AVVENIRE – «Un’ora di flebo e il Covid sparisce» Monoclonali, la grande speranza

By 13 Dicembre 2021Coronavirus

«Una sola dose di anticorpi monoclonali, somministrata al paziente Covid nei primi tre giorni di infezione, in una sola ora riduce di oltre l´80% il rischio di ricovero: non solo evita la malattia, quindi la terapia intensiva o addirittura il decesso, ma costa infinitamente meno di un ricovero. Eppure in Italia in molte regioni i monoclonali non sono utilizzati, addirittura sono stati trasferiti in altre regioni per evitare che scadessero ». Uno spreco incomprensibile, che però non avviene nei reparti gestiti da Evelina Tacconelli, professore ordinario e direttore della clinica di Malattie infettive dell’azienda ospedaliera universitaria di Verona, responsabile del gruppo di ricerca sulle infezioni resistenti agli antibiotici dell’università di Tübingen in Germania. «Da noi basta una telefonata per ricevere la terapia e tornarsene a casa un’ora dopo con un’altissima probabilità di non sviluppare il Covid-19». In una parola, guariti. «Chi è positivo ci contatta, lo valutiamo clinicamente e se pensiamo che per lui i monoclonali possano essere utili gli diamo immediatamente l’appuntamento ». Non solo: la notizia è che stanno arrivando «anticorpi monoclonali in grado anche di fare prevenzione prima del contagio; e altri ancora che potranno essere utilizzati subito dopo un possibile contagio, sempre per prevenire».

I monoclonali costano 1.500 euro e prevengono ricoveri che allo Stato costano decine di migliaia di euro a paziente. Per quale mistero non vengono usati?

C’è un problema di cultura medica: in Italia l´aggiornamento continuo non è organizzato in maniera consistente e troppo spesso è lasciato nelle mani delle industrie farmaceutiche.

È gravissimo, perché quello che abbiamo studiato durante l’università è solo una porzione infinitesimale di quanto è possibile fare oggi, e senza un aggiornamento permanente si possono fare errori molto gravi. Ad esempio, molte delle informazioni sulle terapie anti Covid-19 a tutt’oggi non hanno raggiunto la popolazione medica, penso alla Clorochina e alla Azitromicina, farmaci che all’inizio dell’epidemia parevano essere utili, poi sono stati controllati in studi globali condotti secondo tutte le regole dell’evidenza e sono risultati chiaramente inutili.

L’uso che invece in Veneto fate dei monoclonali fa della regione il laboratorio-pilota d’eccellenza per tutta Italia.

Visto che contro il virus SARSCoV- 2 ad oggi esiste un armamentario terapeutico estremamente limitato, appena il ministero della Salute ed Aifa li hanno autorizzati in via emergenziale, noi abbiamo ritenuto indispensabile utilizzarli. La scoperta dei monoclonali ci ha fornito rapidamente un farmaco che ha un impatto clinico enorme, soprattutto sul paziente fragile, e il giorno stesso che è uscita la delibera siamo partiti, diffondendo il numero di telefono da chiamare nel caso si abbia un tampone positivo: è essenziale che la terapia venga effettuata entro 72 ore dal- la comparsa dei sintomi, e il sistema funziona se c’è totale collaborazione con la medicina territoriale e con il medico di medicina generale, che per primo segnala al nostro ambulatorio i pazienti più fragili. È una grande soddisfazione ricevere le numerose telefonate dei guariti.

Certo sarebbe ideale se potessimo dare il monoclonale indistintamente a tutti i positivi: quasi nessuno si ammalerebbe più.

Sicuramente l’effetto sarebbe lo stesso in tutti i soggetti, perché il monoclonale va a potenziare la risposta immunitaria dell’organismo proteggendolo con anticorpi di origine umana, praticamente gli dà un supporto di anticorpi che da solo l’organismo non ha ancora prodotto. Però somministrarli a tutti sarebbe uno sforzo impossibile. Riusciamo a farne 15-20 al giorno, sabato e domenica compresi, quindi selezioniamo chi ha almeno un fattore di rischio, anche solo l’età, oppure una comorbidità importante come l’ipertensione grave, il diabete, la dialisi, un tumore… Sicuramente la rapida somministrazione del farmaco ha salvato la vita ai vaccinati delle popolazioni fragili – oncologici, trapiantati, ecc. – che purtroppo hanno una risposta al vaccino estremamente più debole rispetto all’immunocompetente e possono trovarsi positivi.

Il paziente non a rischio lo rimandate a casa?

Se per ipotesi si tratta di un 20enne, che non ha a casa un familiare più anziano, che non lavora con i bambini, che non ha un genitore diabetico, insomma che non presenta proprio alcun evidente fattore di rischio, tendenzialmente sì. Come vede, però, le maglie sono molto larghe, diciamo che ad oggi noi non lo abbiamo rifiutato a nessuno.

