ABORTO, GUAI A CHI È CONTRARIO! di don Gian Maria Comolli

By 22 Febbraio 2022Articoli Bioetica 2018

Domenica 6 febbraio la Chiesa Italiana celebrerà la 44° Giornata a Favore della Vita. Questa ricorrenza fu istituita nel 1978 quando anche in Italia, fu autorizzato l’aborto con l’infame legge 194 dal titolo drammaticamente beffardo: “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”. Da allora di aborti nel nostro Paese, cioè l’ uccisione di un essere umano nella prima fase della vita, ne sono stati eseguiti ufficialmente 6.450.000 oltre a quelli clandestini e quelli causati dalle “pillole abortive” (Norlevo, EllaOne…).

La prima responsabile di questo “omicidio” o meglio “figlicidio”, è la madre, colei che dovrebbe essere la responsabile dell’incolumità del figlio; colei che dovrebbe tutelare un essere piccolo, debole, fragile e indifeso, mentre come affermato da Papa Francesco, è colei che “affitta un sicario” (28 ottobre 2018).

Aborto. La manipolazione del linguaggio

Ho intenzionalmente utilizzato i vocaboli “omicidio”, “figlicidio”, “sicari” poiché come ammonì san Giovanni Paolo II nel Messaggio per la XIII° Giornata Mondiale per la Pace: “Restaurare la verità significa innanzitutto chiamare con il loro nome gli atti di violenza, quali che siano le forme che assumono”, mentre la cultura attuale ci abbindola con termini ingannevoli. Ad esempio, la parola “aborto” sta scomparendo lasciando spazio all’espressione “interruzione volontaria della gravidanza”. E’ “una sostituzione tutt’altro che innocente; è un modo elegante per creare una cortina fumogena attorno alla tragica realtà in questione. ‘Interruzione’ è un termine per nulla drammatico. S’interrompe una conversazione, una trasmissione televisiva per riprenderla poco dopo, e il carattere omicida dell’azione si dissolve dietro un termine pacifico e innocente” (L. Ciccone, La vita umana, Ares, pg. 102). Così commentò il cardinale Giacomo Biffi il titolo della legge: “Ho subito ammirato la raffinata ipocrisia dell’intitolazione. Essa mette in primo piano un valore indiscusso e un programma da tutti condivisibile, quale la ‘tutela della maternità’ (che però nell’attuazione sarebbe stata avvertita fatalmente come una preoccupazione secondaria), e per indicare un’azione da sempre percepita nella coscienza comune come abietta ed esecrabile si è utilizzata una perifrasi costruita con parole in se stesse innocenti: gravidanza, volontà, interruzione. Una coraggiosa schiettezza, senza ‘laici’ bigottismi, avrebbe dovuto preferire la denominazione più perspicua e più ‘onesta’ che sarebbe: ‘Norme che regolano l’aborto volontario e il suo pubblico sovvenzionamento’ ”(Memorie e disgressioni di un cardinale cittadino, Cantagalli, pg. 381). Attenzione perché le manipolazioni del linguaggio con il trascorrere del tempo modificano anche il “modo di pensare”.

Aborto. La manipolazione delle coscienze

Preoccupa molto la pressante campagna massmediatica che sta mutando, giorno dopo giorno, nella coscienza del popolo italiano un’azione negativa in atto neutro o anche positivo essendosi plasmata, come ricordava Benedetto XVI al Movimento per la Vita, “una mentalità di progressivo svilimento del valore della vita. Da quando in Italia fu legalizzato l’aborto ne è derivato un minor rispetto per la persona umana, valore che sta alla base di ogni convivenza, al di là della fede professata” (17 maggio 2008). E, Giuliano Ferrara, scrisse: “l’aborto da ‘legale’ è diventato ‘legittimo’ e moralmente indifferente” (Il Giornale, 15 gennaio 2008). E’ il pensiero di tanti italiani che affermano: “L’aborto è un fatto di coscienza: io non lo farei mai, ma devo rispettare la libertà altrui”. Dichiarazione viziosa, poiché l’aborto non riguarda unicamente la libertà della donna ma il diritto alla vita di un altro essere umano di cui siamo responsabili, essendo ogni uomo “il
guardiano di suo fratello, perché Dio affida l’uomo all’uomo” (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 19). Di conseguenza, la vita di un innocente, supera la questione “privata” assumendo un’ampia “dimensione sociale”. Inoltre, sempre per la mentalità comune, è legittimo che la Chiesa condanni l’aborto ma lo “Stato laico” ha l’obbligo di legalizzarlo. L’errore del ragionamento sta nel fatto che l’aborto non è unicamente un peccato, ma un atto omicida, perciò opposto al “bene comune”. E, nessuna società civile, può legalizzare “l’omicidio di Stato”. L’articolo 2 della Costituzione Italiana, dichiara: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come
singolo sia nelle formazioni sociali…”. Ciò significa che lo Stato deve intervenire per evitare abusi sulle persone in situazioni di vulnerabilità e di fragilità; le più bisognevoli di tutela giuridica. E’ opportuno inoltre evidenziare che questo argomento non è solo religioso
ma totalmente e pienamente umano, quindi deve coinvolgere la società nel suo complesso. Umberto Bobbio filosofo, giurista e senatore a vita, in occasione del referendum del 1981 affermò: “Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido in senso assoluto, come un imperativo categorico, il ‘non uccidere’. E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere”(Corriere della Sera, 8 maggio 1981). Dello stesso parere è Papa Francesco. “Il problema dell’aborto non è un problema religioso: noi non siamo contro l’aborto per la religione. No. E’ un problema umano e va
studiato dall’antropologia. Studiare l’aborto incominciando dal fatto religioso è scavalcare il problema poiché c’è la questione antropologica sull’eticità di far fuori un essere vivente per risolvere un problema. Questa è la discussione. Io non permetto mai che si incominci a discutere il problema dell’aborto dal fatto religioso. No. E’ un problema antropologico, è un problema umano”(26
agosto 2018
).

