TEMPI.IT – L’inutile estremismo da green pass e la paura di tornare a rischiare

By 11 Febbraio 2022Coronavirus

Il buon andamento delle vaccinazioni e la diminuzione dei contagi gravi sta convincendo molti paesi a togliere le restrizioni. Ma l’Italia spaventata moltiplica le regole. Perché?

Da ieri in Italia sono in vigore nuove restrizioni per non vaccinati e sono previsti più controlli per chi, vaccinato, è in possesso di Green pass. Non solo, nonostante le richieste delle Regioni di semplificare le procedure almeno lì, la scuola resta un luogo kafkiano in cui la burocrazia sta di fatto impedendo a migliaia di studenti di frequentare regolarmente a causa di un ricorso spesso esagerato alla dad, di quarantene lunghissime a causa di positivi asintomatici, di tamponi richiesti anche agli alunni guariti o vaccinati.

La Danimarca toglie tutte le restrizioni

Il caso ha voluto che nello stesso giorno la Danimarca abbia deciso di togliere tutte le restrizioni anti Covid, di trattare il virus come endemico, di abbandonare il certificato verde e l’obbligo di indossare le mascherine. In Italia verranno invece sospesi dal lavoro e multati gli over 50 non vaccinati, e il Green pass – la cui durata è stata ridotta da nove a sei mesi – sarà obbligatorio per accedere ai negozi, agli uffici pubblici e a quelli postali e per entrare in banca. Con una mossa da alcuni giudicata al limite della legittimità, l’Agenzia delle entrate tramite codice fiscale incrocerà i dati degli italiani multando gli over 50 che non si sono vaccinati.

Con una percentuale di popolazione over 12 vaccinata che si avvicina al 90 per cento, l’Italia è tra i paesi più “virtuosi” al mondo, eppure – a parte qualche dichiarazione non seguita dai fatti sulla fine dell’emergenza e l’allentamento dei divieti – continua a inasprire le restrizioni in una dochisciottesca battaglia contro i mulini a vento no vax, ingigantiti più del dovuto da media, politica e talk-show.

Contagi in discesa e paternalismo

Fermo restando che l’imprevedibilità di questa pandemia non permette a nessuno di indovinare con certezza assoluta la sua evoluzione, e che si può comprendere un po’ di cautela in più da parte di chi si è già scottato due volte, ci sono molti aspetti delle regole ancora in vigore che non hanno più senso di esistere. Innanzitutto per il contesto in cui vengono applicate: nei giorni scorsi in Italia la curva dei contagi ha toccato il suo picco e iniziato la sua discesa. Durante tutta la quarta ondata, tutt’ora in corso e causata principalmente dalla meno letale variante Omicron, abbiamo ascoltato una narrazione fatta di tic allarmisti che per certi versi ricordava i toni delle prime due ondate: peccato che, stando ai freddi numeri, le terapie intensive non siano mai state “piene” né gli ospedali “al collasso”.

La Danimarca ha rischiato, e l’Inghilterra prima di lei, scommettendo sui vaccini, sull’endemizzazione del virus, e sulla responsabilità delle persone. L’Italia ha puntato sul paternalismo, sul racconto di un paese di furbetti che non si sarebbero vaccinati se non costretti. Il green pass, introdotto lo scorso 6 agosto, serviva ad accelerare le vaccinazioni, a convincere gli indecisi con un “ricatto” a buon fine.

Ma raggiunto il suo scopo nelle prime settimane, lo ha esaurito altrettanto in fretta, come hanno ben spiegato su Linkiesta Gilberto Corbellini e Alberto Mingardi: «Sul green pass, ci siamo appassionatamente divisi nei mesi scorsi. Per alcuni si tratta di una forma di “dittatura sanitaria”, dal momento che esso riduce la possibilità dei non vaccinati di accedere a tutta una serie di esercizi commerciali e persino di lavorare. Per altri il lasciapassare sarebbe una sorta di miracoloso portale che trasporta dalla pandemia verso la libertà, al punto da considerare il green pass (e non, invece, la vaccinazione) come la misura che ci ha consentito di affrontare con relativa tranquillità gli ultimi mesi. In realtà, più probabilmente dietro il green pass sta semplicemente l’inettitudine e l’improvvisazione di chi ci governa ed è vittima del bias di overconfidence».

L’obbligo di green pass non spinge più a vaccinarsi

I dati delle vaccinazioni nei paesi che hanno introdotto o meno il green pass parlano chiaro, riportano i due autori di “La società chiusa in casa”: «Uno studio pubblicato su Lancet il 13 dicembre scorso ha confrontato gli effetti della certificazione obbligatoria in diversi Paesi. Secondo quel lavoro, la misura aveva dato risultati in Francia e Israele, facendo segnare un forte incremento dei tassi di vaccinazione in corrispondenza dell’annuncio. Le nuove vaccinazioni seguitavano a crescere anche dopo l’entrata in vigore del “pass”. In altri paesi, come Germania e Danimarca, non si è registrato alcun effetto. Gli autori dello studio ne concludono che è difficile valutare l’impatto della certificazione vaccinale in sé e per sé, perché esso dipende da quanto è stato fatto prima della sua introduzione».