Quante persone nel ‘laboratorio- Veneto’ avete già trattato?

Oltre 2.000. Dei pazienti trattati in regione abbiamo analizzato nel dettaglio i primi 700 e il risultato è che con la combinazione di due anticorpi (non ne usiamo più uno singolo) il rischio di ospedalizzazione crolla dal 21-25% all’15% a seconda della gravità del paziente. Tra i pazienti con gravi malattie di base, vaccinati e trattati con i monoclonali, nessuno è stato ricoverato.

È vero che la variante Omicron depotenzia gli anticorpi monoclonali o è un’ipotesi ancora basata sul nulla?

Al momento non ci sono dati a questo proposito: sono in corso, anche in Veneto, numerosi studi sulle varianti, che a breve ci daranno risposte. Consideriamo poi che molti monoclonali sono in arrivo sul mercato e quindi l´offerta è ampia.

È pensabile di sostituire il vaccino con i monoclonali? Di rinunciare alla prevenzione e curare la malattia quando già c’è?

No, l’arma più potente che abbiamo continua a essere il vaccino. Però c’è una buona notizia: sono in arrivo, dopo la conclusione degli studi di approvazione in numerosi Paesi europei e americani, nuovi monoclonali che agiranno anche per la prevenzione, cioè saranno utili sia prima di un tampone positivo che dopo, pre-esposizione e post-esposizione. Sarebbero importantissimi in particolare per i trapiantati che, sebbene vaccinati, hanno un alto rischio di non risposta. Alcuni studi dimostrano che la protezione preventiva data da questi nuovi monoclonali dura da minimo 4 settimane fino ad alcuni mesi. Però attenzione, non sono comparabili alla durata della protezione data dal vaccino.

Oltre a questo progetto che altre ricerche ha in corso, sul fronte Covid e non solo?

Tante. Abbiamo creato una piattaforma di centri clinici in tutta Italia che lavorano insieme, per ora sul virus Sars-Cov2. Ma la mia idea è di non perdere l’esperienza del

Covid e di utilizzarla per quella che è la nostra priorità, cioè ridurre la mortalità per le infezioni resistenti agli antibiotici. Questa è la vera battaglia per il futuro dell’umanità. Inoltre noi come Università di Verona-Malattie Infettive siamo il coordinatore di Orchestra, l’unico progetto selezionato a livello europeo con 30 milioni di euro per studiare le conseguenze a lungo termine nei fragili e nei bambini. Coordiniamo quindi i lavori in tutta Europa, in collegamento anche con il Sud America e l’Africa, e seguiamo 1.200 persone solo a Verona, in Europa circa 10mila. Con questo osservatorio stiamo vedendo che c’è una grande fetta di popolazione che 12 mesi dopo il Covid non riesce in nessun modo a tornare a una vita normale, con pesanti conseguenze psicologiche, psichiatriche, cerebrali, muscolari, neurologiche, gastrointestinali… Persone che per una ragione o per l’altra non sono più chi erano prima.

La Lombardia sta accogliendo i malati Covid dalla Germania, che ormai ha oltre 450 morti al giorno. La strada tracciata dall’Italia è evidentemente la migliore?

Ho colleghi in tutta Europa che ormai da un mese cancellano riunioni, convegni, eventi. Ieri da Amsterdam e dal Belgio, dove da tempo avevano riaperto tutto senza mascherine e controlli, e con meno vaccinazioni, mi hanno telefonato dicendo che i reparti sono di nuovo pieni. Inoltre non si parla mai dei numerosi adolescenti morti di Covid negli Stati Uniti e in Inghilterra, cosa estremamente dolorosa perché era evitabile. Ma in Inghilterra i mesi scorsi non è stato dato accesso al vaccino come in Italia, e ho sentito colleghi disperati per non aver potuto proteggere i giovani prima. Per una volta l’Italia è un bell’esempio, non so se ci si renda conto che qui conduciamo una vita tutto sommato normale… Rispettare il distanziamento e indossare una mascherina è davvero così tragico?

L’INTERVISTA

Tacconelli (Università di Verona): «In Veneto già adottati su migliaia di pazienti. Entro 72 ore dal test positivo congelano la malattia. Ma poche regioni li utilizzano»

E stanno arrivando nuovi anticorpi in grado di fare prevenzione prima del contagio: «Vitali per i trapiantati» Il Veneto laboratoriopilota per tutta Italia: oltre 2.000 pazienti fragili già trattati: nessun ricovero e nessun decesso.

Lucia Bellaspiga

Avvenire

5 Dicembre 2021