La testimonianza del medico del Niguarda Massimo Puoti: «I duri e puri sostengono che dottori e infermieri fanno parte del complotto. Molti altri fanno una scelta non consapevole sul vaccino: scelgono di appartenere a una tribù»
Ha sentito, dottore? «Meglio intubato che vaccinato». Quando gli arriva una risposta così, e Massimo Puoti certe frasi le ha ascoltate davvero, incredulo, avrebbe bisogno lui di essere rianimato, non il paziente. «Meglio intubato che vaccinato. Così ci ha detto un no vax convinto uscendo dalla terapia intensiva. Non è bastato aver sperimentato la “fame d’aria” provocata dal Covid: le sue convinzioni non hanno vacillato». Poi c’è un 60-70% che si rende conto, man mano che sta in ospedale, di aver sbagliato i calcoli. Tante persone hanno pianto e consigliato a parenti e amici di fare il vaccino».
Massimo Puoti
Puoti è il direttore di Malattie infettive all’ospedale Niguarda di Milano. Di No vax arrabbiati, duri e puri, ne ha visti anche sul letto del reparto. Proni. Fiaccati dal virus. Le macchine per la respirazione. Il casco Cpap. Eppure. «Eppure un buon 30-35% di questi pazienti rimane fermo nella sua scelta. Ha un atteggiamento di rifiuto. Spesso è aggressivo nei confronti degli operatori. Dice: il Covid non esiste». E per quale motivo sarebbe stato ricoverato? «Perché medici e infermieri fanno parte del complotto». Il complotto? «Eh. Poi c’è un 60-70% che si rende conto, man mano che sta in ospedale, di aver sbagliato i calcoli. Tante persone hanno pianto e consigliato a parenti e amici di fare il vaccino».
Oltranzisti e pentiti
Cronache dall’incredibile. I verbali di Puoti. È l’agenzia AdnKronos ad aver raccolto la testimonianza del primario di Niguarda. Ci sono i guerrieri no vax, gli oltranzisti: «Sono quelli che restano convinti in maniera ferrea delle loro posizioni». Ma pure i pentiti non mancano. «Molti si rendono conto di aver sbagliato e molti sicuramente non lo rifarebbero. Con sfumature di maggiore o minor rimorso, emotività o rimpianto». Per non parlare dei superficiali, i no vax qualunquisti, quelli che ho sentito dire in giro e mi informo in Rete: «Molti fanno una scelta non pienamente consapevole. Ritenevano il rischio della malattia meno concreto degli effetti del vaccino. Hanno pesato (male) dubbi e conseguenze. Ma quando finiscono in ospedale con il Covid il loro atteggiamento cambia». Riflessione: «Noi dobbiamo curare tutti al meglio — precisa il dottor Puoti — Per questo stiamo facendo una serie di incontri con i nostri psicologi. Vogliamo essere il più possibile accoglienti e non far sentire a disagio questi pazienti. Non cerchiamo di convincerli, cerchiamo di curarli».
Guelfi e ghibellini del vaccino
È una guerra di posizione. «C’è tutta questa reattività reciproca, da guelfi e ghibellini, molto italiana». Vaccinisti e anti-vaccinisti. «Però questi ultimi sono persone che hanno bisogno di essere curate, né più né meno delle altre. Come una persona che ha fumato 40 sigarette al giorno o una che decide di arrivare a pesare 120 chili, o un diabetico che decide di mangiare i dolci senza fare l’insulina. Le varietà del comportamento umano che provocano malattie sono tante questa è una delle varietà. Ma in questo momento c’è uno stigma sociale nei confronti di queste persone. Noi medici invece dobbiamo curarle al meglio — ripete Puoti all’AdnKronos — a prescindere dal motivo per cui stanno male».
Nel reparto di terapia intensiva
Torniamo in reparto. «L’ossigeno non lo rifiuta nessuno. Magari i più duri nelle loro credenze fanno fatica a sopportare il Cpap o a essere pronati, ma la fame d’aria è qualcosa di veramente pesante che provoca angoscia. Poi, le cose della vita sono strane: abbiamo gente che ha rifiutato il vaccino ma accetta i monoclonali. È una contraddizione? Sì. Ma nel momento in cui abbiamo lo spiraglio per curare al meglio le persone, allora lo utilizziamo, seguendo i protocolli». Ma cosa accomuna i No vax? «Sono persone che sentono la necessità di appartenere a una tribù. Hanno per lo più tra i 40 e i 60 anni». Con sfumature di fede, anche. «Chi rifiuta il vaccino spesso usa come giustificazione il fatto che è realizzato con i feti morti. Abbiamo avuto una persona che però, alla domanda se volesse i monoclonali, ha risposto: “Sì, voglio farli”. Non le abbiamo mica detto che i monoclonali sono fatti con cellule di topi morti. Senza entrare nel dettaglio e argomentare, l’abbiamo curata». In conclusione, Puoti, che idea si è fatto di questa stagione malata? «Credo che ci sia, come negli ultrà del calcio, questa necessità di sentirsi parte di un gruppo, una enclave rispetto al resto delle persone, con un forte senso di appartenenza a un gruppo sociale. E purtroppo i social con i loro algoritmi sono a mio avviso in gran parte responsabili. Se scrivo: “Credo che gli asini volino”, in 5-10 minuti verrò contattato da tutti quelli che stanno cercando una conferma alla loro convinzione». Gli asini non volano.
Corriere della Sera
17 Novembre 2021