Dopo l’interruzione per l’elezione del Presidente della Repubblica da alcuni giorni la Camera dei Deputati ha ripreso l’esame del “Testo Unico sul Suicidio Assistito” anche se, per il momento, non si intravvedono accordi di massima essendo già state presentati oltre 200 proposte di modifiche e poi il Testo passerà al Senato.
Il Testo che di seguito esamineremo, e che definisco il “grande inganno” o anche il “Cavallo di Troia” per aprire all’eutanasia, è il secondo tentativo per legalizzare la “dolce morte” dopo che il referendum proposto dall’Associazione Luca Coscioni è stato dichiarato inammissibilità da parte della Corte Costituzionale per “preservare la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili”.
Non possiamo scordare però, che nella maggioranza dei Paesi dove si è legalizzata l’eutanasia, il punto di partenza è stato l’approvazione di una legge sul suicidio assistito, anche perché “suicidio assistito” e “eutanasia” sono la stessa cosa. Ha dichiarato recentemente il relatore, l’onorevole Alfredo Bazoli (Pd), che la decisione della Corte “non incide sull’iter di approvazione della legge sul suicidio assistito incardinata alla Camera e pronta per la discussione. Si tratta infatti di una legge che tratta un tema diverso”. Ma, onorevole Bazoli, siamo onesti intellettualmente: come può affermare che eutanasia e suicidio assistito sono diversi? È vero che ci sono delle differenze tra i due gesti ma riguardano unicamente chi compie l’atto. L’eutanasia, l’operatore sanitario che somministra un farmaco solitamente per via endovenosa, mentre nel suicidio assistito la persona assume autonomamente il farmaco preparatogli. Inoltre, l’eutanasia, non necessita la partecipazione attiva del soggetto mentre il suicidio assistito sì. Ma, a livello etico, la valutazione è analoga, essendoci sempre la collaborazione che si offre alla persona “per morire”, e non come tanti affermano nell’ “aiutare a morire”, poiché “aiutare” significa assistere il morente, alleviargli il dolore, comunicargli che desideriamo la sua presenza in terra fino all’ultimo, essendo pronti a lottare insieme, accompagnandolo nel cammino al suo destino eterno.
Esaminiamo questo testo ambiguo, valutato da vari giuristi con ampie “falle di incostituzionalità”, aperto a molteplici forzature che di seguito mostreremo.
Il Testo Unico, è intitolato: “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita” e comprende 9 articoli.
Il PRIMO ARTICOLO riguarda chi può farne richiesta e a quali condizioni. Deve trattarsi di una “persona affetta da una patologia irreversibile o con prognosi infausta”; affermazione specificata ma non chiarita all’articolo 3.
Il SECONDO ARTICOLO definisce il significato di “morte volontaria medicalmente assistita”: dovuta ad “un atto autonomo con il quale… si pone fine alla propria vita in modo volontario, dignitoso e consapevole, con il supporto e la supervisione del Servizio sanitario nazionale”.
Il TERZO ARTICOLO fornisce ulteriori descrizioni dello stato di salute del richiedente e i requisiti essenziali per la richiesta.
Tre ambiguità.
1.Il richiedente deve essere “maggiorenne, capace di prendere decisioni libere e consapevoli ed affetto da sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili”. Essendo questo giudizio soggettivo e personale, ogni malattia anche lieve, potrebbe divenire motivo per esigere la morte, poiché la richiesta può essere reclamata da chi è vittima della Sla ma pure di un esaurimento nervoso e non intende affrontare le sfide della vita; dall’anziano affetto da patologie croniche; dal portatore di handicap che si reputa un onere per la famiglia.
2.Il richiedente deve essere affetto da “una patologia irreversibile”. L’enciclopedia Treccani afferma che l’aggettivo “irreversibile” significa: “Non reversibile; detto in genere di qualsiasi cosa che non può essere invertita, rispetto al movimento, all’azione esercitata, al funzionamento, alla trasmissione di energia…”, e, riferendosi al settore sanitario aggiunge: “In medicina è sinonimo di definitivo, cioè non guaribile…” (https://www.treccani.it/vocabolario/irreversibile/). Ma pure l’aggettivo “cronico” ha lo stesso significato di “irreversibile”. Cronica “è una patologia costante che accompagnerà il paziente per il resto della propria vita” (https://www.domedica.com/che-cose-una-malattia-cronica/). E, le malattie irreversibili o croniche, riguardano un ampio spettro di patologie che vanno dal diabete a quelle respiratorie, dai disturbi muscolo scheletrici a quelli della vista o dell’udito, fino ai tumori.
3.Il richiedente deve essere “tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale”. Quali sono i trattamenti di sostegno vitale? Domanda per alcuni superflua, invece no, essendo un interrogativo dalle “cento risposte”. Ad esempio, nelle 46 pagine di motivazioni depositate presso la Corte d’Assise di Massa che il 27 luglio 2020 assolse Marco Cappato e Mina Welby dall’accusa di istigazione e aiuto al suicidio di Davide Trentini, 53 anni, malato di sclerosi multipla e deceduto il 13 luglio 2017, si legge: “Per trattamenti di sostegno vitale non significa necessariamente ed esclusivamente essere dipendenti da una macchina, ma deve intendersi anche qualsiasi tipo di trattamento sanitario, indipendentemente dal fatto che venga realizzato con terapie farmaceutiche o con l’ausilio di strumentazioni mediche”. Ebbene, qualcheduno, potrebbe valutare che anche un “farmaco anticoagulante” è un sostegno vitale. In un sito accreditato come Nurse24.it si legge: “La terapia anticoagulante è un trattamento medico che ha lo scopo di rallentare la normale coagulazione del sangue. La terapia anticoagulante deve evitare che si formino coaguli, mantenere il sangue fluido ed evitare che la persona vada incontro a complicanze trombotiche. È quindi una terapia fondamentale e spesso salvavita” (https://www.nurse24.it/infermiere/farmaci/anticoagulanti-indicazioni-effetti-collaterali-educazione.html).
