di accrescersi in tempi ristretti in risposta a mutazioni favorevoli.
In passato, i rischi associati a questo scenario erano mitigati dalla minor densità di popolazione e dalla sua minore connessione sociale; oggi, potremmo fronteggiarli grazie alla sorveglianza molecolare e all’organizzazione di strutture permanenti di monitoraggio globalmente diffuse, associate a strutture di ricerca in grado di rispondere prontamente nello sviluppare rimedi. L’evoluzione culturale, tecnologica e scientifica della nostra specie è l’unica in grado di stare dietro a quella molecolare dei virus; sempre che, naturalmente, la nostra congenita stupidità non prevalga.
Enrico Bucci
Il Foglio
10 Novembre 2021