In Italia, l’aborto oggi sta divenendo un principio, una verità indiscutibile, un argomento sul quale è impossibile qualsiasi riflessione anche se supportate dalle evidenze scientifiche e dalla ragione. Questo delitto deve rimanere confinato nella coscienza individuale e non può assumere una valenza sociale, tanto meno politica, come avviene in altri Paesi. E, anche quando si tenta un confronto, si ha l’impressione che l’obiettivo è di mantenere posizioni equilibrate, quindi non conformi alla verità, per “non aprire”, si dice: “vecchie ferite”.

Aborto. Manipolazione della donna

In Italia, in 44 anni, sono stati compiuti circa 6.450.000 aborti; per questo una domanda è d’obbligo: “come è possibile la presenza di milioni di situazioni di ‘grave pericolo’ per cause attinenti a una gravidanza in corso?”.
Nei confronti dell’aborto, oggi sussiste un ignobile agevolazione e favoreggiamento; ogni “scusante”, anche le piccole difficoltà che ogni
gravidanza normale comporta è sufficienti per abortire, escludendo dalla scelta, nella maggioranza dei casi, il padre, cioè il ruolo maschile nel processo della generazione ed ovviamente il feto. Inoltre, l’iter da seguire è semplice, quasi banale. La donna si rivolge ai
consultori familiari pubblici, o alle aziende sanitarie, oppure a un medico di fiducia. E’ sottoposta a una rapida visita ginecologica, e “dovrebbe” essere informata delle alternative per “superare le cause che inducono all’interruzione della gravidanza” come evidenziato dal titolo della legge: “Norme per la tutela sociale della maternità…”. Utilizziamo il verbo al condizionale (dovrebbe) poiché il più delle ciò non avviene. Solitamente, il medico, gli consegna unicamente il documento che l’autorizza a eseguire, dopo sette giorni, l’intervento chirurgico. La gravida firma inoltre alcuni documenti di consenso informato, spesso priva di informazioni sugli eventi avversi e sulle possibili complicanze, ed è “pronta” per la “gratuita” interruzione della gravidanza. Nessuno le indica le possibilità alternative.
Con questa affermazione, siamo ben consci, che accanto a migliaia di donne che abortiscono “superficialmente” non comprendendo la gravità morale dell’atto e le conseguenze che dovranno affrontare nella vita, sono presenti madri, sposate o non, che vivono angosciosi dilemmi, e per loro la gravidanza è motivo d’immensa sofferenza, poiché a volte quando si è gravide si perde il posto di lavoro (alcuni datori esigono dalla lavoratrice l’interruzione della gravidanza), non si possiedono i soldi per giungere alla fine del mese e forse
neppure un uomo al proprio fianco. Ecco la lotta che accanto a quella culturale dobbiamo condurre: consentire a queste donne di non abortire, esigendo la piena e totale applicazione dell’articolo 5 della legge 194 che non lascia spazio a interpretazioni ambigue o ideologiche. Afferma l’articolo: “Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito: le possibili soluzioni dei problemi proposti; di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza; di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre; di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”.

Dobbiamo però denunciare che i “consultori” costituiti come luoghi di accoglienza, di sostegno e di dissuasione, si sono mutati per la carenza di risorse e per la presenza di molti operatori non obiettori, in “fabbriche dell’aborto” snaturando la legge.

Possediamo, inoltre, altre modalità per impedire questo atroce atto.
La presenza dei Centri di Aiuto alla Vita (CAV) che rispondono in modo concreto alle necessità delle donne che vivono una gravidanza difficile o inattesa. Con l’opera di centinaia di volontari, dal 1978 hanno aiutato a nascere circa 150mila bambini. Un autentico dono alla vita e all’Italia che invecchia. E, “nessuna mamma – sostengono – ha mai rimpianto la scelta di far nascere il bambino che aspettava”.

Il Progetto Gemma, sempre attuato dai CAV che offre a una futura mamma un sostegno economico che le può consentire di portare a termine con serenità il periodo di gestazione, accompagnandola poi nel primo anno di vita del bambino.

Le Culle per la vita, cioè la moderna riedizione delle “Ruote degli Esposti”, presenti in vari luoghi del nostro Paese. Rappresentano un’alternativa per tutte quelle donne che non vogliono o non possono recarsi in ospedale a partorire.
In ospedale si può anche partorire in modo anonimo e abbandonare il neonato alla struttura sanitaria che provvederà alla cura (Cfr. Legge 198/1983, art. 28, comma 7; D.P.R. 3 novembre 2000, art. 30, comma 1).
Da ultimo, un valido aiuto può venire dal Sos Vita; un servizio telefonico che sostiene donne e coppie donandogli amore e coraggio per
affrontare la gravidanza (numero verde 800813000).

Sono queste le risposte che tante donne attendono, ma che poche conoscono, ben offuscate dalla furia del “mondo abortista”.

Don Gian Maria Comolli