Ebbene, i “termini” sono rilevanti soprattutto nelle Leggi e nelle Sentenze, e devono possedere un significato e un contenuto ben determinato e specificato che non offra possibilità di interpretazioni ambigue o creative, poiché quando sono utilizzati approssimativamente, genericamente e vagamente possono originare equivoci, malintesi e fraintendimenti.
Il QUARTO ARTICOLO disciplina le modalità e la forma della richiesta di morte volontaria medicalmente assistita.
Il QUINTO ARTICOLO descrive la procedura della richiesta al Comitato Etico Territoriale.
Il SESTO ARTICOLO introduce l’obiezione di coscienza. Il personale sanitario ed esercente le attività sanitarie ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure per l’assistenza alla morte volontaria medicalmente assistita disciplinate dalla presente legge, quando sollevi obiezione di coscienza con preventiva dichiarazione. Dobbiamo ricordare che nella prima formulazione del Testo, il relatore Bazoli, come nelle DAT (Dichiarazioni Anticipate di Trattamento) si era “scordato” di questo diritto degli operatori sanitari, rischiando di tramutare i medici, difensori della vita, in sicari della morte.
IL SETTIMO ARTICOLO riguarda l’istituzione e la disciplina dei Comitati per l’etica nella clinica, che dovranno essere costituiti presso le Asl entro i 180 giorni dall’approvazione della legge. Oggi, in Italia, a seguito del Decreto Legge n. 158 del 13 settembre 2012: “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute”, art. 12, co. 6, sono presenti 90 Comitati Etici; prima del Decreto Legge erano 269. Qui si parla di Comitati Etici da costituire presso le 101 Asl Italiane. Questo significa, ovviamente, che il legislatore già prospetta un numero ingente di persone che richiederanno il suicidio assistito.
L’OTTAVO ARTICOLO esclude la punibilità con gli articoli del codice penale 580 e 593 per i medici, personale sanitario e amministrativo coinvolti nella procedura.
IL NONO ARTICOLO riguarda i compiti di verifica del Ministero della Salute.
Le osservazioni precedenti sono eccessive, superficiali e superflue?
No, basta solo possedere un po’ di “memoria storica” per non scordare il passato ed essere “disincantati” nel prevedere il futuro. Mi riferisco a ciò che accadde dopo l’approvazione della Legge 40/2004: “Norme in materia di Procreazione Medicalmente Assistita”.
La norma, frutto di convergenze trasversali, fu varata dal Parlamento per regolamentare la procreazione medicalmente assistita (PMA), priva in Italia di normative. Costituì il risultato di un laborioso e travagliato iter legislativo. Era senz’altro una normativa lacunosa; pertanto occorreva che il Parlamento nel tempo, la revisionasse e la perfezionasse, ma non come è avvenuto e sta avvenendo mediante sentenze del potere giudiziario. La norma fu subito accompagnata da tentativi di demolizione e di smantellamento. La prima manovra fu il referendum popolare del giugno 2005 promosso dai Radicali che fallì poiché il 74,5% degli elettori esercitarono il diritto costituzionale “dell’astensione”. Da quel momento s’intraprese la demolizione per “via giudiziaria” con una serie di ricorsi ai tribunali, ai Tar e alla Corte Europea per i Diritti Umani di Strasburgo. Chi è interessato a conoscere la storia può esaminare la Sentenza 398/08 del TAR del Lazio, la Sentenza 151/2009 della Consulta di Stato, il pronunciamento dell’aprile 2010 del Tribunale Civile di Milano e le Sentenza 162/2014 e 96/2015 della Corte Costituzionale.
Queste poche citazioni sulla legge 40/2004, dove stanno saltando “tutti i paletti”, ci fanno comprendere che ciò che abbiamo affermato sul Testo Unico della legge sul suicidio assistito non è irrilevante, poiché non imparare dalla storia ci condanna a ripetere gli stessi errori.
Concludento
Alcuni deputati e senatori potrebbero trovarsi nei confronti del Testo Unico di fronte ad accentuati dilemmi di coscienza, poiché è vero che l’Italia è uno “Stato laico” come ribadito dal Presidente del Consiglio Mario Draghi in occasione della Nota della Segretaria di Stato Vaticana sul DDL Zan, ma laico non significa “senza valori”, soprattutto se questi sono presenti pure nella Costituzione. Il rischio è quello di divenire ostaggi del modello culturale definito “scientista-tecnologico” che sostituisce la verità con l’attualità, sostenendo che una normativa è determinata dalla cultura del tempo relativa e mutevole, non esistendo, secondo il modello, principi etici e morali assoluti e valevoli per sempre. Ciò che è buono e vero in un periodo storico, può non esserlo in un altro, pur ponendosi in totale contraddizione con la cultura classica e personalista che sta alla base anche della Costituzione Italiana.
Ecco allora, a senatori e deputati, che non temono le ritorsioni ma stimano il “primato della coscienza” un valore sommo e irrinunciabile, una riflessione che Benedetto XVI propose il 22 settembre 2011 al Parlamento Federale Tedesco nel Reichstag di Berlino. “In gran parte della materia da regolare giuridicamente, quello della maggioranza può essere un criterio sufficiente. Ma è evidente che nelle questioni fondamentali del diritto, nelle quali è in gioco la dignità dell’uomo e dell’umanità, il principio maggioritario non basta: nel processo di formazione del diritto, ogni persona che ha responsabilità deve cercare lei stessa i criteri del proprio orientamento”.
Don Gian Maria Comolli