Come detto, l’Italia è tra le nazioni con più vaccinati, e tutti i numeri più recenti su terze dosi e nuove restrizioni dicono fondamentalmente una cosa: chi non si è voluto vaccinare fino a oggi non lo farà domani. È davvero utile insistere a rendere la vita impossibile ai non vaccinati, trattandoli come scarti della società, e facendo loro perdere il lavoro, inasprendo ogni quindici giorni regole e controlli che hanno la conseguenza di complicare la vita anche a chi è in regola con la terza dose o è guarito?

Aggiungono Corbellini e Mingardi: «È difficile non notare come gli architetti del green pass si siano mossi sin qui seguendo il canovaccio che immaginavano i loro critici. Pensiamo al ministro che ha esultato a favore di telecamera dicendo che l’Italia sarebbe stato il primo Paese nel quale il green pass sarebbe servito anche per andare in banca. Pensiamo soprattutto al fatto che l’ambito di applicazione del green pass è stato costantemente ampliato, da settembre a oggi, a dispetto della crescita della popolazione vaccinata. Se il pass serve da incentivo, uno si aspetterebbe che possa essere una coperta che può essere tirata in più direzioni. Banalmente, dal momento che viene richiesto per recarsi sul posto di lavoro, forse non è più necessario chiederlo all’ingresso al ristorante, o al cinema, come facevamo prima che venisse richiesto sul posto di lavoro. L’obiettivo non dovrebbe essere costringere quante più persone possibile a scansionare QR code ma, per l’appunto, vaccinare quante più persone possibile».

Più misure rispettiamo, più abbiamo paura

Così non è. E, tralasciando le inquietanti suggestioni “cinesi” che un’applicazione estesa del green pass potrebbe avere, è legittimo chiedersi perché la politica non prenda in considerazione la possibilità di abolirlo, dal momento che non incentiva la vaccinazione, non garantisce che il suo possessore non sia contagioso, e semmai dà nuovi argomenti a chi sostiene di vivere in una dittatura sanitaria. E se il green pass ora rischia di diventare fine a se stesso (sono sempre di più gli esperti, anche “insospettabili” come Bassetti e Cartabellotta, i quali ammettono apertamente che non è una misura sanitaria, ma politico-burocratica), il diluvio di regole che cambiano settimanalmente e si aggiungono a quelle esistenti ha già inciso, e in modo sensibile, sulla nostra vita.

Lo faceva notare due giorni fa Jason Horowitz, inviato del New York Times a Roma: dato l’alto tasso di vaccinazione, in Italia la società non è idealmente divisa come altrove tra chi è vaccinato e chi no, ma tra chi accetta il rischio e chi no. Può sembrare un paradosso, ma per molti l’aumento delle misure di sicurezza – distanziamento, mascherine obbligatorie, capienza ridotta dei luoghi al chiuso, vaccini – ha coinciso con un aumento della paura: nulla sembra bastare, non le tre dosi, non il green pass, non i numeri dei contagi in diminuzione, non il fatto di essere circondati quasi esclusivamente da vaccinati, non “la scienza”.

Uscire dalla pandemia burocratica

Nel suo reportage Horowitz racconta di genitori che non mandano i figli a scuola in nome del «senso civico», di persone che fanno la spesa con i guanti e non fanno entrare ospiti in casa, gente che ha rinunciato al cinema e ai viaggi, uomini e donne convinti che il fumo di una sigaretta sia meno pericoloso dell’aria che si respira in un ristorante pieno. In molti casi i singoli esasperano loro stessi regole già di loro esasperate: succede soprattutto a scuola, dove genitori apprensivi fanno un tampone al figlio se ha un leggero mal di testa o non gli va di mangiare il risotto, scoprendo magari una positività al virus senza sintomi che costringe però tutti i compagni di classe a tamponarsi, bloccando la didattica e lasciando un senso di catastrofe incombente continuo su bambini sempre più terrorizzati di infettarsi e infettare.

La non dichiarata ma nei fatti attuata strategia del “Covid zero” ha generato insicurezze, ipocondrie, ricerca di capri espiatori tra i colleghi, gli amici e i passanti, e una paradossale richiesta di maggiori restrizioni proprio da parte di chi è “in regola”. Come abbiamo già detto, e in buona compagnia, la pandemia burocratica può creare danni tanto quanto quella sanitaria. Dalla seconda si esce con i vaccini, le cure, e la sua endemizzazione. Dalla prima eliminando le regole inutili, facendo terminare davvero lo stato d’emergenza il 31 marzo, e accettando il rischio di vivere.

Piero Vietti

Tempi – 2 Febbraio 2022